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Boom dell'export agroalimentare verso gli USA per lo spettro dazi

Ad inizio anno si è registrata una crescita degli acquisti da parte degli importatori statunitensi, con l’obiettivo di “fare scorta” di prodotti italiani. Regna però l'incertezza per il settore vino e quello delle conserve di pomodoro
06 maggio 2025 | 12:00 | C. S.
Nei primi due mesi del 2025 le esportazioni di cibo Made in Italy verso gli Usa sono cresciute in valore dell’11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, contro un calo generale del 3% di tutti i settori produttivi. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat diffusa all’inaugurazione di Tuttofood, la kermesse dedicata all’agroalimentare aperta alla Fiera di Milano Rho, con una esposizione dedicata allo stand C07, nel Padiglione 14. I dati indicano che ad inizio anno si è registrata una crescita degli acquisti da parte degli importatori statunitensi, con l’obiettivo di “fare scorta” di prodotti italiani in attesa di capire la mosse di Trump sui dazi, annunciati già in campagna elettorale e dopo il suo insediamento, poi fissati successivamente al 20%, prima di essere dimezzati e sospesi per 90 giorni. Se si prende in esame il solo mese di febbraio, l’aumento è stato addirittura del 14% rispetto a un crollo del 10% se si considerano tutti i comparti.
Dal monitoraggio Coldiretti sui prodotti simbolo del Made in Italy a tavola, emergono comunque situazioni differenti da filiera e filiera. Per il vino, prima voce delle esportazioni agroalimentari tricolori negli States, arrivano segnali discordanti, tra chi sta registrando una ripresa delle vendite e chi, invece, rileva un calo almeno a livello di volumi. L’unico fattore ad accomunare tutte le cantine – precisa Coldiretti - è un senso di incertezza, considerata anche l’estrema mutevolezza degli annunci da parte del presidente americano Donald Trump.
Per i formaggi, altro simbolo dell’italian food, il Consorzio del Grana Padano segnala un aumento ad inizio anno dell’11% delle forme spedite negli Usa, quasi il doppio rispetto al risultato generale. Per le conserve di pomodoro la situazione resta, invece, incerta, anche in considerazione dell’annunciato calo a doppia cifra della produzione della California e delle attese rispetto a quella cinese.
“Nonostante le tensioni commerciali, è evidente che il lavoro fatto in questi anni sulla promozione del cibo italiano negli States ha funzionato e, prescindere da quali saranno le prossime mosse di Trump, occorre ora fare tutto il possibile per evitare un muro contro muro che finirebbe per danneggiare tutti” sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.
“Gli Stati Uniti rappresentano un mercato di fondamentale importanza per l’Europa, e in particolare per l’Italia, non solo per l’agroalimentare ma anche per altri comparti - rileva il segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo -. È evidente che ci troviamo in un contesto geopolitico profondamente mutato rispetto a pochi anni fa, dove le tensioni commerciali possono avere conseguenze rilevanti. L’auspicio è che l’Italia e l’Europa continuino a portare avanti il dialogo".
Restano anche le preoccupazioni sul possibile effetto dei dazi sul fenomeno dell’italian sounding. Per l’occasione, nello stand Coldiretti è stata allestita una mostra sui prodotti simbolo del Made in Italy in America, messi a confronto con le loro imitazioni che dall’imposizione dei dazi e dal possibile calo di vendite degli “originali” potrebbero trovare una ulteriore spinta. Non bisogna, infatti, dimenticare che già oggi gli Usa si piazzano in testa alla classifica dei maggiori taroccatori con una produzione di cibo italiano tarocco che ha superato i 40 miliardi in valore e che vede come prodotto di punta i formaggi.
Secondo l’analisi della Coldiretti su dati Usda, il dipartimento di stato dell’agricoltura statunitense si producono negli Stati Uniti 222 milioni di chili di Parmesan, 170 milioni di chili di provolone, 23 milioni di chili di pecorino romano oltre a quasi 40 milioni di chili di formaggi italian style di altro tipo, come il friulano. Senza dimenticare gli oltre 2 miliardi di chili di mozzarella, che portano il totale dell’“italian cheese” a quasi 2,7 miliardi di chili. Il 90% dei formaggi “tipo italiano” è realizzato in Wisconsin, California e New York e ha superato la produzione dei veri formaggi statunitensi come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack. Il problema riguarda però tutte le categorie merceologiche a partire dai salumi più prestigiosi, come le imitazioni del Parma e del San Daniele o la mortadella Bologna o il salame Milano, fino al vino.
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