L'arca olearia 28/01/2012

Facciamo i conti in tasca all'industria. Quanto davvero guadagna sull'extra vergine più venduto sul mercato?

Facciamo i conti in tasca all'industria. Quanto davvero guadagna sull'extra vergine più venduto sul mercato?

E' nella fascia prezzo dai 2,99 ai 3,99 euro/litro che c'è il vero core business dei grandi marchi. E' su queste etichette che c'è battaglia e pochi centesimi di euro possono fare la differenza. Bassi i margini ma molto alti i volumi


Dai 2,99 euro/litro ai 3,99 euro/litro si trova circa il 70% del mercato dell'extra vergine. Un dato che dovrebbe, di per sé, far riflettere sul vero valore che viene attribuito dal consumatore all'olio extra vergine d'oliva.

E' su questa fascia prezzo che c'è maggiore battaglia e si concentra il vero core business di tutti i grandi marchi. Considerando un consumo complessivo di 500mila tonnellate all'anno, i numeri di questo segmento del mercato sono da capogiro: 350mila tonnellate, equivalenti a 378milioni di litri.

Vediamo allora di esaminare quali siano i costi dell'industria e come sia possibile arrivare a simili prezzi sugli scaffali.

Per i “materiali e metodi” invito a una lettura della premessa della prima puntata dell'inchiesta: Ecco come nasce un olio extra vergine d'oliva da vendere a 2,59 euro al litro

 

Fascia medio bassa (a scaffale dai 2,99 ai 3,99 euro)

In questo segmento, per esigenze di natura commerciale, per differenziare l'offerta e ancora altre ragioni, industria e commercio oleario possono presentare diverse etichette che si differenziano per alcune caratteristiche: packaging, gusto, origine. I brand che vengono presentati vengono mantenuti nel portafoglio dell'impresa in via continuativa e generalmente sono riconoscibili e riconosciuti, anche grazie a campagne promozionali e pubblicitarie.

Questo genere di prodotto ha quindi un proprio profilo chimico e organolettico che deve essere mantenuto il più possibile stabile nel tempo. Non si deve cioè modificare l'abitudine del consumatore a certe caratteristiche gustative.

Gli oli utilizzati per i vari blend saranno di varia provenienza, comunitari e non. Si tratta generalmente di extra vergini definiti come “standard”, con caratteristiche chimiche che rientrano spesso abbondantemente nei limiti di legge. Anche in questo caso è difficile che i panel test siano concordi sulla presenza di eventuali difetti. Il caratteristico odore di Picual, che può essere facilmente confuso con riscaldo/morchia o avvinato, è la ragione prevalente di alcune bocciature che però vengono quasi sempre revisionate in sede di riesame.

Costi industriali

La materia prima utilizzata dovrà essere selezionata con cura in maniera da mantenere stabile e riconoscibile nel tempo il profilo dell'olio in questione. Si tratta di un prodotto destinato ad avere una shelf life piuttosto lunga (alcuni mesi).

Costo aziendale

Si tratta del prodotto tipicamente alto vendente dell'industria olearia, ovvero quello con i più alti volumi di vendita e un prezzo basso, appetibile.

L'incidenza dei costi aziendali sul costo industriale viene stimata al 18%.

Riepilogo

COSTO INDUSTRIALE: 2,45 EURO/LITRO

COSTO AZIENDALE: 0,44 EURO/LITRO

COSTO TOTALE: 2,89 EURO/LITRO

IVA (4%): 0,11 EURO

PREZZO FINALE: 3,00 EURO/LITRO

La politica commerciale

Questo genere di prodotto ha un prezzo a scaffale di 3,99 euro al litro, talvolta anche qualche decina di centesimi di più, viene offerto in via continuativa e durante l'anno vengono effettuate delle promozioni, con sostanziosi sconti.

Naturalmente le politiche commerciali di ogni azienda e di ogni catena della Grande Distribuzione sono diverse ma è ragionevolmente possibile ipotizzare che ogni brand venga posto in offerta almeno quattro volte a un prezzo di 2,99 euro/litro, mentre per il restante periodo sarà a scaffale a 3,99 euro/litro.

Un altro dato che dovrebbe far riflettere, circa il rapporto extra vergine/consumatore, è che il 40% della fornitura annuale dell'industria/commercio alla GDO viene venduta quando l'olio è in promozione.

I margini della GDO

Le catene distributive si differenziano molto per tipologia di servizio offerto, distribuzione geografica e altre caratteristiche che possono andare a incidere sui costi di esercizio e quindi sui margini richiesti che variano in ragione della tipologia di prodotto.

Per l'olio extra vergine d'oliva il margine medio su un prodotto di marca è del 15% e nel caso specifico sarà pari a:

- 0,45 euro/litro in offerta (2,99 euro a scaffale)

- 0,59 euro/litro nel restante periodo (3,99 euro a scaffale)

Il guadagno per l'industria

Stimando che il 40% della fornitura venga venduto in offerta abbiamo un margine medio per l'industria di circa il 2%.

Il guadagno su 100 bottiglie, delle quali 40 vendute in offerta e 60 a prezzo pieno, è di 5 euro e 60 centesimi.

Conclusioni

Il margine lordo per l'industria è veramente esiguo. Un margine modesto ma su volumi molto importanti.

Quanto guadagna nel suo complesso l'industria e il commercio oleario su questo genere di prodotto?

Il conto è presto fatto: 378milioni di litri / 100 x 5,6 euro = 21.168.000 euro.

In assoluto una cifra molto importante ma la battaglia, commerciale e sui costi, è quotidiana. Otto centesimi in più sul costo finale per l'industria e anzichè avere un guadagno si ha una perdita.

