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Carne di cavallo, asino e mulo: importati 30 milioni di chili nel 2012

12 febbraio 2013 | C. S.

Circa 30 milioni di chili di carne di cavallo, asino o mulo sono stati importati in Italia provenienti per quasi la metà dalla Polonia, ma anche da Francia e Spagna mentre poco piu’ di un milione di chili proviene dalla Romania che sembra essere uno dei principali imputati dell’ “horsegate” che sta sconvolgendo l’Europa. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in riferimento alla carne di cavallo trovata in diverse confezioni di prodotti Findus in vendita in Inghilterra, che avrebbero dovuto contenere solo manzo. Al rischio di frode che sembra profilarsi si aggiunge - sottolinea la Coldiretti - lo scandalo dovuto al fatto che gli alimenti sotto accusa richiamano esplicitamente all’Italia con le lasagne, i cannelloni e gli spaghetti alla bolognese (questi ultimi peraltro del tutto sconosciuti nel capoluogo emiliano) senza però alcun legame con il sistema produttivo nazionale, ma frutto di un vorticoso carosello commerciale all’interno dell’Europa.

 

 

 

Secondo le ultime ricostruzioni - spiega la Coldiretti - la Findus era rifornita da una società con sede nel nord-est della Francia, la Comigel, che produce prodotti simili per fornitori e distributori di cibo in sedici paesi. I prodotti Findus contenenti carne di cavallo scoperti in Gran Bretagna provenivano da una fabbrica della Comigel in Lussemburgo. La Comigel a sua volta era rifornita dalla carne proveniente da un'azienda del sud della Francia, la Spanghero, la cui società madre si chiama Poujol. La Poujol ha acquistato la carne congelata da un'azienda di commercializzazione di Cipro, che ha subappaltato l'ordinazione ad una società olandese. Quest'ultima era rifornita da un mattatoio e una macelleria rumena.

 

 

 

Alla evidente difficoltà della legislazione europea di garantire trasparenza negli scambi commerciali e nell’informazione ai consumatori che ha portato a far scattare l’allerta e a fissare un vertice dei Ministri dell’Agricoltura per mercoledì 13 febbraio a Bruxelles, si aggiunge quindi - sostiene la Coldiretti - il grave danno economico e di immagine provocato all’Italia che fonda nell’agroalimentare uno dei sui punti di forza all’estero. Il fatturato del falso Made in Italy agroalimentare ha superato i 60 miliardi di euro e le esportazioni nazionali potrebbero triplicare da una serie lotta ai cibo italiano taroccato nel mondo, senza dimenticare le opportunità occupazionali ed i rischi di danni alla salute o all’immagine provocati da casi come quello della carne di cavallo impropriamente utilizzata in piatti “italiani””.

 

 

 

Il termine “bolognese” è il più usurpato della cucina italiana che viene utilizzato a livello internazionale per indicare improbabili sughi contenuti in vasetti o nei barattoli (da lasagne a cannelloni, dai tortellini alle tagliatelle), ma che campeggia anche su strane confezioni di mortadella di tacchino e soprattutto è usato, in tutti i continenti, come condimento degli spaghetti secondo una ricetta che spopola nel mondo, ma che è del tutto sconosciuta in Italia. Uno dei piatti più gustosi della tradizione emiliana le cui origini risalgono al medioevo viene banalizzato - precisa la Coldiretti – in una invenzione per stranieri completamente sconosciuta in Italia, come gli spaghetti alla bolognese, che indicano un condimento con sugo di pomodoro e polpettine (meatballs).

 

 

 

Il cosiddetto fenomeno “Italian sounding” colpisce i prodotti piu’ rappresentativi dell’identità alimentare nazionale, dallo “Spicy thai pesto” statunitense al “Parma salami” del Messico, ma anche una curiosa “mortadela” siciliana dal Brasile, un “salami calabrese” prodotto in Canada, un “barbera bianco” rumeno, il “provolone” del Wisconsin, gli “chapagetti” prodotti in Corea, una strana “pizza polla cipolla Basilicata” prodotta in Olanda e un preoccupante sugo “mascarpone e ruccola” prodotto in Svezia. Le denominazioni Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono le piu’ copiate nel mondo con il Parmesan diffuso in tutti i continenti, dagli Stati Uniti al Canada, dall'Australia fino al Giappone, ma in vendita c'è anche il Parmesao in Brasile, il Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesao in tutto il Sud America, ma anche Pamesello in Belgio o Parmezan in Romania. Per non parlare del Romano, dell'Asiago e del Gorgonzola prodotti negli Stati Uniti dove si trovano anche il Chianti californiano e inquietanti imitazioni di soppressata calabrese, asiago e pomodori San Marzano “spacciate” come italiane.

 

 

 

In Italia - continua la Coldiretti - lo scambio di carni all’insaputa dei consumatori è vietato dal decreto legislativo 109 del 1962 che obbliga ad indicare in etichetta la specie animale da cui proviene la carne utilizzata come ingrediente ma lo scandalo, ripropone - sottolinea la Coldiretti - l’esigenza di una accelerazione nell’entrata in vigore di una legislazione piu’ trasparente sulla etichettatura della carne e degli altri alimenti a livello comunitario.

 

 

 

Ad oggi - precisa la Coldiretti - ad esempio nell’Unione Europea è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza della carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza, ma non quella della carne di maiale o di coniglio e cavallo. L’etichetta di origine – sottolinea la Coldiretti - rappresenta una garanzia di informazione per i consumatori, ma grazie alla tracciabilità anche una protezione nei confronti di frodi e truffe che si moltiplicano nel tempo della crisi in cui si registra il ritorno di reati come l’abigeato e la macellazione clandestina. L'Italia, con un provvedimento nazionale che ha reso obbligatorio indicare l'origine in etichetta anche per la carne di pollo, è in anticipo sull' Europa dove si procede con estrema lentezza. Il Regolamento (Ue) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori approvato nel novembre 2011 dopo 46 mesi entrerà in vigore il 13 dicembre 2014 per l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle carni suine, ovine, caprine e dei volatili mentre per le carni diverse come quella di coniglio e per il latte e formaggi tale data – continua la Coldiretti - rappresenta solo una scadenza per la presentazione di uno studio di fattibilità. Si tratta – conclude la Coldiretti - di un arco di tempo intollerabile rispetto alle esigenze delle imprese agricole e dei consumatori che negli ultimi anni hanno dovuto affrontare gravi emergenze alimentari che hanno pesato enormemente con pesanti conseguenze in termini economici e soprattutto di vite umane.

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