Editoriali

In agricoltura non esiste democrazia

09 aprile 2011 | Luigi Caricato

 

In agricoltura non esiste democrazia. Almeno in Italia. Anzi, soprattutto ed esclusivamente in Italia. Ne scrivo con un sentimento di profonda amarezza, e con un dispiacere talmente grande da ritenere incolmabile, e purtroppo senza soluzione, una simile, lacerante e irrisolta anomalia.

A conti fatti sono ormai due decenni pieni pieni che mi occupo di problematiche agricole. Da osservatore esterno, in qualità di giornalista. In tutto questo tempo ho notato come nel corso degli anni l’agricoltore di fronte alle realtà che lo riguardano sul vivo delle questioni non sia mai cambiato negli atteggiamenti.

Tranne poche eccezioni, l’agricoltore è sempre assente nel momento in cui vanno prese decisioni cruciali per la sua attività. E questa assenza molto spesso è frutto di una propria scelta, per l’abitudine a delegare ad altri, di solito per negligenza o indifferenza o inedia, ma anche perché in fondo dalle associazioni di categoria si attende di essere rappresentato per davvero e non per finta come spesso accade.

E’ evidente che in un simile contesto, la democrazia in agricoltura, senza peraltro una partecipazione attiva da parte degli interessati, un po’ traballi. In tutto ciò, l’elemento fortemente negativo, sta tutto nell’abuso di potere esercitato da parte di coloro che dovrebbero rappresentare gli agricoltori, ma, fingendolo di farlo, in realtà se ne disinteressano totalmente.

Per carità, non tutte le associazioni di categoria sono da ritenere colpevoli, ma almeno una di queste lo è in maniera più che consolidata ed evidente, al punto che non è nemmeno il caso di citarla giacché tutti sanno di si tratta. Questa associazione agricola di categoria occupa così da tempo tutti gli spazi di potere, avendo in ogni organismo pubblico i propri rappresentanti, quasi esclusivamente uomini, perché di donne non se ne vedono per nulla.

Tale occupazione di potere determina da un lato la possibilità di tenere tutto sotto controllo, e di gestire con spensieratezza il denaro pubblico della collettività, indirizzandolo a persone o gruppi amici, fino a condizionare le politiche agricole locali e nazionali, con grave danno per l’agricoltura.

L’aspetto più stravagante di tale anomalia, tutta italiana, è che i burocrati di tale associazione da una parte contribuiscono in prima persona a creare le condizioni perché vi sia più burocrazia, e dall’altra si servono del lavoro di comunicazione dei propri addetti stampa per lamentare – solo a parole, per pura rappresentazione scenica – l’eccesso di burocrazia che inchioda il Paese, e l’agricoltura in particolare.

Agiscono come giano bifronte, con la soddisfazione di potersi ritenere essi stessi vittime della burocrazia, confortando in tal modo i propri associati nel sostenere come sia proprio l’eccesso di burocrazia l’autentico male che frena l’agricoltura, tacendo molto opportunamente il fatto che siano proprio loro in realtà a volere tale stato di cose. Infatti, per esercitare il potere e attingere danaro pubblico senza che alcuno si lamenti, è solo attraverso l’esasperazione della burocrazia che è possibile incamerare da un lato tanto danaro pubblico, fornendo servizi ai propri associati, dall’altro, invece, il consenso tanto necessario da essere vitale. Così vitale che quando nelle manifestazioni di piazza si riescono a portare in gita a Roma i contadini in gran numero, armati di cappellino e bandiere sventolanti al seguito, diventa in tal caso ancora più tangibile il valore della burocrazia quale arma impropria, da parte di certo associazionismo malato di potere, per sottrare volta per volta democrazia in agricoltura, arrivando perfino al limite di poter porre un veto verso certe figure, opponendo solo e soltanto i propri uomini nella gestione dell’agricoltura e della cosa pubblica.

Questa è la malattia che affligge da tempo l’agricoltura italiana. E’ una malattia di gran lunga peggiore del cancro, perché non ci si può difendere, tanto sono impossibili da scalfire i meccanismi di gestione del potere messi in atto capillarmente in ogni ambito operativo. Un sistema malato di cui nessuno – tranne i pochi che pagano sulla propria pelle l’isolamento che ingiustamente subiscono, per essere semplicemente dissidenti e in aperto contrasto con il gruppo di potere in auge – ha purtroppo il coraggio di denunciare. Il rischio – per chi si oppone – è che si scriva, su di loro, l’infamante scritta “wanted” , perdendo così quote di lavoro e pubblica rappresentatitività. Ma fino a quando si può proseguire su questa linea di omertà?

Dove sono gli agricoltori? E’ mai possibile che continuino ad essere perennemente così mosci e bravi solo a lamentarsi? Non è forse giunta l’ora – se porprio tengono alle sorti dell’agricoltura – di opporsi in maniera ferma e determnata, chiedendo maggiore democrazia in agricoltura?