Un business che veramente si gioca sul filo dei centesimi.

 

La prossima settima l'ultima puntata dell'inchiesta: extra vergine premium, Made in Italy (a scaffale dai 3,99 ai 5,99 euro)

di Alberto Grimelli

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Commenti 19

Raffaele  Giannone
Raffaele Giannone
01 febbraio 2012 ore 17:56

Qualcuno deve spiegare a noi operatori olivicoli (evito aggettivi che saprebbero di presunzione,tipo onesti, appassionati, etc...) perchè una bottiglia di Barolo debba definirsi VINO senza aggiunte tipo extraprelibato...o extrafine..o extrafermentato e l'OLIO d'OLIVA debba avere quell'extravergine...a dimos

Pietro Hausmann
Pietro Hausmann
01 febbraio 2012 ore 13:49

http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/3548-sul-quantitativo-di-polifenoli-e-tocoferoli-c-e-molta-reticenza-nei-disciplinari-degli-oli-extra-vergini-di-oliva-a-marchio-dop-una-inchiesta-dell-unione-nazionale-consumatori-mette-in-risalto-il-quadro-generale.htm

Vostro articolo del 2007. Risponde a tutte le domande...

Basta mettere in etichetta i VERI valori dei Polifenoli e dei Tocoferoli e così il consumatore può capire perchè un 'olio costa di più di un'altro...
oltre ovviamente all'origine di TUTTI gli OLI miscelati per ottenere quel dato prodotto.

Non mi sembra tanto difficile da mettere... mi sembra più CHE IL "CARTELLO" che si è creato nella GDO fa si che questi valori non sia visibili ai consumatori e quindi io sono per la prima tesi (GRANDE COSPIRAZIONE).




Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
01 febbraio 2012 ore 09:32

Gent. Sig. Breccolenti,
la sfida è in effetti fa capire al consumatore che "olio extra vergine d'oliva" è una denominazione commerciale in cui sono contenuti molte e differenti produzioni. Non è una novità in campo agroalimentare. Pensiamo alla denominazione commerciale "vino". Anche qui c'è di tutto un po' e il consumatore nè si scandalizza nè si scompone di fronte a un'offerta molto variegata.
I produttori vitivinicoli, però, non si sono posti di fronte al consumatore dicendogli: "compra il mio perchè è meglio (senza spiegare il perchè) e lo devi pagare di più perchè i miei costi di produzione sono alti". Una simile spiegazione non convince nessuno. Occorre essere più precisi, esaustivi. Spiegare perchè il proprio prodotto ha in sè un maggior valore, che può essere nutreaceutico, edonistico o d'altra natura. E' questo valore intrinseco, sempre che venga percepito e apprezzato, a conferire un premio di prezzo.
Il consumatore, per lo meno quello più attento, è subissato da una mole enorme di informazioni. Per valorizzare le nostre produzioni occorre quindi essere molto precisi, attendibili e competenti. L'informazione che si dà, in altre parole, deve essere certa e riscontrabile. Ne va del rapporto fiduciario col consumatore che è il pilastro fondamentale per valorizzare le proprie produzioni.
Faccio un esempio. Lei dice che l'odore di Picual non è tipico ma dovuto a cattiva conservazione delle olive. Un'affermazione che è facilmente contestabile. Vi sono ricerche spagnole che indicano quel profumo come varietale. Il Coi le ha accettate e fatte proprie. E' la sua parola contro quella di diversi ricercatori e del Coi. Di fronte a un consumatore che le si ponesse davanti con simili argomentazioni, lei avrebbe solo la sua esperienza di qualche Picual che non ha il caratteristico odore. Un po' pochino.
Questo significa che dobbiamo allargare le braccia e accettare tutto? No. Evitiamo però le accuse e modifichiamo l'approccio. L'odore di Picual non è un difetto ma è sgradevole. Volendo, quindi, possiamo puntare su questo fattore. Se qualcosa è sgradevole, anche se tipico, non verrà apprezzato.
Le armi della comunicazione e divulgazione offrono ampi spazi e margini. Evitiamo di darci la zappa sui piedi con affermazioni contestabili e, possibilmente, evitiamo la denigrazione altrui. Non è dicendo che il vicino è brutto che noi diventeremo belli. Puntiamo sulle connotazioni, sugli attributi, sulle proprietà, sulle virtù positive delle nostre produzioni. Scopriremo che abbiamo molte frecce al nostro arco.
Think positive!

