Salute 17/06/2020

Olio d'oliva e liquirizia per battere il Covid-19

Olio d'oliva e liquirizia per battere il Covid-19

Una ricerca delle Università di Napoli e di Perugia si concentra sulle sostanze naturali per ridurre l'infezione. Tali molecole utili bloccare l’ingresso del coronavirus nelle cellule quando la carica virale è bassa


Anche la natura può venire in aiuto contro il Covid-19.

E' quanto hanno pensato i ricercatori delle Università di Napoli e Perugia che hanno studiato alcune molecole naturali di natura steroidea, presenti in natura e soprattutto in alimenti di consumo comune come l'olio d'oliva e la liquirizia.

Tra questi ci sono anche acidi biliari, ovvero sostanze prodotte nel fegato e nell’intestino dal metabolismo del colesterolo. La liquirizia e l'olio d'oliva che "agiscono con lo stesso meccanismo".

Angela Zampella, direttrice del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Napoli Federico II, ha illustrato come le sostanze individuate dal team di ricerca siano completamente naturali e si trovano, oltre che nel corpo umano, anche in alcuni alimenti come la liquirizia e l’olio di oliva. “Le molecole che abbiamo studiato nel corso della ricerca possono bloccare l’ingresso del coronavirus nelle cellule quando la carica virale non è elevatissima”, sottolinea l’esperta.

Questa scoperta potrebbe aprire le porte a nuove forme di prevenzione del coronavirus e rappresenta il primo passo verso la stesura di un protocollo terapeutico che verrà posto all’attenzione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa).

Lo studio dell’ateneo partenopeo è stato pubblicato sul sito BioRxiv ed è in attesa di essere sottoposto alla peer-review. Nel corso della ricerca si è proceduto ad identificare nuovi target molecolari in grado di interferire con il meccanismo d’ingresso di Sars-CoV-2 nelle cellule bersaglio. Per svolgere la ricerca, le analisi computazionali del team diretto del dottor Bruno Catalanotti si sono incrociati e sono stati completati da quelli di chimica sintetica, condotti dall’equipe guidata dalla professoressa Zampella, e da quelli di biologia molecolare messi in atto dalla dottoressa Adriana Carino, sotto la supervisione del professor Stefano Fiorucci (Gastroenterologia del Dipartimento di Scienze chirurgiche e biomediche dell’Università degli Studi di Perugia). Allo studio, interdisciplinare e che ha coinvolto più gruppi, hanno partecipato anche i gruppi dei dipartimenti di microbiologia e malattie infettive dell’Università di Perugia.

di T N