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Le gravi lacune e responsabilità delle grandi multinazionali alimentari in un dossier
Dopo anni di profitti in crescita esponenziale, Oxfam in un rapporto valuta le politiche sociali e ambientali delle “10 Grandi Sorelle” del settore alimentare. Solo tre raggiungono la sufficienza. Si deve fare molto di più
16 marzo 2013 | Graziano Alderighi
Oxfam ha lanciato un rapporto che analizza il modo di lavorare delle grandi aziende dell’alimentare. Imprese che, insieme, realizzano circa un miliardo di dollari di profitto al giorno.
La campagna di Oxfam si focalizza su 10 delle più potenti aziende del settore alimentare – Associated British Foods (ABF), Coca-Cola, Danone, General Mills, Kellogg’s, Mars, Mondelez Internatonal (ex Kraft Foods), Nestlé, PepsiCo e Unilever – e ha l’obiettivo di
aumentare la trasparenza e l’accountability delle “10 Grandi” lungo tutta la filiera di produzione.
Sono quindi state messe sotto la lente d’ingrandimento le loro politiche su temi che vanno dall’acqua alle donne, dai cambiamenti climatici all’impatto sui braccianti e sui contadini nei paesi in via di sviluppo, analizzando anche cosa chiedono ai loro fornitori.
Da qui è scaturita la pagella “Scopri il Marchio” che misura l’operato di queste aziende mettendo a confronto le loro politiche con gli impegni che hanno preso.
Ecco il risultato:
Secondo la classifica, sono Nestlé e Unilever a registrare la performance migliore al momento, avendo sviluppato e reso pubbliche il numero maggiore di policies volte a fronteggiare i rischi sociali ambientali lungo la catena di produzione. All’opposto, ABF e Kellogg’s hanno adottato poche policies volte a mitigare l’impatto delle loro attività sui produttori e sulle comunità.
La pagella dimostra comunque chiaramente che tutte le “10 Grandi Sorelle” , incluse quelle con voti più alti, non hanno usato il loro enorme potere per contribuire alla creazione di un sistema alimentare più equo.
In alcuni casi queste aziende compromettono la sicurezza alimentare e le opportunità economiche per i più poveri, rendendo ancora più affamati coloro che già soffrono la fame.
Una situazione preoccupante che deriva da una serie di piccoli fatti, in paesi apparentemente lontani, ma che devono far riflettere per l'approccio che hanno le multinazionali su territorio, risorse e lavoro umano.
In Pakistan, le comunità rurali dicono che la Nestlé sta imbottigliando e vendendo acqua vicino a dei villaggi che non hanno accesso ad acqua potabile. Nel 2009, la Kraft (oggi Mondelez) è stata accusata di acquistare carne bovina da fornitori brasiliani implicati nel disboscamento
delle foreste pluviali dell’Amazzonia per far pascolare il bestiame. E oggi, Coca-Cola si trova a dover affrontare le accuse di sfruttamento del lavoro minorile nella sua catena di produzione nelle Filippine.
Purtroppo, secondo Oxfam,non si tratta di anomalie. Per più di 100 anni le aziende più potenti del settore alimentare si sono servite di terre e lavoro a basso costo per produrre al minimo dei costi e con elevati profitti, spesso a danno dell’ambiente e delle comunità locali in varie parti del mondo.
Tutto questo ha contribuito all’attuale crisi del sistema alimentare.
Oggi, le aziende del settore alimentare denunciano la produzione di biocarburanti,9 costruiscono scuole per le comunità e riducono il consumo di acqua. I programmi di responsabilità sociale e le dichiarazioni di impegno sulla sostenibilità stanno proliferando.
Come dichiarato dall’amministratore delegato (AD) di Pepsi, Indra Nooyi, nel 2011: “Non è sufficiente fare cose che sanno di buono. PepsiCo deve anche essere una “buona azienda” e tendere a valori più alti del semplice e quotidiano business di produzione e vendita di bevande e snack”.
Secondo Oxfam, però, sono ancora troppe le lacune e le responsabilità delle grandi industrie alimentari. Tra queste:
- La poca trasparenza delle informazioni relative alle catene di approvvigionamento delle aziende in agricoltura, che rende le dichiarazioni di ‘sostenibilità’ e la ‘responsabilità sociale’ delle aziende stesse difficili da verificare;
- La mancata adozione, da parte delle 10 più grandi aziende, di politiche che proteggano le comunità locali da fenomeni di accaparramento di terre e acqua lungo la filiera di produzione;
- L’insufficienza delle misure di riduzione - nel settore – agricolo delle ingenti emissioni di gas a effetto serra, responsabili del cambiamento climatico che sta già avendo un impatto sugli agricoltori;
- La mancanza di misure, in molte di queste aziende, che diano ai piccoli produttori parità di accesso alla filiera. Inoltre, in tutte le aziende prese in esame, si rileva una mancanza di impegno volto a corrispondere un prezzo equo ai produttori di piccola scala;
- L’azione ancora parziale contro lo sfruttamento dei braccianti e delle produttrici di piccola scala nelle proprie catene di approvvigionamento.
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16 marzo 2013 ore 09:55E Bayer Crop Science? In Italia ha fatto e continua a fare positivamente molto, ma l'eco è modesta. Apprezzo la posizione di Nestle, a cui darei più merito e apprezzamento alla coerenza per tutto il pianeta. Quindi se si scoraggia l'opinione pubblica non facendo le docute differenze si fa solo del male.
Redazione Teatro Naturale
16 marzo 2013 ore 10:13Bayer Cropscience non è una multinazionale alimentare, ma una multinazionale operante nel settore della chimica e in campo agricolo. Non produce nè confeziona alimenti.
L'indagine di Oxfam si riferisce, come chiaramente espresso, alle sole multinazionali alimentari e più in particolare alle 10 imprese citate, che per estensione del business e fatturato sono considerate le più importanti a livello planetario.