Editoriali
Il coraggio di osare
11 febbraio 2012 | Luigi Caricato
Mai demordere, credetemi. Occorre dimostrare sempre tanto coraggio e osare, senza mai tirarsi indietro. E’ un comandamento per me vitale. Fa parte intrinsecamente di me, della mia natura. E comunque vada, sono fortemente convinto che ci sia sempre lo spazio per lasciare il proprio segno nella storia. Non importa che questa storia sia soltanto quella personale o che rimanga circoscritta alla propria sfera di conoscenze. Certo è che anche i piccoli segni contribuiscono alla buona risucita di un sano proposito. Ciascuno di noi può di conseguenza dare il proprio personale contributo e contribuire alla costruzione di una casa comune utile e confortevole per tutti. D’altra parte, è pur vero che se la società è in crisi, lo è perché i singoli individui non hanno più la volontà e la tenacia nell’imprimere quella forza necessaria nel dare una svolta a se stessi prima ancora che attenderla dall’esterno.
Il Paese può anche andare a rilento, e continuare a manifestare sfiducia nei propri mezzi, ma sono sempre più convinto che l’azione individuale possa come al solito fare la differenza. Non so voi, ma io ho ricevuto una educazione semplice ed elementare, in cui si riconosce e si attribuisce il giusto valore a due elementi importanti ed essenziali: il lavoro e la propria libertà, due aspetti che costituiscono la vera anima propulsiva della storia. Il lavoro c’è sempre, credetemi, anche quando si lamenta in maniera ossessiva il fenomeno della disoccupazione. So che posso contrariare più di qualcuno, nel sostenere che ci sia lavoro a sufficienza per tutti, lo so bene; ma il fatto è che il lavoro occorre anche inventarselo e sollecitarlo, proponendosi e cercando nuove vie, non rimanendo in attesa di trovarne uno codificato e magari anche sotto casa.
In campagna c’è per esempio mancanza di manodopera, ma anche di personale qualificato, perché è difficile reperirne a sufficienza. Certo, so bene che il lavoro agricolo non sia socialmente gratificante e che in molti lo evitano proprio perché il lavoro della terra non è in grado di soddisfare le attese dei giovani e nemmeno dei meno giovani, anche sul piano economico, ma così, di questo passo, non si può andare avanti.
E’ illusorio pensare che l’agricoltura possa essere evitata solo perché poco redditizia. Non è la strada giusta da percorrere, perché di fatto non è così, la realtà è ben diversa: di agricoltura si ha urgente bisogno e non se ne può fare a meno. In un’agricoltura in cui vi è una progettualità i riscontri del mercato ci sono, ma per ottenerli è necessario costruire delle solide basi su cui far leva. Fintanto che il Paese rifiuta i lavori della terra perché li relega come avvilenti e poco gratificanti, si entra in un circolo vizioso che non offre alternative allo stato attuale. Ciò che in pochi hanno tentato di fare è di lavorare sulla società, affinché questa accolga la dignità dei lavori della terra a partire dal rispetto delle materie prime alimentari che non possono certo essere soggette agli abusi e alle speculazioni del mercato. Dietro l’irrazionale e irrefrenable voglia di riasparmiare a tutti i costi sul cibo non attribuendogli il meritato valore, il consumatore sconfigge se stesso e la sua dignità di persona, diventando nel contempo anche complice degli speculatori e responsabile di chi per necessità è costretto ad abbandonare la terra per l’impossibilità di ricavare un reddito che gli garantisca gratificazione e decoro.
Riflettendo ogni santo giorno sul perché l’agricoltura non sia più concepita come elemento fondante di una società, mi convinco sempre più che in molti siano ormai diventati ciechi e sordi di fronte al dilagante egoimo da cui sono in qualche misura attraversati e devastati, senza nemmeno saperlo. In molti casi vi sono persone che non riescono a scorgere in sé l’insensatezza di alcuni atteggiamenti, salvo poi lamentarsi della mancanza di lavoro quando invece il lavoro di fatto c’è, ma non lo si vuol vedere perché non lo si considera più tale.