 

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Mario Carboni

11 aprile 2011 ore 19:29

L'analisi è giusta, ma non è che in agricoltura non esista democrazia, è che le organizzazioni professionali hanno perso rappresentatitivà, portano avanti le richieste di una piccola parte dei loro soci, quelli allineati con chi comanda, ed ignorano le richieste, anche giuste, che giungono dalla base o dai "non allineati". Altro aspetto negativo della attuale situazione è che i funzionari delle stesse organizzazioni sono dei semplici burocrati, quindi incapaci di dare un effettivo contributo alla elaborazione delle proposte necessarie per modificare, profondamente, il sistema agricolo italiano. L'organizzazione di cui non si fa il nome, d'altro canto, ha occupato tutto l'occupabile e propone soluzioni assolutamente inadeguate, visto che ha la mentalità dei servi della gleba ed una visione della società italiana ed europea che nell'ottocento sarebbe stata considerata retrograda; senza contare che in quella organizzazione gli imprenditori ed i soci, con pochissime eccezioni, non contano nulla e solo i funzionari possono dire e fare ciò che vogliono. La demnocrazia, in teoria, ci sarebbe, quello che manca, ed è una amara considerazione, sono gli imprenditori con la schiena dritta, capaci di portare avanti idee e battaglie anche contro i potenti di turno, con l'unico obiettivo di favorire la ripresa di un settore da troppo tempo ignorato, trascurato, vessato. Dopo i disastri degli ultimi ministri. Galan seppur con i limiti del caso, sembrava un ministro discreto, è stato sacrificato agli interessi della Lega e della organizzazione che non si vuole nominare ed al suo posto è stato messo un Romano che di agricoltura non capisce niente, ma sa seguire gli ordini e le indicazioni dei pochi che continuano a spingere l'Italia sull'orlo del baratro. Auguri a noi, a tutti ed all'Italia. Mario Carboni

Piero Nasuelli

09 aprile 2011 ore 20:54

Egr. Caricato, condivido ogni sua parola, ma mi chiedo se in si tratta solo di una questione di “democrazia”. Sembra quasi che la “colpa” sia degli agricoltori perché incapaci di aggregarsi per prendere coscienza dei propri diritti e della loro identità. A mio parere ci sono responsabilità ai più alti livelli.
Proprio ieri il Prof. Giacomini ha intitolato il fondo sull’Informatore Agrario “Il Ministero che nessuno vuole” ed ha sottolineato lo scarso “spessore” degli ultimi Ministri. Del resto che cosa possono fare? Se non ratificare quello che viene deciso in altro luogo, da Bruxelles a Roma…
Se lo Stato ed il Governo continuano ad avallare il ruolo parassitario delle Associazioni come possono affrancarsi gli agricoltori?. Per avere i sussidi di cui hanno diritto gli agricoltori devono rivolgersi alle Associazioni e queste, di conseguenza, possono esercitare un potere fortissimo.
Ma in Italia la politica ha la “p” minuscola, e coloro che sbandierano la “politica del fare” in realtà fanno la politica dei propri affari ed interessi. In questo contesto va bene che tutto continui così !!!

Donato Galeone

09 aprile 2011 ore 15:47

La democrazia anche in agricoltura, tra i produttori olivicoli, si conquista non con la organizzazione professionale (ombrello)degli agricoltori ma con identificate "aggregazioni" di operatori agricoli promotrici di sviluppo territoriale di area omogenea rurale e tra comparti produttivi come, ad esempio,l'attivazione "partecipata" di una "filiera locale olio".
Questa "partecipazione condivisa" è democrazia costruibile anche in agricoltura. Certamente sono iniziative che vanno estese - approfondendone le diversificazioni - e sostenendole anche con le sollcitazioni di "Teatro Naturale".
Così come è stata attivata nel basso Lazio a Vallecorsa con la costituenda Associazione Produttori Olivicoli Vallecorsani: che producono olive per vendere olio di qualità certificata, già classificato tra i migliori oli laziali a più alto tenore di tocoferoli e polifenoli.
Approfondiamo, divulghiamo e sollecitiamo analoghe iniziative in agricoltura, suscitando interesse dei produttori: dalla produzione alla vendita dei prodotti.
Sarà questa una"democrazia" che volta a volta potrà anche delegare a rappesentare nelle grandi Oganizzazioni Professionali Agricole e/o Consorzi di Produttori esaltando le "caratteristiche delle materie prime trasformate e confezionate" da offrire ai consumatori e non solo in Italia. Donato Galeone

Romano Satolli

09 aprile 2011 ore 11:26

Caro Luigi, ho letto il tuo editoriale, che condivido punto per punto. Certe volte sembra di combattere conro i mulini a vento, sciabolando la durlindana contro avverasari che non si vedono, che sfuggono...!
Hai anche ragione sull'associazione di categoria non menzionate che tutti sanno chi sia. Si è apprpriata anche dello spazio riservato alle associazioni di consumatori, dato che ogni volta che si parla di consumatori si richiama comunque l'attenzione pubblica.
D'altronde, c'è una grande organizzazione di distribuzione che da anni ci marcia, considerando i loro client/consumatori come soci.
Una grande distribuzione che quando deve fare le campagne con gli sconti, si garantiscono sempre e comunque il loro margine, strozando i produttori e gli agricoltori come fanno tutte le altre.
Se poi i prodotti a marchio prendono il sopravvento sui prodotti delle rispettive aziende produttrici, gli agricoltori non potranno nemmeno più contare sui clienti consumatori, perchè non potrenno fidelizzare i consumatori, per i quali saranno del tutto sconosciuti e gli agricoltori saranno in mano alla GDO alle condizioni che gli imporranno, se non vogliono essere sostituiti da un altro fornitore.
Romano