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Perchè far olio se si possono produrre foglie d'olivo

Rajasthan Olive Cultivation Limited: questo il nome della joint venture voluta dal governo del Rajasthan per la coltivazione dell’olivo, delle cui foglie estrarre tè e prodotti ricchi delle sostanze nutraceutiche di cui sono ricche

25 ottobre 2019 | Marco Antonucci

Ho avuto la possibilità di visitare l’Istituto di Ricerca di Dhindhol, in India, di cui ho appreso la conoscenza leggendo l’articolo pubblicato da Vilar Juan su Teatro Naturale l’8 agosto 2019.

Il centro si trova a una trentina di chilometri da Jaipur, capitale del Rajasthan, stato dell’India nordoccidentale che rappresenta la principale meta del turismo nazionale e internazionale grazie alle sue notevoli ricchezze storico-artistiche e ai suoi paesaggi fatti di deserti e coltivazioni diffuse.

Lasciata la strada principale che attraversa il distretto di Bassi, si percorrono diversi chilometri nelle campagne ricche di colture prima di arrivare al centro sperimentale vero e proprio. Un muro altissimo, un cancello con guardia armata che controlla l’automobile per il rischio di bombe e l’identità delle persone a bordo (ma qui è la normalità), una firma per l’accesso e si può entrare nel centro. La struttura che ospita gli uffici e i laboratori è molto grande, ha le sembianze di una facoltà universitaria ed è posizionata di fronte ad una vasta estensione di serre, dove diversi tipi di “piante”, che vanno dai peperoni agli olivi, sono in fase di crescita e di selezione. Alcuni tecnici mi accompagnano nelle serre all’interno delle quali le piante di olivo si stanno formando. Il caldo e l’umidità elevata fanno sviluppare molto velocemente la parte fogliare e lignea tanto che arbusti di 10/12 mesi hanno già le dimensioni di piante che da noi avrebbero due/tre anni. Le cultivar in fase di sviluppo sono: Barnea, Koroneiki, Picholine, Picual, Arbequina (e – mi dicono - anche una selezione di Coratina e Frantoio). Dopo diversi anni di studio in collaborazione con tecnici israeliani sono state individuate queste cultivar in quanto il clima delle nazioni di provenienza (Israele, sud della Spagna, Marocco) è il più simile a quest’area e perché hanno attitudini agronomiche peculiari per l’uso a cui sono destinate.

Le piante vengono riprodotte per talea e messe in campo dopo poco più di due anni, in sesti di impianto 4 X 4. Le coltivazioni, avviate nel 2007, si trovano all’esterno del centro ricerca.

Il centro ha focalizzato l’attenzione sull’olivo per la produzione di foglie, che vengono raccolte nel periodo primaverile/estivo dell’anno ed all’occorrenza anche in autunno. Le foglie vengono raccolte a mano, lavate, essiccate, macinate e sottoposte a un ciclo di lavorazione che prevede alcuni passaggi non peculiari del ciclo di trasformazione “tradizionale” utilizzato anche in Italia per ricavare dalle foglie tisane, infusi, alcolici. Vengono anche aggiunte all’occorrenza foglie di piante aromatiche, in misura minima, quali il basilico o la menta. Il ciclo di lavorazione mi è stato spiegato in parte, essendo ancora in fase di studio e di perfezionamento.

Dalle foglie viene dapprima estratta una ben definita quantità di fenoli che viene utilizzata per altre preparazioni: questa estrazione e le successive lavorazioni rendono veramente gradevoli le foglie che, in infusione, mantengono abbastanza inalterate le caratteristiche positive proprie delle foglie stesse (affermazione questa derivante dai dati che mi sono stati comunicati).

Il risultato? L’ho assaggiato con il direttore dell’istituto. E’ da considerarsi ancora un prodotto sperimentale in quanto è stato messo sul mercato solo a fine 2018 e a breve sarà in commercio quello del 2019. Si presenta in forma di bustine, come un normale tè. Una volta immerso in acqua quasi bollente e atteso qualche minuto, il profumo che si sprigiona è complesso, con sentori di fiori e frutta secca, del tutto simile a quello che immaginiamo debba avere un tè. Come lo è il sapore, dove la persistenza aromatica è notevole e l’amaro è completamente assente: se non sapessi che è fatto con foglie di olivo direi che è un tè acquistato in un negozio specializzato (non me ne vogliano gli appassionati di tè per il mio pressapochismo: sto cercando solamente di descrivere le peculiarità di un prodotto).

Questa sperimentazione, realizzata in un paese in cui l’olivicoltura è inesistente e il clima non è dei migliori per questo tipo di coltivazione, conferma la poliedricità dell’olivo e dei suoi prodotti diretti e indiretti, indica una delle possibili strade da intraprendere per diversificare la produzione e fa vivere uno scarto sempre presente del processo produttivo facendolo diventare un reddito costante nel tempo.

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