giovanni breccolenti
giovanni breccolenti
31 gennaio 2012 ore 20:00

Sign grimelli il problema è in gran parte in questa frase che lei scrive:
"Chiedere però al consumatore di pagare di più solo in virtù di costi di produzione superiori è un'arma spuntata. Perchè dovrebbe farlo? Se un prodotto è uguale, o paragonabile, a quello reperibile a un minor prezzo, il consumatore si orienterà in ragione della propria legittima convenienza. E' quanto facciamo tutti, da consumatori.
In altri termini se l'extra vergine è tutto extra vergine si cercherà a scaffale quello a minor prezzo."
Se un prodotto è uguale o molto simile allora il suo discorso non fa una piega,ma non è assolutamente cosi'.Bisogna gridare forte che gli extravergini non sono tutti uguali,anzi bisogna gridare forte che "extravergine" è ormai una dicitura che non ha piu' senso,se non per il grande commercio.Che vuol dire acidita' al di sotto di 0,8 quando un oliveto infestato dalla mosca per oltre il 50%, da un olio intorno allo 0,5-0,6 g/kg di acidita'?Che vuol dire perossidi inferiori a venti,quando noi tutti sappiamo che un olio con perossidi sopra a 15 è vicino alla morte(la fine degli antiossidanti)? Che vuol dire senza difetti quando la gran parte degli oli extravergini che girano sugli scaffali a un prezzo basso (e purtroppo non solo) "profumano" del noto odore di "pipi' di gatto" frutto di una cattiva conservazione della famosa oliva piqual e quindi difettati(altro che odore tipico!!!!)?Come si fa a definire due oli simili se non so il contenuto reale dei polifenoli,dei tocoferoli,dell'acidità,dei perossidi(non solo al di sotto di),se non so il punteggio che quell'olio ha preso da un panel riconosciuto? Dentro il calderone dell'extravergine ci sono differenze enormi in termine di qualita',come ce ne sono purtroppo nelle dop (c'è un abisso tra un olio che al panel prende il minimo che è 7 e un olio che prende sopra a 8 di punteggio)e tutto questo perche' i parametri chimici e sensoriali sono sbagliati o almeno troppo larghi sia per l'extra che per le dop,per non dire assenti come nel caso dei polifenoli nell'extravergine.La differenza di prezzo di un olio la puo fare solo la quantita' di polifenoli e componenti minori(incluse le aromatiche) che sono presenti, perchè a questi per la gran parte è legata la qualita' dell'olio.Basterebbe questo parametro,insieme all'assaggio per rilevare qualche difetto, per definire un olio.
Basterebbe fare tre classi di extravergine,la prima con polifenoli tra 50-150, la seconda tra 150-300,la terza sopra a trecento(ovviamente tutti senza difetti,"nessuno escluso).Questa sarebbe la base di differenziazione dei prezzi.
Per lo dop,invece di tanti rigiri burocratici,basterebbe l'esame del DNA all'olio per vedere che le varita' usate siano quelle del territorio,polifenoli minimi piu' alti e il gioco è fatto.

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
31 gennaio 2012 ore 16:23

Grazie dr Grimelli della precisazione che aiuta alla chiarezza. Alla fine anche nel caso che ho gestito per conto dei produttori Europei siamo arrivati a simile conclusione. Abbiamo approfondito in sede comunitaria, a Bruxelles, i meccanismi e preso atto della sfida in periodo di crisi petrolifera, che è stata isolata e contrapposta con trasparenza e la forza della qualità di prodotto affidabile (SBR), senza interventi di protezione, comunque la reazione era stata apertamente esposta, discussa e alla fine condivisa.
Contemporaneamente in sede ONU è stata definita la strategia di controllo e gestione tramite costituzione di buffer stock della fluttuazione internazionale dei prezzi del prodotto naturale. Il sistema tiene ancora e regge un mercato salito da 4 milioni di ton di gomma naturale a 10 milioni di ton nel 2010,trent'anni dopo. Non è impensabile una crescita di questo genere nel futuro dell'olio d'oliva. Non sono al corrente di piani di stima, ma sarebbe il caso di cominciare a proporli in sede comunitaria con uno sviluppo parallelo di costruzione di sistema di gestione del problema.
L'IISRP (associazione libera d'imprese) è a mio avviso più dinamicamente strutturato del IRSG (associazione di stati produttori e consumatpri dedicato alla gomma naturale): per sommi capi è retto da un comitato esecutivo intercontinentale, e in pochissimi comitati internazionali: Statistica, Operativo ( ricerca di base, imballaggi per trasporti a medio e lungo raggio ricuperabili o a perdere, Igiene e ambiente) e Standardizzazione internazionale di prodotto, Public Relations.
Con oltre 3 milioni di tonnellate il tempo è maturo per una organizzazione non competitiva al di sopra delle parti, internazionale, intercontinentale. E' necessaria la volontà e la certezza di avere in mano le conoscenze utili. Ho solo dubbi sulla "volontà", che s'indebolisce più si corrode l'informazione e la formazione.
Attenti alla falsa o inattendibile informazione, che è in tutti i paesi la più pericolosa.
TN è un aperto che ci auguriamo possa diventare il seme dell'Olea del new deal...

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
31 gennaio 2012 ore 15:34

Non vorrei essere frainteso. Prendere coscienza dell'esistenza di fenomeni di dumping e di competizione estrema non significa accettarli, anzi, è la base per approfondirne i meccanismi e quindi cercare di ovviarvi con precise strategie di settore e d'impresa.
Dire "non mi piace e devono sparire" non è sufficiente. Soprattutto non è la soluzione per garantire la sopravvivenza delle imprese che subiscono tale fenomeno in un'ottica di breve-medio periodo.
Un atteggiamento passivo non è mai positivo.
Un esempio magnifico di come le imprese occidentali hanno reagito al dumping delle nuove realtà emergenti, le quali hanno meno riguardo per certi valori e certi diritti umani rispetto alla nostra sensibilità, è la nascita della Iso26000, ovvero la norma volontaria sulla responsabilità sociale d'impresa. Forse poco conosciuta al largo pubblico ma indispensabile, ormai, per vendere alla GDO in molti paesi occidentali.
Da questi esempi si può imparare molto, non solo l'atteggiamento mentale, ma anche come il bollino da solo non serve se non è inquadrato in una più ampia strategia che abbia fondamenta solide.
Questo è quanto vorrei anche per il settore olivicolo: la presa di coscienza della realtà, per quanto triste e drammatica; un cambio di di atteggiamento, da passivo ad attivo e propositivo; la costruzione di strategie e piani per fronteggiare il reale e attuale scenario oliandolo, che si è molto evoluto negli ultimi 20 anni.

