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Deoleo diventa sempre più multinazionale

L'ingresso di Cvc Partners nel capitale della società ha segnato un cambio di mentalità. Piccoli e grandi segnali: il passaggio del dominio da .eu a .com e la delocalizzazione degli impianti di confezionamento. Un'azienda sempre meno iberica e sempre più internazionale

06 luglio 2015 | T N

Deoleo sta cambiando pelle e per trasformarsi, facendo felici gli azionisti, deve mutare la propria strategia che deve diventare sempre più multinazionale, restando sempre meno ancorata alla mentalità iberica.

Il passaggio dell'asset di controllo dalle banche spagnole al fondo britannico Cvc Partners ha mutato profondamente l'approccio al mercato e alla comunicazione di Deoleo. Un insieme di piccoli segnali che presuppongono però un altro approccio strategico-aziendale.

Già a dicembre Deoleo ha cambiato il dominio del proprio sito istituzionale da deoleo.eu (europeo) a deoleo.com (internazionale).

Il cambio al vertice con l'ingresso di Manuel Arroyo, ufficialmente solo a fine maggio ma nei fatti da inizio anno, si nota dall'impronta comunicazionale data a Deoleo in questi primi mesi del 2015.

Guai a sottovalutare le capacità manageriali e comunicazionali di Arroyo che ha lavorato per lunghi anni in Coca Cola e poi è diventato vicepresidente anziano di S.C. Johnson’s & Son, con responsabilità per il mercato asiatico e del Pacifico. E' quindi chiaro dove Deoleo punta a sfondare. Ma come?

Il riconoscimento della capacità delle aziende olearie italiane di fare margini, ovvero utili, con la qualità segna un probabile ripensamento strategico del posizionamento dei marchi, finora utilizzati come grimaldello sui mercati internazionali ma che, in questi ultimi anni, hanno perso credibilità. I test che si susseguono su varie riviste, europee e non solo, vedono tutti i brand in mano a Deoleo sempre agli ultimi posti.

Qualcosa va cambiato.

In questa direzione va anche la critica/autocritica di Deoleo di aver accettato/sfruttato eccessivamente il sottocosto, nell'ultimo report annuale a firma del precedente amministratore delegato, Jaime Carbò. Un mezzo considerato utile per conquistare quote di mercato, che però sono in parte andate ai private label della GDO, ma che si è dimostrato assolutamente inadatto a fare utili e distribuire dividendi agli azionisti. L'autocritica si ferma alla soglia della contraffazione, dipinta come dannosa al settore, ma scaricata integralmente sulle spalle altri, produttori in testa.

Se, sul fronte della qualità dell'olio i risultati si vedranno presumibilmente solo nel medio periodo. Il cambio di strategia organizzativa è già in atto.

Un po' di fumo negli occhi con la creazione dell'Istituto Deoleo per lo studio delle qualità dell'olio di oliva, riprendendo l'esempio di quella che fu la Fondazione Carapelli, a fronte della delocalizzazione degli impianti di confezionamento. Sarà una Deoleo sempre meno spagnolocentrica se, come probabile, accordi come quelli con l'ecuadoregna La Fabril si diffonderanno a macchia d'olio. L'accordo strategico tra Deoleo e La Fabril prevede che negli impianti dell'azienda latino-americana sarà imbottigliato l'olio Carbonell destinato a questi mercati. Una delocalizzazione soft che però centra perfettamente l'obiettivo di fare di Deoleo sempre meno un'azienda iberica e sempre più una multinazionale.

 

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