Editoriali

E' BIOLOGICO? NON SI FA

05 marzo 2005 | Luciano Didero

Che cosa “non si fa”, o non si dovrebbe fare nei confronti del biologico? Come in ogni altro settore, della cattiva informazione, sbagliata e in ogni caso fuorviante, come poteva accadere una decina d’anni fa, agli albori di questa concezione produttiva. Invece accade ancora che si leggano titoli del genere “FIDARSI DEL BIOLOGICO?”. Parliamo di una rivista che rientra nella categoria dei “femminili” (ma questo è importante perché tuttora sono le donne che solitamente fanno la spesa, e influenzare loro vuol dire creare un nuovo mercato o sconvolgerne un altro). Questa pubblicazione, bella e patinata, è apparsa sul mercato editoriale nel 2005 e con il biologico al centro della copertina del suo numero due, febbraio. Dieci e più anni fa, come si diceva, il settore era appena nato, ed era quindi comprensibile che vi fossero dei dubbi riguardo alle metodologie produttive – si può davvero sostituire la chimica con composti e tecniche rispettose dell’ambiente, non ci saranno delle contaminazioni tra un campo biologico e le vicine coltivazioni convenzionali, ma anche e soprattutto ci si potrà fidare dei controlli? – dubbi che per diversi anni avevano tenuto la distribuzione “alla finestra” per non rischiare in termine d’immagine e di affari. Poi l’efficacia dimostrata dagli Organismi di controllo permise un avvio e uno sviluppo produttivo e commerciale che hanno fatto storia nell’agroalimentare italiano, con un saggio del + 20 % l’anno lungo tutto l’ultimo decennio. Se all’epoca parlarne in modo “dubitativo” era in buona misura comprensibile, e del resto il “bio” si era fatto non pochi nemici nell’ambito della grande industria chimica – dei pesticidi e assimilati, per intenderci - farlo oggi non lo è altrettanto. Nel 2005 un titolo “supponente”, non supportato da dati altrettanto preoccupanti nell’articolo all’interno della rivista, anzi il testo è sostanzialmente equilibrato, non si capisce. A meno che ci siano dei detrattori ai quali il biologico “dà fastidio” proprio perché da nicchia è diventato un segmento, piccolo ma significativo: parliamo del 2 % dei consumi alimentari degli italiani. Un segmento che gioca le sue carte nell’ambito dei prodotti di rango, quelli dall’elevato valore d’immagine ma anche dal prezzo alto (mediamente un 20 – 30 % in più dei corrispondenti prodotti convenzionali). I consumatori che possono “pagare di più” per avere delle prestazioni più elevate fino all’anno scorso rappresentavano un 20 % delle vendite potenziali, ma tale percentuale grazie alla crisi economica che ha rallentato i consumi in tutti i settori – e non si vede perché il biologico dovrebbe considerarsi fuori da queste dinamiche – potrebbe restringersi e quindi accrescere la competizione con gli altri prodotti “top”: DOP, IGP, innovativi per composizione, per l’origine, per il fattore moda, ecc. In fondo, il biologico, tra gli ultimi arrivati in questa area fortemente competitiva, non può non avere dato qualche problema a chi si era abituato ad un mercato magari statico ma “tranquillo”. Oggi, in condizioni più difficili e dinamiche, qualcuno potrebbe pensare che “parlarne male” potrebbe essere un modo per contenerne la capacità di penetrazione, immaginando che anche il mercato sia “in crisi”, come in qualche modo è accaduto per ora per quanto riguarda i soli assetti produttivi: meno ettari e aziende attive da un paio d’anni a questa parte. Fare della dietrologia forse è peccato, ma alcuni esperti ci dicono che spesso ci si prende. Aspettiamo contributi in questa direzione.

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