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I piccoli contadini sfamano il mondo

I piccoli contadini sfamano il mondo

E' fondamentale il contributo delle aziende agricole con meno di due ettari di estensione ma l'incidenza varia da paese a paese: dall'80% della Cina fino alle percentuali a una sola cifra di Brasile e Nigeria

26 aprile 2021 | C. S.

Stando a un nuovo, dettagliato studio condotto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), circa un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo è frutto del lavoro dei piccoli agricoltori.

A livello globale cinque aziende agricole su sei hanno meno di due ettari di estensione, sfruttano soltanto il 12 per cento circa di tutto il suolo agricolo del pianeta e producono approssimativamente il 35 per cento dei generi alimentari mondiali. È quanto è emerso da uno studio pubblicato nella rivista World Development.

I contributi dei piccoli agricoltori all'approvvigionamento di generi alimentari variano enormemente da paese a paese e oscillano dall'80 per cento della Cina fino alle percentuali a una sola cifra di Brasile e Nigeria. Lo studio evidenza l'importanza di disporre di dati ottimizzati e armonizzati per fornire ai responsabili politici un quadro più granulare e accurato delle attività agricole.

"È fondamentale evitare di usare in maniera indiscriminata i termini ‘aziende agricole a conduzione familiare' e ‘piccole aziende agricole': se è vero, infatti, che la maggior parte delle aziende agricole a conduzione familiare sono di piccole dimensioni, alcune sono più grandi, se non addirittura molto grandi," ha affermato Marco Sánchez, Vicedirettore della Divisione dell'economia agroalimentare della FAO e coautore dell'articolo insieme a Sarah Lowder e Raffaele Bertini, che collaboravano con la FAO all'epoca dello studio.

Nel 2014 un rapporto faro della FAO calcolava che nove su dieci dei 570 milioni di aziende agricole nel mondo erano aziende a conduzione familiare e producevano approssimativamente l'80 per cento del cibo mondiale. Il nuovo studio, dal titolo "Which farms feed the world and has farmland become more concentrated?" (Quali sono le aziende agricole che sfamano il mondo? E vi è stata una concentrazione dei terreni agricoli?), si prefigge lo scopo di indagare quali categorie di aziende agricole prevalgono nel mondo in termini di dimensioni.

Secondo stime aggiornate, esistono attualmente nel mondo più di 608 milioni di aziende agricole a conduzione familiare, che occupano tra il 70 e l'80 per cento dei terreni agricoli mondiali e producono approssimativamente l'80 per cento dei generi alimentari mondiali in termini di valore. Dal nuovo studio si possono inoltre ricavare stime sulle dimensioni delle aziende agricole: il 70 per cento circa di tutte le aziende agricole, che lavorano soltanto il 7 per cento di tutti i terreni agricoli, hanno dimensioni inferiori all'ettaro, mentre il 14 per cento delle aziende, che controllano il 4 per cento del suolo agricolo, hanno dimensioni comprese tra uno e due ettari; infine, il 10 per cento di tutte le aziende agricole, che operano sul 6 per cento del suolo agricolo, hanno dimensioni comprese tra due e cinque ettari.

Al tempo stesso, l'uno per cento delle aziende agricole mondiali di più grandi dimensioni, vale a dire con estensione superiore ai 50 ettari, utilizza più del 70 per cento dei terreni agricoli mondiali, di cui quasi il 40 per cento si può ricondurre ad aziende agricole con oltre 1000 ettari di estensione.

Perché è importante conoscere le dimensioni delle aziende agricole

Questi dettagli sono importanti per le organizzazioni internazionali e i responsabili politici che puntano a introdurre politiche e investimenti pubblici volti a sostenere l'agricoltura familiare, accrescere la produttività dei piccoli produttori e migliorarne i mezzi di sussistenza rurali, secondo quanto previsto dal Decennio dell'agricoltura familiare delle Nazioni Unite (2019-2028). Essi contribuiscono inoltre a migliorare la consapevolezza sullo stato delle aziende agricole di medie e grandi dimensioni, il cui ruolo è decisivo anche nel conseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile 1 (Povertà zero), 2 (Fame zero), 10 (Ridurre le disuguaglianze) e 12 (Consumo e produzione responsabili).

È fuor di dubbio che l'esistenza di variazioni regionali significative rivela quanto sia incisivo il livello generale di sviluppo economico. In generale, le dimensioni delle aziende agricole aumentano con l'aumentare del reddito medio nazionale: il 99 per cento delle aziende agricole nei paesi ad alto reddito ha un'estensione superiore a cinque ettari, una percentuale questa che nei paesi a basso reddito scende al 28 per cento.

I fattori regionali e locali sono altrettanto eloquenti. Le piccole aziende agricole occupano una percentuale di terreno agricolo nettamente maggiore rispetto alla media globale in regioni come l'Asia meridionale e l'Africa subsahariana.

Le dimensioni delle aziende, tuttavia, non si possono porre sempre in correlazione con la produzione di specifici prodotti di base. In Mongolia, per esempio, le aziende agricole organizzate come entità e organizzazioni commerciali, dunque non a conduzione familiare, sono responsabili del 90 per cento della produzione di grano. In Tanzania una manciata di aziende di grandi dimensioni che occupano solo il 7 per cento del terreno agricolo è responsabile dell'80 per cento della produzione di grano del paese e del 63 per cento del suo tè.

Le variazioni a livello di dimensioni devono altresì essere declinate nel contesto locale. Un aumento delle aziende agricole di medie dimensioni nello Zambia, per esempio, sembra potersi imputare ai cittadini salariati anziché a un ampliamento della superficie di suolo agricolo controllata dai piccoli produttori. È interessante infine notare che in Brasile e negli Stati Uniti d'America, entrambe vere e proprie potenze in ambito agricolo, vi è stato un incremento nel numero di aziende agricole di piccole dimensioni, e ciò nonostante si sia registrato, parallelamente, un aumento della superficie di terre coltivate controllate da aziende agricole di grandi dimensioni. Si tratta di capire, secondo gli autori, se tale fenomeno nasconda una crescita delle disuguaglianze o piuttosto un boom della domanda di alimenti di origine locale per il consumo locale.

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