Il lavoro agricolo sembra non meritare alcuna considerazione, eppure in qualche modo da questo cul de sac che non porta alcun vantaggio alla società occorrerà prima o poi uscirne, per non perdere del tutto il proprio legame con la terra. Sarà che io sono fiducioso per natura, ma a conti fatti ritengo che si possa sicuramente dare una svolta a questo stato di impasse in cui ci siamo maldestramente impantanati. Ci vuole più coraggio, senza dubbio; e forse a mancare è proprio questo coraggio di osare, questa voglia di accettare le sfide e mettersi in gioco senza pensare ad altro che a se stessi e al proprio star bene, indipendentemente da ciò che la società, con i suoi condizionamenti, ci impone.

Commenta la notizia
Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Accedi o RegistratiVincenzo Lo Scalzo
12 febbraio 2012 ore 15:15Caro Luigi, leggo con il piacere di chi si associa radicalmente ai principi che hanno svolto il ruolo di pilastri di vita della mia e tua educazione, e dell'educazione di tanti altri che come noi non hanno timore di "osare".
I principi sono semplici. Li ricordo per farne l'eco più convincente: "Non so voi, ma io ho ricevuto una educazione semplice ed elementare, in cui si riconosce e si attribuisce il giusto valore a due elementi importanti ed essenziali: il lavoro e la propria libertà, due aspetti che costituiscono la vera anima propulsiva della storia.".
Io in quasi ottanta anni di pratica ne sono profondamente soddisfatto, avendo associato in valore che la mia libertà vale come il rispetto per quella degli altri. Ovviamente deve essere reciproco, per convincimento, non solo per obbligo. E mai la propria libertà deve essere messa a scudo dell'offesa, ma essere sempre stimolo alla difesa.
Purtroppo la comunicazione a cui siamo abituati non è aderente a questi semplici principi etici. Il signor Giuliano ne fa testimonianza, e l'uso di quella comunicazione è concesso senza la promessa di comunicare con rispetto di verità, nei limiti della comprensione e dei significati delle proprie e altrui interpretazioni, palese e aperta al dibattito.
Osare è azione audace, eroica, da leggenda. Di fatto si diventa leggenda per fare, proporre, stimolare la realizzabilità di sogni che rivolti alla società e al suo benessere sono tanto positivi quanto autostimolanti. Hanno sono bisogno di essere condivisi e creduti, non che criticati per trasformarsi in progetto vincente e condiviso.
Luigi, ho chiesto ai miei partner americani - tra i primi tre del mondo, esperti e chiamati al compito di verificare e dare consistenza a strategie e alle loro probabilità di successo ai più importanti gruppi industriali del pianeta, se avessero avuto esperienze nelle filiere della chimica naturale, oltre che di quella dell'uomo, ebbene Jeff è positivo. Si tratta di impostare una alternativa trasparente anche se confidenziale, perchè è l'Italia che deve andare alla rincorsa dei successi delle strategie che Spagna e Grecia (quest'ultima oggi in gravi difficoltà, e la prima non certo in uno scenario tanto favorevole) hanno da anni impostato con successo.
Festival può diventare occasione di divulgazione del ruolo italiano nella conservazione del prima mediterraneo per una sua condivisione con il resto del pianeta. Ma i tesori vanno conservati, non possono essere gettati al vento, ma felicemente e sapientemente gestiti e lasciati o spinti a crescere di valore.
Piero Nasuelli
12 febbraio 2012 ore 06:52Caro Caricato, i suoi articoli sono sempre stimolanti e condivisibili, questa volta intervengo perché ritengo opportuno riflettere su un aspetto di fondo, direi quasi “epistemologico” Mi riferisco in particolare al suo 3° capoverso quello che inizia con: “E’ illusorio pensare che l’agricoltura….”
La sua analisi parte dal presupposto che lo Stato, il quale “raccoglie” con le tasse il 50-60 % del reddito dei singoli cittadini , svolga la funzione di riallocazione della ricchezza nei modi e nei tempi che ritiene più opportuni favorendo questo o quel comparto produttivo.
Mi creda tutto questo è velleitario.
Il “coraggio di osare” sarebbe quello di smantellare l’ingerenza dello Stato in funzioni e compiti che non gli sono propri.