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
31 gennaio 2012 ore 14:54

Caro dr Grimelli e gentili lettori di TN,
i commenti e le riflessioni stanno mettendo a fuoco una presa di coscienza positiva. Perlomeno di comprensione della situazione, che i protagonisti di carriera dovrebbero acquisire e concorrere alla ricerca di risposte praticabili industrialmente, artigianalmente, artisticamente, golosamente, creativamente, ma soprattutto con la conoscenza curiosa e necessaria della forza dei competitor.
Siamo alla seconda lezione, quella delle fasce di sensibilità più acuta al prezzo/prestazione descritta. Un punto solo non condivido nella sua risposta, l'accettazione di subire uno stato di dumping.
Ne ho un'esperienza direttamente dibattuta tra i produttori dell'occidente nel caso della GOMMA NATURALE e della GOMMA SINTETICA, ai tempi della distruttiva aggressione al mercato europeo da parte dei vicini produttori di gomma sintetica localizzati nei paesi d'oltre Cortina. Il "dumping" era dell'ordine secco del 20-30 %, per ogni quantità anche in lotti di poche tonnellate. I grandi gruppi d'acquisto del pianeta operavano con decisioni dettate dalla strategia aziendale, secondo canoni di trattative corrette che coinvolgevano la pattuizione e la compatibilità qualitativa che influenzava le linee a tecnologie differenti di ciascuno stabilimento in produzione del pneumatico, cioè oltre il 50% della domanda del mercato. Quindi in alcuni casi esistevano di fatto barriere di approvazione di qualità, che rappresentavano un quota rilevante del mercato di settore, intorno al 40%. La variabilità prezzi per i clienti leader di marchio si giocava in limiti di qualche punto per cento. Era fondamentale il rapporto di affidabilità. I controlli di qualità nel settore erano praticamente al 100%. Ogni spedizione comprendeva un certificato ad hoc, per ogni lotto omogeneo, vincolante. Il settore pneumatici era il più maturo e attento consumatore, generatore di teorie e pratiche statistiche e di controllo associato, indipendentemente dai tipi di gomma, commodity come SBR, BR o speciality NBR, CR, EPR-EPDM, IIR e altre più sofisticate famiglie. Altrettanto per tipologie standardizzate SMR di gomma naturale.
Tutta la gomma naturale aveva e mantiene un sistema normativo e organizzativo a livello mondiale. I produttori di gomma sintetica non hanno potuto fare altro che mettere da parte inutile remore ed unirsi in una associazione internazionale (IISRP) che copriva altrettanto il mondo "accessibile", oggi dopo la caduta della Cortina, tutto il globo. Il tutto inizia nella metà degli anni '60. La mia divisione della SIR inizia Ia sua competizione ai primi del '70, per uscirne come acquisizione del gruppo Enichem ai primi 80 ed esserne ancora produttore di prestigio in specialità ancora oggi. Prestigio di qualità e di tecnologia.

Che sia la strada della implementazione di strategia di qualità dei vini di qualità intrapresa da oltre 2,5 secoli di francesi e da mezzo secolo dall’Italia, oppure quella di un settore che non centra nulla ma che si è lealmente confrontato anche nei confronti del prodotto naturale Hevea brasiliensis è da valutare, per cogliere dalle diverse situazioni-scenario le opportunità innovatrice per una strategia d’impatto a medio termine e di conservazione a breve termine.

L'olio extravergine d'oliva per me è solo un interesse di passione, non di lavoro o di interessi. Quindi lo conosco da consumatore. Il mio interesse alla storia dell'alimentazione e alla cultura del gusto cresce in trent'anni di Accademia Italiana della Cucina, con cui iniziò la promozione dei concetti DOP e quelli specifici della cultura delle varietà cultivar.
Nei giorni scorsi alla conferenza stampa del Consorzio di Garanzia ho avuto l'opportunità di scambiare pubblicamente alcune riflessioni sul piano di un lancio del consorzio extravergine di qualità. Positiva l’idea, fondamentale la scelta della strategia operativa. La sua identità verrà probabilmente a coprire le fasce delle prossime presentazioni del Dr Grimelli, di cui auspico e suggerisco l'assunzione delle stesse come data base di riferimento per la scelta delle opportunità di strategie competitive, che chiaramente possono avere successo solo se condivise in una strategia competitiva solo da valutare sicuri delle proprie caratteristiche favorevoli e della coscienza e rimedio possibile nei fattori competitivi per ora svantaggiati.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
31 gennaio 2012 ore 11:17

Gent. Sig. Caravatti,
tanti i temi toccati dal suo intervento.
I costi di produzione italiani, per svariate ragioni, sono più alti rispetto a quelli dei nostri competitor. Anche il dumping è una realtà di questo mondo globalizzato.
Chiedere però al consumatore di pagare di più solo in virtù di costi di produzione superiori è un'arma spuntata. Perchè dovrebbe farlo? Se un prodotto è uguale, o paragonabile, a quello reperibile a un minor prezzo, il consumatore si orienterà in ragione della propria legittima convenienza. E' quanto facciamo tutti, da consumatori.
In altri termini se l'extra vergine è tutto extra vergine si cercherà a scaffale quello a minor prezzo. L'industria può certamente offrire le migliori condizioni economiche.
Ecco allora che scatta la "vendetta" degli olivicoltori che, legittimamente frustrati per non poter competere con l'industria, la accusano di "barare".
Questa inchiesta, mi ripeto, non vuole affermare che il settore è limpido e specchiato, che non vi sono truffe e sofisticazioni, ma dimostrare che l'industria può mettere in commercio olio extra vergine ai prezzi che conosciamo senza frodare, semplicemente sfruttando le pieghe dei regolamenti, arrivando ai limiti, senza oltrepassarli o senza che possa essere provato che questi siano stati oltrepassati. Si tratta di cinismo, non di illegalità.
Ne consegue che anche accusare l'industria/commercio di truffa è un'arma spuntata per guadagnare valore aggiunto sul proprio prodotto.
Occorre trovare nuove vie che non partano dai costi di produzione nè da accuse ad altri attori della filiera ma da esaurienti e competenti spiegazioni sulle qualità del proprio prodotto, senza metterlo in correlazione con quello dell'industria. La comparazione, infatti, induce un'associazione tra i due oli, ovvero non si uscirà dalla spirale perversa per cui è comunque tutto extra vergine.
Quando proponiamo e promozioniamo il nostro olio cominciamo a ragionare da consumatori e non da produttori.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

