Editoriali

BIO, COME STAI?

17 giugno 2006 | Luciano Didero

Mancano poco più di due mesi all’edizione 2006 della Fiera "Sana" di Bologna, un appuntamento fondamentale per il settore, specie di questi tempi. L’anno scorso fu registrato un umore “negativo” per quanto riguarda gli operatori e un atteggiamento un po’ “stanco” nell’ambito della distribuzione, che dopo anni fece registrare una ripresa del mondo dello specializzato e un calo della Gdo, una controtendenza spiegabile con lo slogan “gli affari prima di tutto”. Come a dire una vera rivoluzione, rispetto ai dati acquisiti fin qui.

Entrambi i fenomeni hanno una giustificazione, ma sulla scena manca ancora un protagonista: le Istituzioni, il Governo. Ma partiamo dagli operatori della produzione, ai quali va in ogni caso il merito di averci creduto in tempi ormai lontani, quando il bio era cosa ignota ai più. Nel momento del “big bang” (nel 1991, anno dell’emanazione del Reg. Cee 2092/91) gli operatori erano assai pochi, in parte felici di essere tali. In anni seguenti alcuni si lamentarono della crescita, che aveva “inquinato” il sistema bio, forse lo aveva un po’ snaturato, con l’entrata in gioco delle grandi aziende, della trasformazione e della distribuzione, con tutta la sua (troppa) forza. Se in quella fase la crescita si basò sull’entusiasmo e sulla disponibilità più che sugli studi di mercato (e fu purtroppo un grande errore, anche se forse inevitabile per l’epoca), negli anni seguenti ne fu fatto un altro, la cui importanza fu compresa solo in seguito.

Mi riferisco alla ben nota legge 2078, che pur nata con scopi diversi contribuì a dare un forte impulso al biologico italiano. Soldi “pubblici”, per intenderci, a chi poteva produrre secondo il metodo biologico. Tutto certificato e in regola. Tuttavia mancante del solito anello “finale”: il mercato reale, non quello potenziale. Infatti, in quella fase solo una parte del prodotto biologico ottenuto anche grazie agli “aiuti” raggiungeva il consumatore come tale, ma era forse un 40 % del totale, il resto non era “buttato”, ovviamente, ma raggiungeva il consumatore nella veste convenzionale. Facendo così perdere immagine e profitti. Ma il sistema, all’epoca, si accontentò in ogni modo del risultato, finché durò. Poi, stretti i cordoni della borsa, ecco che molti operatori “scapparono” dal sistema: non ricevendo più aiuti e non riuscendo a entrare sul mercato con il marchio bio, semplicemente tornando a fare il solito lavoro. Il convenzionale, che non è un’offesa.

Per questo è corretto affermare che il sistema in questo modo, anche involontariamente, si è “dato una regolata” in fondo necessaria: gli aiuti non potevano continuare all’infinito, come alcuni avevano detto fin dall’inizio. Mancava come parte fondamentale dell’aiuto il ruolo delle Istituzioni, che molto avrebbero potuto fare per consentire una penetrazione del bio nei consumi ben al di là di quel milione di consumatori – un po’ bio originari, un po’ per caso - che alcuni osservatori videro come un successo. In realtà non era altro che l’obiettivo minimo che si doveva raggiungere, per essere alla pari con i grandi paesi Ue (il cui consumo bio procapite è superiore al nostro, in alcuni casi anche di molto).

Così, nell’attuale fase di stagnazione che grazie alle difficoltà economiche delle famiglie italiane potrebbe durare ancora per un po’, abbiamo la possibilità di lanciare – certo non per primi – un necessario messaggio urgente al prof. Paolo De castro, nuovo Ministro per l’Agricoltura: è tempo di fare per questo settore quanto non è stato fatto negli anni scorsi. Anche in termini quantitativi. Non parliamo più di aiuti ma di considerazione, anzi di azioni: marketing, comunicazione, promozione e tutto quanto va fino alle offerte speciali. Che devono riguardare il biologico come un qualunque settore “moderno”. Spendere di più, investire nella stessa misura dei nostri competitori, la Spagna per esempio. E imparare a farlo meglio, con più qualità: anni fa una campagna stampa sulla carta patinata nazionale aveva come icona prodotti biologici sì, ma di altri paesi. Una contraddizione, come a dire, culturale e professionale. Nessun altro commento, si può solo migliorare. E forse anche l’umore ne risentirà positivamente.

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