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Brexit, a rischio 3,2 miliardi di export agroalimentare italiano

Brexit, a rischio 3,2 miliardi di export agroalimentare italiano

La bilancia commerciale agroalimentare tra Italia e Gran Bretagna è fortemente sbilanciata, con le importazioni dall'Inghilterra che superano di poco i 700 milioni di euro. La svalutazione della sterlina potrebbe frenare l'export nel breve periodo, nel medio-lungo la Gran Bretagna potrebbe aderire all'Efta. Oppure ci saranno i dazi e molte le incognite sul livello di protezione che verrà offerta alle nostre denominazioni d'origine

24 giugno 2016 | T N

Gli inglesi hanno votato per la Brexit.

Il risultato finale parla di un 51,9% degli inglesi che hanno deciso per il Leave e il 48,1% per il Remain. La differenza di voti, intermini assoluti, è di poco superiore al milione di voti.

La Gran Bretagna, dunque, attiverà l'articolo 50 del Trattato dell'Unione europea che prevede negoziazioni per l'uscita. Il Trattato prevede periodi di negoziazione, che potrebbero anche durare anni.

Quale impatto per l'agricoltura e l'agroalimentare italiano?

Occorre innanzitutto analizzare la bilancia commerciale agroalimentare tra Italia e Gran Bretagna. L'Italia esporta in Inghilterra circa 3,2 miliardi di euro di food, importandone circa 700 milioni.

Il Regno Unito copre il 9,7% del nostro export alimentare e negli ultimi anni ha segnato delta espansivi sempre superiori alla media mondo, attestandosi nel 2015 come quarto sbocco estero del settore per importanza e terzo per performance.

Nel breve periodo le ripercussioni maggiori potrebbero derivare da una svalutazione della sterlina, rendendo meno convenienti i prodotti italiani. Tutto dipenderà dall'entità del deprezzamento della sterlina, in particolare in rapporto con l'euro e dalla capacità di altri Paesi del Commonwealth di sopperire con propri prodotti succedanei ai prodotti agricoli e agroalimentari europei.

I settori che potrebbero venire più colpiti potrebbero essere i vini, i formaggi, i prodotti lattiero-caseari in generale e l'olio d'oliva.

La Regione italiana che, in termini agricoli, potrebbe venire più colpita è la Campania con un export verso il Regno Unito che vale il 12,6% del totale, per un controvalore di 55 milioni di euro.

Nel medio periodo le ripercussioni sono incognite, dipendendo dai negoziati e dai trattati commerciali che verranno negoziati tra Unione europea e Gran Bretagna.

La strada più semplice è l'adesione della Gran Bretagna all'Efta, ovvero all'Associazione europea di libero scambio, che comprende anche nazioni che non aderiscono all'Unione, come Liechtenstein, Islanda, Svizzera e Norvegia. Questa Convenzione stabilisce la liberalizzazione del commercio tra gli Stati Membri. Nell’ambito degli accordi con i paesi terzi, invece, attualmente l’Efta ha stretto relazioni commerciali a vari livelli con alcuni importanti attori economici internazionali, quali Canada, Corea del Sud, Singapore e Turchia, mentre sta negoziando accordi commerciali con i paesi del Consiglio per la cooperazione del Golfo (Gcc), India e Thailandia. 

Al riguardo Hogan, in occasione di una recente Conferenza a Oxford é stato molto chiaro: "fuori dall'Ue i britannici vorrebbero avere ancora accesso al mercato interno", ma "questo ha un prezzo, domandate alla Svizzera e alla Norvegia".

In caso di mancata inclusione inglese nell'Efsa è possibile che vengano ristabiliti i dazi, che, secondo lo scenario prevalente, potrebbero andare dal 5 al 10% suui prodotti agroalimentari. Soprattutto, però, sarebbe incognito il livello di protezione che il Regno Unito offrirebbe ai prodotti a denominazione d'origine europei. Se adottassero lo schema liberistico americano rischieremmo di trovarci, alle porte dell'Europa, il maggior produttore e fornitore di Italian sounding o European sounding.

Difficile anche capire quale sarà l'impatto dell'uscita dall'Unione europea per l'agricoltura inglese. Nel periodo 2007-2013 gli agricoltori britannici hanno ricevuto dall'Ue in media aiuti diretti per 3,2 miliardi di euro l'anno, pari a 200 euro l'ettaro, ossia tra 35 e il 50% del reddito lordo totale. A questi vanno aggiunti i finanziamenti al mondo rurale che porta l'ammontare globale a oltre 4 miliardi di euro l'anno. La Gran Bretagna è contribuente dell'Unione europea per 12,3 miliardi di euro all'anno. Bisognerà però capire quanto di questi fondi verranno destinati al settore primario inglese piuttosto che al welfare e ad altri comparti economici.

Probabile, invece, che la Brexit spingerà la Gran Bretagna all'adozione dell'etichettatura a semaforo per gli alimenti. L'etichettatura a semaforo, fortemente contestata dall'Unione europea, prevede l'utilizzo di tre indicatori (semafono rosso, giallo, verde), in ragione del contenuto in zuccheri, grassi e proteine. Il semaforo rosso, che significherebbe un consiglio di consumo moderato, ma che viene spesso interpretato dalle persone come "stanne alla larga", colpirebbe proprio alcuni tra i prodotti principe della Dieta Mediterranea e in primis l'olio d'oliva.

La Brexit, in campo agricolo e agroalimentare, offre insomma molte più incognite che certezze.

 

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