Un paio di settimane fa ho commentato l’intervento del Presidente Politi citando l’opera di Smith “la ricchezza delle nazioni” ed in particolare un passo che riguardava il commercio dei grani.
Semplificando, Smith dimostra in modo inequivocabile come tutti gli strumenti di politica economica volti ad impedire il commercio del grano erano gli elementi che provocavano le grandi carestie.
Il concetto di allora era semplice, se in un paese manca il grano, ne impedisco l’esportazione, ma tutti si comportavano così. Il risultato è oggi facilmente immaginabile. Solo quando si “liberalizzò” le cose cambiarono ed oggi è impensabile pensare ad una “carestia” di grano. Le politiche “protezionistiche” sono sempre state disastrose si pensi solo alla “battaglia del grano” di mussoliniana memoria o alle “economie pianificate” comuniste.
Il “coraggio di osare” sarebbe quello di dire che in un mondo globalizzato le politiche di “sostegno” ai comparti produttivi, mi riferisco a tutti i comparti, dall’agricoltura al terziario avanzato devono essere profondamente riviste. In questi tempi di crisi profonda tutti chiedono soldi, non c’è piano che preveda provvedimenti da centinaia di miliardi di euro. Chiediamoci, ma questi soldi da dove vengono o da dove verranno? Semplice dal nostro lavoro, dal nostro risparmio.
Le chiedo , affiderebbe metà della sua “ricchezza” presente e futura ad uno sconosciuto il quale non le dice che cosa farà con quei soldi e tanto meno quanto potranno rendere?
In contesto del genere non si tratta di concepire l’agricoltura come “elemento fondante..” si tratta di concepire una società diversa.
Una società più “libera”, meno condizionata dallo Stato, ma più governata per impedire che abbiano la meglio i “farabutti”, tanto per capirci, quelli magnificamente rappresentati nella favola di Fedro del lupo e dell’agnello.
Giulio P.
11 febbraio 2012 ore 13:25Gentilissimo Luigi,
le confesso che mi batteva il cuore nel leggere il suo editoriale a cominciare da quel “mai demordere” che detto a un agricoltore poi, che come tutti, non molla per natura è un tutto dire.
Complimenti e grazie delle belle parole tutte condivisibili, come quando lei dice che il lavoro c'è ma non lo si vuole trovare, come darle torto.
Dio solo sa infatti quanto sta diventando difficile trovare in campagna persone che abbiano voglia di aiutarti nel momento del bisogno.
Ricordo quando io ero un bambino quanti studenti universitari accorrevano in campagna per la vendemmia a guadagnarsi quei soldi preziosi da investire nello studio, ora i nostri giovani super tutelati si guardano bene da un lavoro dove come minimo ci si sporca le mani.
E mi chiedo spesso anch'io come lei perché l’agricoltura non sia più concepita come elemento fondante della nostra società, eppure questa ha e sta dando tanto, sia in termini di produzioni di qualità, di export e di indotto. Mi ha fatto molto questa settimana leggere su Repubblica on-line (http://www.repubblica.it/motori/attualita/2012/02/07/news/telemetria_su_trattori-29431154/?rss) un articolo dal titolo molto significativo: “Brutta fine per la telemetria,
dalla Formula 1 ai trattori” ma come brutta fine mi sono chiesto, per me questa è una splendida conquista. No, il giornalista piuttosto che interpretare questo fatto in modo positivo ha preferito usare la definizione “brutta fine”, e questo però ci fa capire quale concetto lui (e non solo lui) abbia dell'agricoltura. Mi chiedo, ma di cosa si nutrirà lui stesso ogni santo giorno? Inutile dire quanto sia stata superflua una mia lettera di protesta al riguardo. Concludendo quindi, le dico ancora grazie a lei e a Teatro Naturale per questo articolo che a me serve di sprone. Saluti e buona settimana.
Giulio P.
12 febbraio 2012 ore 21:08Gentilissimo Luigi,
ho letto il suo racconto "INVERTIRE LA ROTTA" e devo dirle che come agricoltore mi ci identifico appieno.
Grazie e ancora complimenti.