Salute

Malattie cardiovascolari:prevedere quando l’aspirina funziona meglio

Messa alla prova la capacità di un semplice test di laboratorio di scoprire i pazienti sensibili e quelli “resistenti” alla terapia con aspirina, uno dei farmaci più usati per prevenire l’infarto

09 febbraio 2008 | T N

Sapere in anticipo quali persone risponderanno positivamente alla terapia con aspirina, una delle più usate contro le malattie cardiovascolari, è l’obiettivo di uno studio condotto dai Laboratori di Ri-cerca dell’Università Cattolica di Campobasso e pubblicato sul numero di gennaio della rivista internazionale Thrombosis and Haemostasis. Un semplice test del sangue, che si può eseguire in pochi minuti, è risultato efficace nell’individuare chi avrà più probabilità di trarre beneficio clinico dall’aspirina e chi, invece,no.

L’aspirina viene oggi largamente usata in tutti quei pazienti che sono stati colpiti da un “evento trombotico”: la chiusura di un’arteria dovuta alla formazione di un coagulo sanguigno, le cui conse-guenze più frequenti sono infarto cardiaco ed ictus cerebrale. Uno dei fattori principali che portano alla formazione del coagulo è rappresentato dalla capacità delle piastrine di aggregarsi tra loro. Ec-co perché l’aspirina, riducendo tale capacità, rappresenta uno strumento terapeutico molto im-portante nelle mani dei medici per evitare che il paziente possa essere nuovamente colpito. E’ quella che viene definita “prevenzione secondaria”.

Però in alcune persone (“resistenti”) l’aspirina sembra avere un effetto limitato per cui, nono-stante la terapia, le piastrine continuano in parte ad aggregarsi. In questi casi il rischio di essere col-piti, ad esempio, da un secondo infarto, potrebbe essere ridotto in modo molto modesto. Questi pa-zienti avrebbero bisogno di un aggiustamento della terapia. Ma prima di decidere, è necessario ca-pire chi è “resistente” e chi no. Una piccola apparecchiatura (PFA-100),sviluppata in Germania, mira proprio a questo. Un campione di sangue del paziente che sta prendendo aspirina viene esami-nato in pochi minuti per stabilire il grado di riduzione della reattività delle piastrine.

Lo studio, condotto dalla Cattolica di Campobasso in collaborazione con l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, ha preso in esame 53 diverse ricerche condotte con questo apparecchio in Europa ed in America, per un totale di oltre 6.000 persone, e le ha messe a confronto attraverso so-fisticati metodi statistici per ottenere dei dati complessivi. E’ risultato che mediamente un quarto dei soggetti che assume aspirina mostra un’inibizione delle piastrine insufficiente. Un’analisi più ri-stretta ha evidenziato che i pazienti che, secondo il test, apparivano “resistenti” erano più facilmente esposti ad un secondo infarto o ictus, nonostante la terapia con aspirina.

“E’ necessario ricordare – dice Marilena Crescente, ricercatrice del Laboratorio di Biologia Cellu-lare e Farmacologia della Trombosi e principale autore dello studio – che siamo di fronte a risultati importanti ma ancora preliminari, che dovranno essere messi alla prova da studi futuri. Prima che questo test possa essere validamente inserito nella pratica clinica, sarà necessario raggiungere una migliore standardizzazione e ulteriori indagini. La nostra ricerca, comunque, indica chiaramente che esiste la possibilità di avere una risposta rapida al quesito della cosiddetta “resistenza” all’aspirina, una risposta capace di guidare le scelte dei medici”.


Chiara Cerletti, capo del laboratorio della Cattolica dove lo studio è stato effettuato, sottolinea con soddisfazione che “è la prima volta nella letteratura internazionale che si procede ad una analisi così ampia e complessa di un test di laboratorio per valutarne la capacità di predire il ripetersi di eventi clinici cardiovascolari”.
“Si tratta – è il commento di Giovanni de Gaetano, Direttore dei Laboratori di Ricerca della Catto-lica di Campobasso – di un ulteriore passo in avanti in una delle principali sfide della medicina mo-derna: capire cosa c’è di diverso tra un paziente e l’altro. Oggi continuiamo a trattare i malati di una certa patologia come se fossero tutti uguali. Eppure sappiamo che non è così”.
E’ come il vecchio proverbio: “di notte tutti i gatti sono grigi”. Dobbiamo invece fare luce e riuscire a capire i veri “colori” di ciascun malato.



Per maggiori informazioni:
Dr Antonio Mascioli – Americo Bonanni
Laboratori di Ricerca - 0874-312.272



Fonte: Progetto Moli-sani, Centro di Ricerca e Formazione ad Alta Tecnologia nelle Scienze Biomediche Giovanni paolo II,

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