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Le quattro azioni indispensabili per il rilancio dell’olivicoltura italiana

I problemi sono la forte polverizzazione del tessuto produttivo, costi alti e prezzi volatili, poca innovazione, ricambio generazionale insufficiente. Secondo la Cia, nel futuro, servirà un'Interprofessione unita partecipata anche dalla Grande Distribuzione

24 gennaio 2020 | C. S.

Più quantità e qualità, investimenti in ricerca, aggregazione di filiera e cooperazione nel Mediterraneo. Sono le quattro azioni indispensabili per il rilancio dell’olivicoltura italiana, presentate da Cia-Agricoltori Italiani in occasione del suo primo Forum Olivicolo Nazionale, che si è tenuto in Calabria a Lamezia Terme. Un evento con istituzioni, tecnici, scienziati per un obiettivo comune: “Rendere il settore più competitivo, innovativo e aperto -spiega il presidente nazionale Dino Scanavino- connesso da un lato al territorio e dall’altro al mercato”.

Oggi in Italia l’ulivo è coltivato su quasi 1,2 milioni di ettari, conta 825.000 aziende e circa 5.000 frantoi. Il valore della produzione agricola è di 1,3 miliardi di euro, mentre il fatturato dell’industria olearia supera ampiamente i 3 miliardi. Eppure, nonostante questi numeri -osserva Cia dal Forum- il settore fatica a rinnovarsi, a stare dietro a competitor con sistemi olivicoli più moderni, come la Spagna, che si espandono sfruttando un mercato caratterizzato da domanda crescente (tra il 1990 e il 2019 il consumo di olio è aumentato a livello mondiale dell’82%).

Tra i problemi più grandi dell’olivicoltura nazionale, secondo Cia, ci sono la forte polverizzazione del tessuto produttivo, costi alti e prezzi volatili, poca innovazione, ricambio generazionale insufficiente. In più, l’Italia vive una critica variabilità produttiva legata ad annate positive come quella in corso (si stimano 320.000 tonnellate) alternate ad altre con drammatiche flessioni, principalmente per andamenti climatici avversi e attacchi parassitari (nel 2018 si è assistito a un crollo della produzione a 175.000 tonnellate). Solo a causa della Xylella in Puglia, più di 4 milioni di piante hanno perso totalmente la propria capacità produttiva. Ma il nodo cruciale è legato all’età e alla bassa densità degli uliveti: la superficie olivicola italiana è occupata per il 63% da oliveti “adulti” con più di 50 anni e solo per l’1% da oliveti con meno di 5 anni. Inoltre, solo il 5% della superficie olivicola è caratterizzata da oliveti intensivi e giovani, mentre il 42% ha meno di 140 piante a ettaro.

E’ chiaro, quindi, che la prima azione proposta da Cia al Forum riguarda la necessità di agevolare nuovi impianti a più alta densità e incentivare la riqualificazione di quelli esistenti per incrementare produzione e produttività degli oliveti. Per gli Agricoltori Italiani, in particolare, il Piano strategico della Pac post 2020 rappresenta l’occasione per superare questo gap e guidare la ristrutturazione e la riconversione, partendo dalla “mappatura” dell’olivicoltura attuale e da una strategia pluriennale, con il coinvolgimento diretto delle imprese. Aumento della quantità, dunque, a cui va associata la valorizzazione della qualità tricolore, dando impulso alle denominazioni Ue (l’Italia dell’olio conta 42 Dop e 5 Igp, tra Toscana, Calabria, Marche, Sicilia, Puglia) e al racconto dei territori, con il sostegno della ristorazione e del turismo per la comunicazione diretta del valore aggiunto del nostro olio extravergine.

Secondo punto fondamentale, secondo Cia, è investire in innovazione e ricerca coordinata, anche istituendo un tavolo di lavoro dedicato. Innovazione a disposizione delle aziende olivicole vuol dire tecniche produttive e di difesa fitosanitaria per preservare le risorse naturali e la biodiversità come il bio-controllo, soluzioni per valorizzare i residui colturali e di trasformazione, principalmente per produrre energia, ma anche disponibilità di varietà autoctone più resistenti alle malattie e adattate ai cambiamenti climatici, anche attraverso le nuove tecnologie di miglioramento genetico. Analogamente, puntare alla digitalizzazione per lo scambio di dati e informazioni di filiera, per controllare e tracciare le produzioni locali.

Come terza azione, per migliorare la posizione degli olivicoltori nella filiera, Cia sostiene OP controllate dagli agricoltori, forti sul mercato, propense all’innovazione e alla sostenibilità. Bisogna, cioè, continuare a lavorare per rafforzare l’aggregazione e il ruolo economico delle Organizzazioni di Produttori e premiare quelle che coprono la filiera dal campo fino alla tavola. La Pac deve continuare a sostenere lo sviluppo delle OP e AOP e accompagnare una loro evoluzione verso una piena efficienza. Al tempo stesso, serve potenziare l’Interprofessione, piattaforma di discussione tra gli attori della filiera, ma soprattutto centro di competenza per la promozione, la ricerca, la condivisione di dati tecnici ed economici. In quest’ottica, occorre un’OI unica, nazionale, partecipata, anche dalla Gdo.

Infine, quarto punto ma non meno importante, secondo Cia è urgente rilanciare una strategia mediterranea di collaborazione tecnica e cooperazione, con un protagonismo solidale degli agricoltori, soprattutto di giovani e donne, per contrastare la crisi economica, la disoccupazione e la desertificazione “umana” delle zone rurali. Per questo -concludono gli Agricoltori Italiani- l’olio d’oliva, prodotto simbolo del benessere alimentare e identità del paesaggio mediterraneo, deve poter esser un argine all’impoverimento e un collante per i produttori agricoli.

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