giovanni caravatti
giovanni caravatti
31 gennaio 2012 ore 10:13

Egr.Sig. Grimelli
Noi non possiamo chiedere l'aiuto di un pensionato,senza averlo messo in regola con l'INPS a 10euro all'ora?
Questo pensionato ha versato per 40 anni i contributi e per soddisfare il suo hobby ed aiutare un agricoltore hobbista rideve versare altri soldi e,quindi aggravare il costo dell'olio.
Perchè non chiediamo alle forze armate (come succede in Tunisia)una mano per la raccolta,offrendo a loro vitto e alloggio.
Un buon raccolto come viene svolto in tutta la Toscana,è fatto rigorosamente a mano e dalle direttive ICEA,le olive devono essere portate in frantoio entro le 24 ore,a scapito di potersi fregiare di olio biologico.
Quante sono le gabelle che si deve sottostare? La GRD le osserva.
Si è tentato una unificazione di noi piccoli ma,siamo troppo PICCOLI?
Sono sorti i gruppi d'acquisto ma pochissimi funzionano,e quando, ti avvicini, non ti prendono in considerazione perchè l'olio costa troppo.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
30 gennaio 2012 ore 17:19

Gent. Sig. Sciarpelletti,
definisco olivicoltori part time o hobbistici tutti coloro che non fanno dell'olivicoltura la loro principale e primaria fonte di reddito. Queste persone coltivano gli olivi per le più svariate ragioni. Se ne potrebbero enunciare decine ma hanno un reddito, spesso una pensione, con cui vivere. Poi ci sono gli olivi, la cui cura, nel passato, ha dato di che arrotondare il reddito famigliare, oltre al beneficio secondario di avere dell'olio genuino per sé e la propria famiglia.
L'arrotondamento dello stipendio o della pensione con l'olivicoltura, anche solo per concedersi qualche sfizio, ha consentito al nostro sistema olivicolo di rimanere sostanzialmente immutato per molti anni. Oggi non è più così. Bisogna prendere atto di una realtà mutata. Le quotazioni si sono abbassate a tal punto che ci si ripaga, alla meno peggio, solo le spese vive e allora ci si chiede se la coltivazione del fondo sia un divertimento o un sacrificio.
Tutto è nato perchè l'extra vergine è divenuto una commodity, ovvero un bene di largo consumo, oggetto di scambi internazionali e finanziari. La Spagna ha investito e imposto tale modello culturale. E' ormai impossibile tornare indietro. Il prezzo dell'olio lo fa il mercato (al pari di quanto succede con petrolio, grano e oro ad esempio), prescindendo da ogni considerazione ambientale, sociale o d'altra natura. Questa è la realtà. Le quotazioni dell'extra vergine, in uno scenario che vede l'aumento delle giacenze e della produzione mondiale, sono destinate a rimanere basse, ai livelli attuali, o a contrarsi ulteriormente.
E' chiaro che, a questo punto, il piccolo olivicoltore hobbistico si chieda chi glielo fa fare di continuare così e abbandoni. Comprendo anche la frustrazione che accompagna questa dolorosa scelta. Comprendo che faccia male veder sgretolarsi un proprio mondo, alcune certezze e consuetudini. E' umano che si voglia cercare un responsabile su cui scaricare il proprio malcontento. E' comprensibile, persino giustificabile, un moto si stizza da parte del singolo olivicoltore.
E' meno comprensibile e giustificabile lo sfruttamento di questo stato emotivo di tanti piccoli olivicoltori, innalzandolo a strategia politica. E' impensabile che gli stessi numeri che vengono pubblicati oggi su Teatro Naturale non siano nella disponibilità dei rappresentanti del mondo olivicolo. E' dunque impensabile che questi rappresentanti non sappiano quali sono i margini dell'industria/commercio, non sappiano quale sia il quadro complessivo del comparto olivicolo e oleario, non sappiano che lo status quo è oggigiorno indifendibile.
Che vogliamo dunque fare? Fallito il tentativo di fare del Made in Italy obbligatorio il volano del sistema olivicolo nazionale, mantenendo lo status quo, possiamo riportare le lancette dell'orologio tre anni indietro? Possiamo tornare alla contrapposizione industria/commercio contro olivicoltori/frantoiani? Oppure non è il caso di passare oltre e delineare nuove strategie?
E' questo il punto e il vero nodo attuale.
Sarebbe molto comodo per una testata come Teatro Naturale guadagnare consensi “sputando” sull'industria/commercio oleari. Sarebbe comodo stimolare focolai di protesta per una situazione economica difficile. Sarebbe comodo dare voce e spazio allo sfogo collettivo degli olivicoltori frustrati. Ma è utile? Oppure è più utile far aprire gli occhi su una realtà, per quanto triste e dolorosa, e su questa basarci per costruire un nuovo futuro?
Non tutto è da buttare via, anzi. Passione e artigianalità sono i pilastri su cui la nostra olivicoltura è stata fondata. Occorre distruggere tanti orpelli e tornare alle fondamenta, in chiave moderna, partendo da questi due elementi.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

