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Uniti si vince. Il mondo dell’olio apre lo sguardo al Mediterraneo

Un network transnazionale tra produttori olivicoli al nastro di partenza. Tutto nasce nel nome dell’agricoltura biologica, con il progetto BiolMed. Si chiede un salto culturale, ma nel frattempo l'irrisolto problema di fondo resta legato al prezzo e ai finanziamenti

02 maggio 2009 | Luigi Caricato



L’incontro che si è svolto ad Andria, nella sala consiliare del Comune, è partito con i buoni auspici di quanti sono intervenuti. Ma le attese sono davvero tante che non sembra affatto facile il percorso da intraprendere. Intanto un fatto è certo: si è giunti realmente a un accordo, con la firma di un protocollo d’intesa che vede la nascita di un network transnazionale tra produttori olivicoli del Mediterraneo. E non è una questione tra semplici produttori d’olive da destinare all’oleificazione, ma di olivicoltori che coltivano in tutta l’area del Mediterraneo seguendo le regole dell’agricoltura biologica. L’obiettivo principe è di sostenere le aziende olivicole e orientarle alla qualità.

Una adeguata remunerazione
Ciò che sembrano al momento solo parole, in realtà in tutti questi anni hanno portato a risultati concreti e a fatti comprovati. Prova ne sia la crescita qualitativa delle produzioni che si è andata registrando nell’ambito dei vari concorsi oleari. L’unico problema, semmai, è che a questo impegno nel fare bene non è seguita un adeguata remunerazione per gli operatori del settore.

La costruzione di una casa comune
Il 21 aprile scorso, nel convegno di punta organizzato nell’ambito della quattordicesima edizione del premio internazionale Biol, si è aperta la strada verso la costruzione di una casa comune. Il primo passo ha riguardato l’Italia, la Grecia e la Spagna, ma anche Malta e Croazia. Un nucleo di cooperazione, questo, ch’è destinato ad allargarsi, come ci hanno confidato gli organizzatori del Cibi, il Consorzio italiano per il biologico. All’incontro c’era tra l’altro la presenza di rappresentanti di Turchia, Libano, Tunisia e Siria. Ma non c’è da cantar vittoria.

Liberi dalla nicchia. Uno sguardo aperto all'universo mondo
Al convegno sono emerse grandi potenzialità dell’olivicoltura biologica, ma anche le molte ombre che la riguardano. Con un avvertimento della rappresentante dell’Ifoam, la Federazione mondiale che unisce tutti i movimenti dell’agricoltura biologica. Secondo la Minotou Charikleia “non ci si deve fermare all’extravergine bio pensando espressamente a un prodotto di nicchia, ma è necessario avere una visione più ampia e guardare al mondo intero”.

La stagione degli aiuti e delle garanzie è finita
Il primo passo da compiere consiste nel superare una certa ritrosia a investire, soprattutto in cultura. Ha visto bene l’assessore al Comune di Andria Giovanni Del Mastro, denunciando il limite che ha finora impedito di far tesoro delle molte potenzialità in seno all’agricoltura italiana: “ Noi – ha detto – paghiamo da decenni un prezzo troppo alto a causa di una mancata cultura della programmazione”. E qui Del mastro ha messo il dito nella piaga, visto che l’olivicoltura, non solo quella biologica, ma anche quella convenzionale, risente fortemente di questo grosso limite. Però avverte: “Occorre guardare in positivo, e mettere da parte gli individualismi. La stagione degli aiuti è finita”. Ed è proprio qui il grande problema: nell’ambito della sola Puglia, per esempio, la flessione che si è registrata è legata in modo diretto alla possibilità di accedere ai finanziamenti. E purtroppo l’olivicoltura biologica senza aiuti appare come bloccata, nonostante le significative potenzialità.

