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Italia e Spagna olivicolo-olearia devono rispettare le differenze culturali e colturali

Nel corso di un animato dibattito a Mercato Mediterraneo si sono confrontate visioni diverse dell'olivicoltura e anche modelli cultural-colturali differenti. Uscendo da una logica di braccio di ferro, è possibile riconoscere l'esistenza di una diarchia?

30 novembre 2018 | T N

In Italia e Spagna vige una logica di confronto-scontro in cui le due parti cercano di ergersi a cultura olivicolo-olearia dominante dal punto di vista coltural-culturale.

L'Italia ha perso da molti anni la leadership produttiva, proprio a favore della Spagna, ma mantiene quella d'immagine e culturale.

L'Italia cavalca un modello colturale basato su sostenibilità e biodiversità, mentre la Spagna ha studiato il superintensivo, l'olivicoltura industriale per ottenere olio a bassi prezzi.

Nel corso di un animato incontro a Mercato Mediterraneo, alla Fiera di Roma, si sono confrontate queste diverse anime, con un serrato confronto tra due agronomi: lo spagnolo Rafael Romero Onorato di Dcoop e Angelo Bo, libero professionista e membro del Cda dell'Igp Toscano. Ognuno ha espresso i punti di forza e debolezza dei diversi sistemi agronomici, concordando su un punto: è impossibile stabilire un unico modello colturale valevole urbi et orbi ma occorre sempre e comunque prendere in considerazione le specificità aziendali. Gli stessi costi medi di produzione, che vengano dati da Enti, Istituzioni o privati, possono essere solo indicativi, andando poi calati nella realtà territoriale e d'impresa.

Una conclusione aperta, che ha lasciato il posto a una più animata discussione “politica” successiva, con la presenza di Antonio Luque, Presidente di Dcoop, la più importante cooperativa di secondo livello iberica che commercializza 220 mila tonnellate di olio.

Nel corso del dibattito è emerso come sia sterile che Italia e Spagna si facciano la guerra, dovendo invece collaborare per l'aumento dei consumi di olio di oliva nel mondo e trovando, ciascuno con le proprie specificità, il proprio spazio di mercato. Più che vedere ciò che divide i due leader olivicolo-oleari si è cercato di capire cosa potrebbe unirli e come trovare un minimo comun denominatore che però non può prescindere dalle rispettive identità colturali e culturali.

Cosa unisce? La cultura mediterranea, con la sua storia, le radici e le tradizioni sottolineate da Giuseppe Mozzocolin di Felsina ma anche il comune intento di valorizzare alcuni asset strategici, come la sostenibilità, cavallo di battaglia di Giovanni Zucchi dell'Oleificio Zucchi.

Nel corso dell'evento è anche intervenuta telefonicamente il sottosegretario alle politiche agricole, con delega all'olivicoltura, Alessandra Pesce, che ha annunciato “entro l'anno il tavolo tecnico olivicolo per questo oro verde del Paese" e ha rilevato che "bisogna lavorare con una concreta azione di valorizzazione del comparto e per mettere in campo una strategia". Secondo Pesce "l'olio è uno dei settori sui quali si può e si deve puntare".

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