LINO SCIARPELLETTI
LINO SCIARPELLETTI
29 gennaio 2012 ore 22:38

Gent.mo dott. Grimelli
Prima di tutto ho l’obbligo di ringraziarla per aver risposto direttamente alle mie perplessità; che pur essendo dissipate maggiormente, in parte rimangono.
Ma non voglio innescare qui una sterile polemica, tuttavia mi piace confrontare il mio pensiero con quello di altre persone,maggiormente se supportate da dati di fatto, ed esperienze tecniche. Motivo per cui non posso dubitare che sulla piazza di Bari troviamo exv.italiani a 2,50/k. vorrei però capire quanto spende in termini di: denaro, energia fisica, impegno personale, uso di attrezzature di vario tipo, un agricoltore di Bari per poter poi offrire il prodotto del suo impegno/lavoro a questa remunerazione. Perché io penso che il tempo (se è denaro) lo è in tutto il territorio nazionale, così per l’acquisto di macchine ed attrezzi, gasolio agr. Ecc. la cosa potrebbe spiegarsi solo ipotizzando una resa in termini percentuali doppia a quella che a me risulta.( non sono un tecnico ma penso che non sia possibile)
Quest’ipotesi potrebbe essere valida parlando dei paesi tipo Tunisia , Marocco ecc. paesi dove un economia diversa genera un tenore di vita dei ceti meno abbienti è molto più basso che da noi
Non mi dia del pignolo (comunque l’accetterei) ma riconoscendo la sua analisi sulla nostra filiera formata da tantissimi piccoli e piccolissimi olivicoltori (io sono uno di questi) che coltivano per hobby???(di solito le nostre vertebre consigliano degli hobby meno faticosi) o part time che per ripagarsi parzialmente delle spese sostenute cedono il surplus a qualche euro. Come dire: spendo, oltre che fatica, qualche centinaio di euro (tolti dalla pensione) per avere il buon olio per me e ringrazio chi mi da qualche spicciolo che mi dovrebbe ripagare le spese di potatura, trattamenti fitosanitari trinciatura/aratura,frangitura ecc.
Sono sempre più convinto che di queste vocazioni francescane non esistono più . Esiste al contrario chi,coltivando per passione,e per conservare il patrimonio di altre generazioni, sceglie di raccogliere per se l’occorrente e lascia sulla pianta il resto. Preparando così il terreno alle future generazioni che sicuramente troveranno più comodo ed economicamente più conveniente rifornirsi al supermercato dove il buon olio non mancherà mai anche se ci dovessero essere le più avverse condizioni climatiche….
Vede dott.Grimelli questi sono i motivi per cui rimango con le mie perplessità; riconosco pienamente le leggi del mercato, ma affermo che un buon olio da 2,50 della catena dei supermercati non è uguale a quell’olio che molti piccolissimi olivicoltori producono ancora, brucando fra gli uliveti lasciando cadere qualche goccia di sudore sulle olive appena raccolte.(Forse per questo che questi oli hanno un sapore aspro e un po’ piccante)
La ringrazio per lo scambio di opinioni e la saluto con molta stima
Lino Sciarpelletti