In Spagna il medesimo problema: il prezzo
Uno sguardo in Spagna, per rendersi conto che il quadro non è tanto dissimile dal nostro. C’è stata una contrazione in termini di superficie coltivata a biologico. Lo ha sostenuto Juan Manuel Luque, presidente dell’associazione Epea. Il decremento in Andalusia è nell’ordine del 12 per cento. Il problema è legato in particolare al prezzo, alla scarsa remunerazione dei produttori. Il confronto con l’olivicoltura convenzionale non regge. L’olivicoltura convenzionale ha effettivamente una marcia in più, nonostante di questi tempi sia l’olivicoltura in generale che subisca un forte frenata. E, come al solito, a farla da padrone è la Grande distribuzione organizzata, i cui oli venduti con un proprio marchio rappresentano una quota del 70 per cento, condizionando con ciò gli andamenti del mercato.

Un mercato poco trasparente
Evidentemente, a partire da queste problematiche la firma del protocollo rappresenta un piccolo passo in vanti, e chissà cosa accadrà in futuro. Chissà se questi sforzi possano rivelarsi utili. Il problema, anzi i problemi sono tanti. Quello più evidente – ha precisato Bernardo De Gennaro, responsabile dell’Osservatorio internazionale del Biol – è che “non si ha la più pallida idea della produzione reale di olio extra vergine da agricoltura biologica con la certificazione”. Molto strano, visto che tutti i passaggi risultano censiti e monitorati. De Gennaro insiste nel denunciare una “assenza di trasparenza del mercato”. E la fase attuale purtroppo è caratterizzata da uno stato di “gravissima sofferenza”. E De Gennaro non nasconde la propria preoccupazione quando riconosce che si fa “grande fatica a capire le reali dimensioni del mercato”. C’è, insomma, qualcosa di non ancora chiarito.

Mettere a frutto le potenzialità
Ed ecco dunque l’urgenza e la necessità di giungere a un network transnazionale tra produttori olivicoli, così da provare a difendersi e a trovare il modo di metter a frutto tutte le grandi potenzialità. D’altra parte, il mercato degli oli di oliva cresce e si espande sempre più geograficamente, e non si comprende affatto il motivo per cui, nonostante ciò, nonostante questo momento positivo dei consumi, non si possa trovare una soluzione economicamente vantaggiosa per gli olivicoltori.

La via del network transnazionale
Il network ha tra i suoi attori di primo piano lo Iamb, l’Istituto agronomico del Mediterraneo di Bari, la stessa Regione Puglia, il già citato CiBi e l’Icea, l’Istituto per la certificazione etica e ambientale.
“Il progetto – chiarisce il presidente dell’Icea Nino Paparella – prevede una rete di circoli di qualità del Biol con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo delle aziende olivicole orientate a miglioramenti qualitativi, ma anche incontri regionali, manuali sulle produzioni di qualità, un catalogo sulle innovazioni, e la creazione di gruppi d’acquisto e di Farmers markets con il proposito di puntare all’approvvigionamento diretto da piccoli produttori locali”.

La qualità nella condivisione delle regole
Sarà una strada alternativa per risolvere gli annosi problemi che si trascinano negli anni? Vedremo. Intanto Cosimo Lacirignola, direttore dell’Istituto Iamb che l’unica soluzione resti lo sviluppo dei mercati locali e l’acquisizione della capacità di comunicare le peculiarità distintive di ciascun olio, il tutto pensando a una qualità delle produzioni che non può certo essere sganciata dalla condivisione delle regole.

Avanti con le proprie gambe
Il network è al nastro di partenza. Occorre solo capire se ci saranno davvero, di qui in avanti, dei risultati utili in tal senso. Le condizioni ci sono, è sufficiente solo – come giustamente ha sostenuto l’assessore al Comune di Andria Giovanni Del Mastro – che le parti chiamate in causa siano pronte per il salto culturale richiesto: mettere da parte gli individualismi, e andare avanti, ma con le proprie gambe.

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