La voce dei lettori

Intorno al marketing dell'olio di oliva, l'approccio di nicchia

Ci scrive dalla Toscana Marco Cirimele: mi sembra limitativo pensare che i problemi del milione di piccoli produttori in Italia possano essere prioritariamente risolti con con una riduzione dei costi di produzione ed economie di scala

12 aprile 2008 | T N

Mi riferisco a due articoli particolarmente interessanti.

TN 15.03.2008, sulla riduzione dei costi di produzione, ma la vera sfida è vendere meglio: link esterno

TN 22.03.2008, colpo di scena: preferenza per un olio tunisino da parte di un gruppo di consumatori: link esterno

Intanto perchè "colpo di scena"?
Se un prodotto è valido non c'è motivo per cui il consumatore debba automaticamente preferire quello italiano.
Si ripropone la questione, su cui avevo già avuto nodo di commentare, di saperne di più sulle preferenze e motivazioni del consumatore, indipendentemente da quello che è il contributo degli "esperti", a cui si non si chiedono preferenze, ma la disponibilità di strumenti di valutazione, come del resto fatto dopo i sopraddetti assaggi, il problema si incrocia con le considerazioni sui costi di produzione e su come vendere al meglio.

Mi sembrano parziali le conclusioni del prof. Prosperi, e cioè di puntare prioritariamente sulla riduzione dei costi e sulle economie di scala, e non sulle nicchie, il tutto preceduto da argomentazioni che mi sembrano limitate ad una analisi tecnica di marketing. Ritengo invece che per i piccoli produttori la questione vera è di fare conoscere il prodotto.

Dal mio osservatorio posso confermare, sulla base degli andamenti delle ultime 5 o 6 campagne, che nel nostro piccolo, con ca. 10 qli/ anno di olio non abbiamo difficoltà a vendere tutto sul circuito del passa parola con amici e con ristoranti ed enoteche che contattiamo direttamente. Ci viene riconosciuto un prezzo di 35 euro alla lattina da tre litri, il che non è proprio regalato, ma tutti riordinano da un anno all'altro.

Questo per dire che mi sembra limitativo pensare che i problemi del milione di piccoli produttori in Italia possano essere prioritariamente risolti con con una riduzione dei costi di produzione ed economie di scala. Resta invece valido un approccio "di nicchia", sostenuto da caratteristiche certe di tipicità, territorio, tracciabilità, e validato dalle DOP e IGP. Tanto per restare in zona, posso citare l'esempio della più importante cooperativa, che associa oltre 1200 piccoli e piccolissimi produttori, con liquidazioni di tutto rispetto. In questo caso però l'asset più importante, oltre agli impianti di produzione, è la capacità commerciale e soprattutto riuscire a dirigere sull'estero il grosso della produzione, tutta comunque a IGP (in Italia siamo putroppo ancora indietro, sia da parte dei consumatori, che, come da voi documentato, ahimè dei ristoratori).

Dagli esperti di marketing e comunicazione mi aspetterei quindi delle idee e degli indicazioni sulle modalità e sui canali attraverso cui possiamo far conoscere il prodotto, e trovare delle forme di organizzazione commerciale più efficaci (oggi i piccoli produttori locali si danno un gran da fare a vendere nelle fiere o in occasione di eventi, ognuno con la propria bottiglietta, o negli agriturismi aziendali).

Del resto questa linea, mi pare, è quella che viene fuori dagli articoli e dalla presentazione della figura dell'oleologo, comparse nella pagina dedicata al SOL nel Corriere dell Sera del 2.4. 2008.
Dunque, no alla battaglia sui prezzi, si alla qualità intesa come tipicità, territorio, tracciabilità, e soprattutto mettere al primo posto ogni sforzo per la promozione e la conoscenza del prodotto.
Un giusto livello del prezzo ne sarà poi la conseguenza, se il consumatore sarà preparato a riconoscerne il valore

Marco Cirimele
az. agr. i7olivi - associata del Consorzio dell'olio extra vergine di oliva di SCANSANO

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