Redazione Teatro Naturale
Redazione Teatro Naturale
29 gennaio 2012 ore 11:11

Gentile Sig. Sciarpelletti,
generalmente associamo i termini “selezione”, “selezionare” all'elevatissima qualità, a una nicchia, a qualcosa di prezioso. E' però una visione un po' ristretta. L'industria/commercio oleario selezionano con cura gli oli ai loro fini, con l'obiettivo di creare quel blend che abbia un rapporto costo/qualità che loro desiderano e che si sono prefissi. Anche questa è selezione. Anche questo è un lavoro difficile. Ricordo ancora un concetto espresso, durante un seminario universitario, dall'enologo Giacomo Tachis, ovvero che è più semplice produrre un grande cru, come il Sassicaia, piuttosto che un prodotto di massa come il Santa Caterina. Produrre migliaia di ettolitri di un vino, o migliaia di tonnellate di un olio, sempre uguale a sé stesso, di qualità costante, richiede perizia e molto impegno. Il lavoro dell'industria/commercio oleario, nel nostro specifico caso, sta nella selezione che non ha lo scopo di immettere sul mercato un grande cru ma un onesto, dignitoso olio di massa.
Veniamo quindi alla sua osservazione sui costi di produzione. Non metto in dubbio che il suo costo di produzione sia di 5 euro/kg. Lei, altrettanto, non può mettere in dubbio che oggi si scambiano sulla piazza di Bari extra vergini italiani di questa campagna olearia a 2,50 euro/kg. Anche meno. Stando alla sua premessa ciò non dovrebbe essere possibile ma accade. Due le possibilità: o crediamo alla tesi della “grande cospirazione” o a quella del “mercato”.
La tesi della grande cospirazione vuole che tali prezzi esistano solo perchè ci sono frodi, sofisticazioni e truffe. Ma chi sono i malfattori? L'industria/commercio oleari compra da grossisti, mediatori, commercianti. Sono queste categorie ad avere l'extra vergine in mano prima di passarlo all'industria e lo vendono a 2,50 euro/kg. Se sono loro a commettere reato, vuol dire che l'industria è una vittima. L'industria però ha laboratori, tecnici ed è escluso che possa farsi fregare così impunemente. Industria/commercio e grossisti/commercianti dovrebbero essere quindi in combutta per fregare olivicoltori e consumatori, compiendo frodi, sofisticazioni e truffe su grandi quantità, tali da abbassare il prezzo di tutto l'olio in commercio. I volumi interessati da tali macchinazioni dovrebbero essere enormi. E' pensabile immettere sul mercato simili masse di olio truffaldino, sofisticato, alterato senza essere scoperti? Come mai le autorità scoprono ogni anno solo poche centinaia di tonnellate “falso”? Perchè la maggior parte delle inchieste, anche giornalistiche, finisce nel nulla?
La seconda tesi è quella del mercato. In altre nazioni l'extra vergine costa poco anche perchè hanno costi di produzione ridotti e un diverso assetto della filiera. Ha cominciato la Spagna a trattare l'extra vergine come commodity, a ruota sono venute Tunisia, Marocco, Turchia ecc. L'industria/commercio può liberamente approvvigionarsi in Italia o all'estero e generalmente sceglie di andare dove trova l'extra vergine di qualità standard di suo interesse alle migliori condizioni. Questo, in gran parte, non si trova in Italia. Per vendere, dunque, i grossisti/commercianti italiani devono allinearsi alle quotazioni degli altri Paesi, spuntando quotazioni solo lievemente superiori in virtù di una tradizione qualitativa consolidata. Per ottenere condizioni migliori dovrebbe sorgere un mercato dell'extra vergine italiano, Made in Italy, molto forte e con volumi importanti, in cui i consumatori riconoscano un premio di prezzo significativo. Si è provato nel 2010/11. Non è accaduto. Resta da capire come comunque sia possibile che i commercianti/grossisti possano offrire olio a 2,50 euro/kg. A questo proposito occorre ricordare che la nostra filiera produttiva è composta da tanti, tantissimi piccoli e piccolissimi olivicoltori hobbistici e part time che non traggono di che vivere dall'olivicoltura. Custodire l'oliveto di famiglia è una tradizione, significa mantenere un patrimonio, tutto fuorchè la generazione di un reddito. La cessione dell'olio in surplus rispetto al loro fabbisogno è l'occasione di ripagarsi un po' le spese sostenute, spesso più basse di quelle di un'azienda in quanto l'impiego di manodopera familiare non è contemplato tra i costi. Questi si limitano al frantoio, al concime, a qualche trattamento fitosanitario. Qualche centinaio di euro all'anno che riescono a recuperare, alla meno peggio, attraverso la cessione dell'olio in surplus rispetto all'autoconsumo. Ecco che i serbatoi dei commercianti/grossisti si possono riempire di extra vergine anche a 2,50 euro/kg. Quanti sono questi olivicoltori hobbistici e part time? Ricordo, a memoria, uno studio di Aifo, l'associazione dei frantoiani, che stimava che quelli professionali, che con l'olivicoltura ci devono campare, erano il 10% del totale.
A lei la scelta a quale dei due scenari credere.
Conoscendo il mondo dell'olio propendo per la seconda ipotesi. Un sistema che si regge, per lo più, sulla difesa strenua dello status quo da parte delle associazioni (più olivicoltori significa più peso politico), e sulla buona volontà dei “vecchi”. Quando la palla passerà alle giovani generazioni, le olivete verranno abbandonate perchè è più comodo comprare olio al supermercato piuttosto che autoprodurselo. E' quanto sta già avvenendo, disordinatamente e sregolatamente, con buona pace del sistema olivicolo nazionale.
Questo non significa, ovviamente, che il mercato dell'olio sia esente da truffe, sofisticazioni e adulterazioni. I furbetti esistono in ogni settore. Da qui a disegnare un sistema marcio fin nel midollo ce ne passa. Oggi è in atto una caccia alle streghe, disegnando il settore come preda di questi untori che soffocano il sistema. Ricordo solo che, storicamente, le cacce alle streghe sono servite per distogliere l'attenzione dai problemi veri, reali, cogenti.
Vogliamo reagire a questa situazione? Prima di tutto occorre prendere coscienza della realtà, senza trovare nemici a cui attribuire tutte le colpe. Poi si può pensare a come valorizzare la nostra produzione attraverso marketing e promozione.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

LINO SCIARPELLETTI
LINO SCIARPELLETTI
28 gennaio 2012 ore 22:22

Gent.mo dott. Grimelli
Seguo con molta curiosità la sua analisi/costi della G. industria olearia.
Per mia natura non ho il vizio di confutare le tesi altrui (considerando anche la fonte, competente e sicuramente documentata) ma qualche perplessità e qualche riflessione me le deve consentire:
1 la materia prima utilizzata deve essere selezionata con cura…????
2 la molitura, nella mia zona costa 10€/q. (soc. coop,è il minimo in zona) ….c’è da pensare che esistono impianti in cui la mano d’opera e l’energia elettrica sono a costo vicino allo zero?
3 usando ausili meccanici per la raccolta un operaio(costa 50/60€e può raccogliere max2q. di olive. Mi fermo qui. Raccolta + molitura (min)=€ 60 per 40l. (resa media 20%) costo /l = 1,50 al frantoio.
Non consideriamo le altre spese di coltivazione. In sintesi considerando tutti i costi, detratti gli aiuti comunitari, in regime di coltivazione biologica, se la “stagione” è abbondante il costo/produzione oscilla tra 4,50/5,00€/l . Personalmente ho seri dubbi che altri possono produrre la stessa qualità ed offrirla al grossista a € 1,97/l. iva compresa
Altra riflessione, se me la consente, l’analisi in questione tutto sommato dimostrerebbe che quei consumatori che si ostinano ad acquistare extravergine a prezzi €/l di. 6, 7, ed oltre…tutto sommato sono da considerarsi dei fessi , per non usare espressione più colorita.

