Editoriali

Agronomi e Forestali: una professione che guarda al futuro

18 settembre 2010 | Andrea Sisti

Nel determinare il titolo del XIII Congresso abbiamo riflettuto molto su come, nel tempo, le realtà locali siano state influenzate dalle dinamiche internazionali e su come, oggi, invece, le realtà locali possono condizionare la globalizzazione. Credo che la via Emilia, abbia questo rilievo. Lungo questa direttrice si è sviluppata l’agricoltura moderna con le sue contraddizioni ma anche con la sua forza.
Una pianificazione territoriale basata sulla trasformazione dei suoli per accompagnare un modello che è quello della catena del valore senza tener conto del futuro o meglio della complessità e della sostenibilità delle scelte.
Nel nostro XIII congresso abbiamo voluto portare quattro temi di discussione riservati alla nostra categoria e tre tavole rotonde aperte ai diversi attori del sistema per ragionare di futuro.
Non posso non pensare al futuro, in un periodo dove la crisi finanziaria prima e molto probabilmente di fiducia oggi significa crisi di sistema. Molte nostre colleghe e molti nostri colleghi vivono situazioni non semplici, soprattutto nelle giovani generazioni. Perché fare un congresso in un momento di crisi, potrebbe venire da chiedersi. Perché riversare tante energie e anche denari nell’organizzare un congresso con il rischio di fare solo qualche chiacchiera in più o qualche pubblicazione!
Con il solo Congresso non si potranno risolvere i tanti problemi della nostra categoria ma certamente la discussione sul nostro futuro rimane per me, in modo prioritario, una grande sfida.
Come in tutti i periodi di crisi il futuro si guarda con occhi appannati o meglio, la chiarezza degli obiettivi risulta incerta e la strada da percorrere tortuosa. Ecco perché la necessità di un confronto costante con l’intera nostra categoria e con le realtà locali dei nostri ordini. Il confronto, così come lo scontro critico ma leale, fa nascere idee dalle quali muovere proposte per una migliore soluzione dei problemi. Io credo che la nostra categoria, quella dei dottori agronomi dei dottori forestali, in Italia deve essere protagonista del cambiamento. Il rapporto con le nostre Facoltà di Agraria, la scelta di un percorso impegnativo che vede una interazione costante di feed-back tra la ricerca e formazione accademica e la risoluzione tecnica dei problemi dei professionisti è punto cruciale nell’affrontare il futuro con fiducia. Costruire un nuovo modello di sviluppo coniugando l’information tecnology con la ruralità, la produzione agroalimentare, la gestione della trasformazione territoriale. L’identità dei luoghi di vita e quindi del paesaggio è una sfida nel rapporto tra vivente e non vivente. Di questo contesto la nostra professione deve essere fulcro e protagonista attiva, con coraggio. Una professione under costruction, una professione in evoluzione. Dopo le discussioni, però ci vogliono anche delle certezze: le competenze. Il ruolo che la nostra categoria deve avere nella società è di ordini professionali come garanzia sulle competenze di una categoria professionale. E’ questa la modernità di un ordine professionale. Non è certamente quella della competizione tra ordini alla ricerca degli iscritti il modello a cui noi ed io facciamo riferimento. Un ordine non è una società di capitali in competizione con altri soggetti. Se questo fosse avrebbero ragione i detrattori degli ordini.
I cardini della riforma devono essere senza dubbio quelli del mantenimento dei registri pubblici (Albi), della formazione di ingresso, dove i percorsi di laurea prevedano al proprio interno specifici esami propedeutici all’esercizio della professione. Una formazione e aggiornamento di permanenza, con momenti di verifica, la copertura assicurativa con polizze professionali specifiche, rispetto delle regole deontologiche con commissioni disciplinari terze rispetto alla governance della tenuta degli Albi.
Responsabilità ma anche diritti, compensi professionali basati su standard professionali riconosciuti, valorizzazione delle proprietà intellettuali, fiscalità di vantaggio per i piccoli studi professionali. Sono solo alcune scelte come quella della natura pubblica della Governance degli Albi e la relativa vigilanza dello Stato. Un discorso a parte merita, invece, l’esercizio professionale dei dipendenti sia pubblici che privati. Credo sia giunto il momento in cui l’esercizio della professione abbia una unica regolamentazione e che il professionista dipendente sia tenuto al rispetto delle regole che contraddistinguono quella professione. Per un principio di responsabilità e terzietà che il professionista deve avere nei confronti dell’interesse pubblico.
Dai congressi e dal lavoro dei 92 Ordini provinciali, delle 18 federazioni e dal Consiglio Nazionale deve emergere chiara la volontà di promozione delle nostre competenze professionali, soprattutto in termini positivi. Io credo fermamente che lo sviluppo del sistema agroalimentare, della gestione del territorio, della tutela e della progettazione ambientale e paesaggistica sia fondamentale il nostro ruolo. E’ garanzia per la collettività. Progettare la riorganizzazione dei nostri territori, promuovere uno sviluppo sostenibile nelle corde dei dottori agronomi e dei dottori forestali implica responsabilità sociale, etica, deontologia. Molto spesso mi domando se rimarcare il ruolo professionale di una categoria sia solo lobby, cioè se sia indifferente se una determinata prestazione professionale venga svolta da chiunque, da professionisti con percorsi formativi eterogenei o meglio distanti tra di loro. La risposta è no. Un ordine professionale ha il dovere nei confronti della società di far rispettare le competenze professionale e promuovere le stesse perché è garanzia dell’utente finale della prestazione. Occorre che gli Ordini espongano chiaramente le competenze professionali e gli albi degli iscritti con i relativi curriculum in modo tale che ogni cittadino possa verificarne la rispondenza. Affronteremo questo ed altri importanti temi all’interno del XII Congresso. Il modello produttivistico dei Paesi occidentali, la riforma della PAC, la sicurezza e valutazione dell’ambiente, con l’obiettivo di stimolare alcune riflessioni.
Questo è l’anno mondiale della biodiversità. Alcuni dati: il 65% delle calorie mondiali è soddisfatto da tre specie vegetali (grano, mais e riso), il 95% da altre 15 specie vegetali. La deruralizzazione delle campagne segue lo schema produttivistico e cioè quello delle concentrazioni urbane, milioni di persone oltre che migrare da un continente ad un altro migra dalla campagna alla città con uno schema che ormai si ripete da alcuni secoli. Continui disastri ambientali provocano la morte di milioni di persone. Non sono solo i cambiamenti climatici ma è senz’altro la distribuzione delle popolazioni in questo pianeta che forse andrebbe pianificata meglio. Negli ultimi anni si è aperta una discussione se questo modello delle concentrazioni sia quello migliore per gestire il futuro. La riduzione delle superfici coltivate, la difficoltà della produzione agricola a mantenere livelli di reddito e contestualmente soddisfare le esigenze delle concentrazioni urbane, gli sprechi alimentari delle concentrazioni urbane e contestualmente le esigenze di garantire la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente ed il contestuale uso di sostanze chimiche, la necessità di produrre ed al tempo stesso la necessità di mantenere una larga base genetica per “resistere al futuro”. Tutti temi variamente discussi, forse da pochi punti di vista. Noi dottori agronomi e dottori forestali vogliamo portare il nostro punto di vista, insieme a tante altre esperienze che nei giorni dl congresso ci vedranno dibattere. Perché pensare al futuro, oggi, è qualcosa di raro e necessario. Buona riflessione.

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