La voce dei lettori
Minimo quantitativo di frangitura: un problema tecnologico ed economico
L’olivicoltura hobbistica richiede, in epoca di cambiamenti climatici, flessibilità nella gestione di quantitativi minimi di frangitura scontrandosi con le esigenze dei frantoi. Le riflessioni di Antonio Mazzei e la risposta di Alberto Grimelli
04 dicembre 2025 | 09:00 | T N
Buongiorno Dr. Grimelli,
sono un assiduo lettore dei vostri articoli da molto tempo. Sono un appassionato di olivicoltura e proprietario di un piccolo appezzamento di circa mezzo ettaro (150 olivi).
Tra le molte domande che giungono alla vostra redazione finora raramente si è parlato del peso minimo di olive che il frantoiano ammette per avviare la frangitura.
Nel Lazio, infatti, la quasi totalità dei frantoiani richiede un minimo di 250 o 300 kg di olive.
Questo vincolo è a mio avviso molto stringente, perché impedisce ai piccoli olivicoltori (e quest’anno è successo anche a me) di arrivare con un quantitativo sufficiente per avviare la frangitura.
Oppure succede che il tempo per raccogliere questo quantitativo minimo favorisca i processi di ossidazione delle olive già raccolte. Talvolta anche capire il peso delle olive che si portano a frangere non è facile: io ho sempre considerato 15 kg a cassetta (piena per ¾), ma ad esempio l’anno scorso le piogge precedenti alla raccolta hanno comportato un peso molto maggiore.
Alcuni frantoiani nel Lazio consentono la frangitura anche sotto il peso minimo, con un minimo tecnologico di 150 kg, ma richiedono comunque il pagamento della frangitura legata al peso minimo: es. quest’anno al frantoio Bulgarini (Tivoli, RM) ho franto 150 kg ma ho pagato come se ne avessi franti 300.
Altri consentono a chi ha poche olive di frangerle insieme ad altri per il raggiungimento del minimo: il problema però (e questo mi è successo l’anno scorso sempre al frantoio Bulgarini) è che, pur dopo un controllo qualità di qualche secondo, le mie olive siano rimaste per ben 5 giorni in attesa di essere frante.
Questa situazione mi ha spinto ancor di più a servirmi di strumenti di raccolta come gli abbacchiatori, ma purtroppo questa pratica è poco comune per chi ha appezzamenti più piccoli, o per i più “tradizionalisti”. O per chi semplicemente ama fare questo lavoro con calma e con la gioia di riunire la propria famiglia in un ambiente sano e naturale.
Mi chiedo se queste richieste dei frantoiani siano effettivamente giustificate: immagino che per il macchinario frangere un minimo tecnologico comporti una grossa perdita di efficienza, ma oggi purtroppo non abbiamo un numero adeguato di mini-frantoi nella nostra regione. E quindi la nostra scelta è obbligata.
Grazie, ed ancora un ringraziamento per la condivisione di queste tematiche.
Antonio Mazzei
Gentile Sig. Mazzei,
la sua lettera è preziosa perché ci permette di accendere nuovamente un faro sull’olivicoltura hobbistica che tanto rappresenta dell’olivicoltura italiana. Può essere ormai in abbandono ma esiste e ha delle problematiche che meritano rispetto, pur scontrandosi con problematiche economico-gestionali ma anche tecnologiche.
Un piccolo olivicoltore hobbista si trova nella condizione che far l’olio da sé gli costa certamente di più che andarlo a comprare non solo al supermercato ma anche dal frantoio.
Le difficoltà non sono solo alla frangitura ma anche, per esempio, con la scomparsa dei presidi fitosanitari utili alla difesa per chi ha poche piante e non dispone del patentino.
Il tema da lei posto, però, non riguarda solo la convenienza, posto che l’hobbista, per portare a casa il proprio olio, è disponibile anche a pagare di più la frangitura ma l’economicità per il frantoio che difficilmente potrà giustificare investimenti di linee di estrazione, personale, spazi per accontentare le esigenze dell’olivicoltura hobbistica che saranno discontinue, alternanti e, probabilmente, a decrescere nel medio-lungo termine.
L’efficienza di lavorazione cala drasticamente con le piccole partite, posto che ciascuno vuole avere il proprio olio, implicando lo svuotamento del decanter ogni 200-300 kg di olive. Ammesso che sia tecnicamente possibile.
Oltre a problemi economico-gestionali, infatti, ve ne sono anche di tecnologici.
A partire dalla gramolazione: vasche da 500-600 kg (lo standard in commercio) consentono una gramolazione accettabile, e quindi una buona coalescenza delle goccioline d’olio con conseguente buona resa di estrazione, solo quando riempite almeno a metà. E’ un limite dell’aspo rotante che non può eseguire un adeguato rimescolamento quando è presente troppa poca pasta di olive in gramola. E’ questa la ragione per cui vengono richiesti quantitativi minimi di 250-300 kg oppure l’accorpamento di più partite.
Un altro problema tecnico riguarda il decanter. Partite troppo piccole non consentono su decanter di medie dimensioni, da 30 quintali/ora in su di capacità di lavorazione, di eseguire un’adeguata separazione delle fasi, con conseguente perdita di efficienza e abbassamento della resa in olio spesso a livelli inaccettabili, premesso che il decanter sia vuoto all’immissione della pasta della piccola partita. Per mantenere l’efficienza occorre accettare il compromesso di non svuotare il decanter, di fatto non prendendo il proprio olio ma una “miscela” dell’olio proprio e della partita che ci ha preceduto.
Premesso che, come i problemi tecnologici sono superabili con i compromessi illustrati, la perdita di efficienza di un sistema partitario basato su piccole partite è notevole, non fermandosi alla sola gestione dell’impianto ma anche al carico burocratico (registro Sian per esempio).
Nel complesso, oggi, l’unica vera soluzione è l’aggregazione tra hobbisti sia in forma mutualistica (aiutandosi in raccolta e accorpando così le olive di ciascuno fino ad arrivare alla soglia) sia in forma cooperativa (affidandosi a spin off che stanno nascendo che si occuperanno della raccolta, del trasporto in frantoio e anche dell’accorpamento delle partite laddove richiesto).
Cordiali saluti
Alberto Grimelli
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