Giuseppe Parise
Giuseppe Parise
28 gennaio 2012 ore 19:40

Complimenti per l'ottima analisi ...Quindi per un olio completamente made in Italy è impossibile accedere in quel 70% di olio venduto nella GDO poichè con un prezzo di quotazione di 2.46 € al kg non si riesce neanche a coprire i costi energetici che comporta la produzione dello stesso. Ormai l'Italia intesa come regina della produzione oliandola è scomparsa abituiamoci a questi prezzi non si puo' vivere con la speranza che in Spagna la produzione vada male .

Roberto La Pira
Roberto La Pira
28 gennaio 2012 ore 17:10

Grazie per questo secondo intervento che porta un pò di chiarezza in un mercato nebuloso e difficile da decodificare

massimo ferranti
massimo ferranti
28 gennaio 2012 ore 11:31

Una cosa sicuramente è certa: ci stiamo facendo del male. E non solo in campo alimentare, ma nell'arredamento, nel turismo, nell'abbigliamento, nella cultura e in tante altre cose del nostro quotidiano.

Sei quello che mangi? ma forse "sei quello che compri". E' forse per la necessità di risparmiare? No! Occhio allo spreco (prendo in prestito). Il 30% dei nostri acquisti è spreco e un cucchiaino in meno nell'insalata ci permetterebbe di pagare 6 € un buon olio della nostra terra.

Caro Grimelli, frodi e sofisticazioni non sono solo manipolazioni fisico-chimiche del prodotto, ma anche manipolazioni e alchimie del progetto di comunicazione, il Marketing insomma.

Grazie del suo lavoro.

Alberto Grimelli
Alberto Grimelli
28 gennaio 2012 ore 09:29

Gent. Sig. Caravatti,
riporto anche in questo post quanto già detto la settimana precedente per l'extra vergine da 2,59 euro/kg.
A solo titolo informativo, le quotazioni indicate dal COI a dicembre per olio extra vergine d'oliva della campagna 2011/12:
- Spagna 1,79 euro/kg
- Grecia 1,84 euro/kg
- Italia 2,43 euro/kg
Questa è la realtà, per quanto triste e drammatica.
Come è possibile che ci siano questi prezzi? E' la legge della domanda e dell'offerta, che notoriamente prescinde dai costi di produzione. Tali quotazioni esistono perchè la produzione mondiale è in aumento, con giacenze enormi. Il COI stima 888mila tonnellate alla fine della presente campagna. Finchè la produzione crescerà le quotazioni resteranno basse perchè, evidentemente, le olive verranno raccolte e frante, ottenendo olio che verrà venduto nelle borse merci e dai grandi intermediari. Il mercato è ormai globale. Credere che la generazione di queste quotazioni, su un bacino di circa 2milioni di tonnellate d'extra vergine d'oliva, sia solo frutto di frodi e sofisticazioni è assai fantasioso.
Aggiungo che il costo di molitura da lei indicato riguarda, presumibilmente, il centro nord Italia, e neanche tutto. Più ci si sposta al sud e più questo costo si riduce, fino a dimezzarsi. In Spagna il costo di molitura arriva anche a 5 euro/quintale. Questo solo a titolo di esempio.
Se ha seguito Teatro Naturale sa, perchè lo abbiamo riportato più volte, che il costo di produzione, stimato dalle organizzazioni agricole iberiche, per il loro olio extra vergine è di circa 2,50 euro/kg. Ora stanno soffrendo la competizione di altre nazioni che riescono a operare maggiori economie di scala e hanno minori costi e oneri.
Questo è lo scenario internazionale dell'olio d'oliva, da cui non si può prescindere. Guardare ai propri costi di produzione e al proprio orticello è lecito e doveroso ma senza perdere di vista il quadro generale, anzi essendo ben informati e consapevoli di quanto accade al di fuori dei nostri confini, non solo regionali, ma anche nazionali.
Cordiali saluti
Alberto Grimelli

giovanni caravatti
giovanni caravatti
28 gennaio 2012 ore 08:59

Perchè non diciamo alle persone che comperano l'olio a quel prezzo cosa mangiano????????
Un olio, che si può fregiare di questo nome,deve costare almeno € 6,00 alla fonte per essere
sicuri di mettere sulla tavola un buon prodotto.
Solamente la molatura costa circa €20,00 al ql.con una resa del 15/18 litri/quintale, come possono venderlo a 2,99 € al litro,bottiglia,etichetta.tapo corona,ed infine trasporto?
ma mistero o magia

Vincenzo Lo Scalzo
Vincenzo Lo Scalzo
28 gennaio 2012 ore 01:12

Grazie, è un buon esercizio a cui si trova di fronte un operatore della filiera. Non si tratta di eccezioni ma della maggior parte degli operatori come annota Grimelli. E' lo stato dell'industria su cui influisce la stagionalità, l'insorgenza di costi straordinari o la decisione di rimandarne alcuni sperando anche nell'assistenza dei fattori esterni. Si, si controlla ogni centesimo, Il gestore industriale ne ha l'abitudine, un gestore di industria agricola ha altri scenari di cui temere, compresi anche i piani di terzi, concorrenti spinti dai fattori interni o esterni di ciascuno. Il periodo è critico e nervoso da alcuni anni, i flussi di cassa diventano impellenti.
Si consigliano piano a medio lungo termine alla ricerca di effetti di scala... e di accordi ed iniziative di motivazione del mercato...
Aspetto con curiosità le reazioni/commenti...