Editoriali 06/03/2015

Una pessima annata e la forza delle donne


Dopo una campagna olearia come questa appena passata, la domanda se l’agricoltura italiana sia da buttar via torna con una sua forza direi quasi naturale. La tentazione di lasciar perdere tutto c’è. Ed è forte. Noi donne associate in Pandolea ci siamo date la mission – che è stata poi una scelta naturale per noi, per il nostro lavoro, per la nostra formazione – di uscire dagli oliveti e dai frantoi e diffondere il più possibile la cultura dell’olio extravergine di qualità a partire dal mondo della scuola dell’obbligo. Perché in quanto donne – ci siamo dette – i nostri figli sono la priorità. Pensando che dovrebbero esserlo per tutti, per il Paese intero: sono loro infatti i cittadini, i consumatori, i politici, gli uomini e le donne del futuro cui lasciamo il testimone. Eppure, qualche dubbio, in quest’annata, ci è venuto ed anche forte. Passato il momento più caldo di sconforto, però, ci siamo chieste anche: ma è tutta colpa del clima, del caldo e delle piogge, dei parassiti e della scarsità di remunerazione se ci viene la tentazione di buttar tutto all’aria?

Per questa seconda domanda, pensandoci un po’ a fondo, le risposte si fanno però più complesse. L’annata in sé, infatti, non basta a spiegare un’amarezza che si fa sempre più strada. È vero che siamo inseriti in un sistema Europeo, che i mercati non sono più chiusi, che la concorrenza – e gli interessi – sono sempre più intrecciati e sfaccettati. Però, perché questo Paese, l’Italia, ancora non punta alla valorizzazione vera e profonda di uno degli elementi della propria tradizione più radicata – come l’extravergine – e uno dei pilastri stessi della Dieta Mediterranea? Certo, se pensiamo che per “scoprire” la Dieta Mediterranea ci sono voluti gli americani, allora è meglio lasciare perdere… Perché sarà anche vero che pezzi forti di economia di altre nazioni – e di settori pesanti della nostra industria – hanno dell’olio extravergine di oliva un pensiero e una considerazione diversi dalle nostre, ma è anche vero che può esserci spazio per tutti, a patto che tutti abbiano la possibilità di battersi e di competere ad armi (quasi) pari. Allora, io credo che in un’annata come questa la politica dovrebbe porsi come prioritario il tema di come affiancare l’agricoltura per salvare quanto più possibile la produzione olearia. Certo, per far sì che un’azione del genere possa esplicarsi, non si deve aspettare l’annata nera! Tutto il sistema dovrebbe funzionare in maniera virtuosa e sostenere (non assistenzialisticamente, ma costruttivamente) l’agricoltura tornando a recuperare un patrimonio (non solo olivicolo!) che da sempre è stata una delle ricchezze, anche culturali, di questo Paese. Così, solo per fare un esempio, se “olio extravergine di oliva” significa (per grandi cifre) esclusivamente la spremuta (effettuata meccanicamente) delle olive, senza alcun difetto e con un’acidità massima di 0,8% (per quanto tra un buon 0,3% e un poco diffidabile 0,7% ci passi un oceano), allora tutto ciò che non risponde a questa definizione non può essere etichettato e venduto come extravergine: chi lo fa commette un reato, di truffa o di sofisticazione. E queste cose andrebbero perseguite, evitate, prevenute. Perché se già è dura far passare il concetto di extravergine di qualità, diventa impossibile farlo se nel mercato il caos è totale.

Il mondo dell’olio di oliva deve mettere insieme le forze migliori: per gestire collettivamente servizi, per avere possibilità di far fronte all’export (e alle tutele internazionali) con più forza. I produttori devono mettersi insieme, i contadini e i frantoiani devono imparare a fare fronte comune. Questo dovrebbe insegnare la politica. Certo, nell’isolamento vien voglia di buttar via tutto, si vive solo un senso di disperata impotenza. Ma non deve, no può essere così. Questo penso, come donna e come imprenditrice. E questo credo che pensino molte donne impegnate come me in agricoltura.

È vero, non abbiamo in Italia una Vandana Shiva, né penso che un’associazione come Pandolea possa avere la stessa forza mediatica della grande donna e leader ambientalista indiana.

Credo però che alcuni terreni di crescita culturale possano essere percorsi se si riesce a lavorare di più e con più convinzione sui temi dell’associazionismo legato alla produzione, alla sostenibilità (anche economica) delle imprese e alla valorizzazione (non solo salvaguardia) dell’ambiente e del paesaggio. C’è – anche idealmente – una considerazione positiva verso il ritorno alla campagna, alla natura. Dobbiamo fare in modo che questo diventi un valore positivo insito nel far politica. Non abbiamo tanto bisogno di una Vandana Shiva, in fondo, ma di una buona e seria classe politica. Altrimenti, certo, non ha più senso occuparsi di agricoltura, se non come hobby costoso per pochi eletti. Forse se più donne si occupassero di politica e si facessero sentire, se avessero la forza e la possibilità di arricchire l’azione collettiva con lo spessore della propria specificità, l’agricoltura potrebbe non ridursi a un hobby aristocratico.

 

Loriana Abbruzzetti è Presidente di Pandolea

di Loriana Abbruzzetti

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