Editoriali

Dal papiro al bit

18 maggio 2013 | Francesco Presti

Le piante sono coltivate dagli uomini non solo per il cibo, anche per trarne utilità di vario tipo. Ci sono, infatti, alcune piante non destinate all’alimentazione che esprimono il loro valore attraverso altre vie e ancora oggi ne restano tracce inconfutabili in molte culture, fra queste sicuramente il papiro (Cyperus Papirus L.) per millenni supporto per la scrittura.

A livello etimologico, in molte culture occidentali si evince l’importanza di questa pianta che conserva tutt’oggi il suo significato originale di foglio su cui scrivere: paper nella cultura anglosassone, papael in spagnolo e portoghese, papier in francese e tedesco.

Non è un caso infatti che byblos sia una delle parole più antiche che indica la pianta del papiro, da cui la nostra “biblioteca” e la “Bibbia”. I primi libri non avevano l’aspetto che noi oggi conosciamo, ma erano in forma di rotoli che, conservati in apposite custodie in legno con forma cilindrica venivano chiamati “volumen”: da qui l’espressione arrivata fino a noi “volumi”.

Di questa pianta non si buttava via niente: radici, foglie, fusti, midollo potevano essere usati sia in cucina che nell’attività di artigianato, con le foglie si facevano corde, vele, vestiti e utensili di ogni tipo. Nella tradizione religiosa i suoi giunchi intrecciati sono serviti da culla ad un neonato Mosè alla deriva sul Nilo.

Il papiro cresce spontaneo nelle aree subtropicali, il suo ambiente naturale è sulla riva dei fiumi ed è per questo che il delta del Nilo è il luogo ideale per il suo sviluppo. Ad Alessandria d’Egitto il papiro conobbe l’epoca del suo splendore grazie alla presenza del più importante tempio della conoscenza dell’antichità: la Grande Biblioteca di Alessandria (oltre 500.000 volumi conservati).

Unica rivale di Alessandria era Pergamo (attuale Bergama, in Turchia nella provincia di Smirne); qui era presente un’altra grande biblioteca e la città fu un centro artistico e culturale molto importante. Nel II secolo a.C. le città entrarono in conflitto e il sovrano di Alessandria cessò cosi l’esportazione del papiro. Fu cosi che a Pergamo si iniziò a ricavare il supporto attingendo non più dal regno vegetale ma da quello animale, la pergamena (dal nome della città di origine) è ottenuta infatti da pelle non conciata di animale opportunamente lavorata e fatta asciugare sotto tensione. A partire dal V secolo d.C. fino al XIII secolo la pergamena fu l’unico supporto per la scrittura. A sua volta questa fu abbandonata gradualmente con l’arrivo della carta che a partire dal XIV secolo invase l’Europa.

La storia della carta è intricata e lunghissima, in Europa arriva grazie ai commerci con l’oriente e in origine come materia prima venivano usate cortecce o steli di varie piante. Sebbene il metodo di fabbricazione sia una ricetta straniera, dobbiamo agli Europei le invenzioni che hanno permesso di fabbricare la carta su scala industriale, sorse cosi nel 1268 a Fabriano la prima cartiera d’Europa.

Si dovrà aspettare comunque il 1800 per ottenere la carta ottenuta dagli alberi, poi con il perfezionamento dei processi meccanici e chimici si arriverà alla carta come la conosciamo oggi.

Oggi possiamo affermare che il ciclo della carta sia al tramonto, il bite scavalcherà la cellulosa proprio come, secoli fa, la carta ha sostituito la pergamena. Il dominio del supporto digitale sembra inesorabile, perché in fondo delle pagine elettroniche paghiamo solamente il costo intellettuale.

È possibile che fra alcune generazioni la carta cada in disuso, e magari fra qualche secolo i nostri libri saranno esposti nei musei proprio come lo sono oggi i papiri degli antichi egizi. La Grande Biblioteca di Alessandria oggi potrebbe entrare in un singolo hard-disk e c’è da scommettere che il progresso porterà a nuovi e inimmaginabili modi per diffondere e comprimere il sapere, l’arte e l’informazione in formati virtuali, a meno che l’energia per poter alimentare questi supporti un giorno non finisca, altrimenti i nostri pronipoti si troveranno in mano solo una scatola di metalli e circuiti.

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francesco presti

21 maggio 2013 ore 09:48

Vi ringrazio per aver arricchito questa riflessione sul ruolo che piante e animali hanno rappresentato e rappresentano nel corso della storia dell'uomo.
Al Sig. Nauselli dico che ha perfettamente ragione, le nuove tecnologie hanno vita sempre più corta( basti pensare a cassette,videocassette, minidisk), il supporto fisico diventa sempre più piccolo mentre i dati stanno andando tutti sulla rete. è difficile rispondere alla Sua domanda, chissà se avremo il tempo di essere spettatori di questa vicenda!

Piero Nasuelli

18 maggio 2013 ore 08:59

Sono un affezionato lettore e ormai mi considero un commentatore abituale.
Premetto che non si può più fare a meno dei PC e degli amati/obiati bit.
Senza l'informatica la nostra società sarebbe senz'altro più povera.
Condivido l'editoriale, anche se mi permetto una chiosa.
Rifersco di un aneddoto.
Nella Torre di Londra è conservato il Domesday Book commissionato nel 1085 da Guglielmo il Conquistatore che raccoglie l’inventario o censimento di tutti i beni del Regno. Oggi quel libro è tutt’ora consultabile e rappresenta un documento storico di straordinaria importanza. Ho letto, anni fa, un articolo che riportava che quando Elisabetta II d’Inghilterra salì al trono ritenne opportuno procedere ad un analogo inventario. Il tutto venne memorizzato su un supporto informatico in uso in quegli anni. L’archivio informatico realizzato a suo tempo non è stato opportunamente convertito con il cambiare dei sistemi operativi e dei supporti pertanto in tempi recenti si è reso necessario investire una rilevante somma di danaro e mobilitare ingegneri elettronici per recuperare l'archivio commissionato dalla Regina Elisabetta II. Questo episodio, se vero, mette in evidenza quanto nell’era dell’informazione in realtà la stessa informazione ha una vita breve e ben poco rimane di quanto viene scritto su questi nuovi supporti. Sono passati 1200 anni e il libro è ancora li.
I libri andranno nei musei, ma dei bit rimarrà traccia?

antonio checchi

18 maggio 2013 ore 06:43

Credo che il dott. Presti abbia ragione; pochissimi sono gli studenti del mio corso che leggono il giornale. Le notizie viaggiano in altra maniera e anche la cultura viene tramandata non in modo tradizionale. Se osservo io figlio o i suoi amici, mi accorgo di essere culturalmente lento e vecchio. Io mi autocontrollo sulla inciclopedia, mio figlio su Wikipedia, magari tutto questo in pizzeria a pranzare in mezzora(sic!)