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OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA MADE IN CINA. DOPO LE ARANCE E LE MELE ORA SI PUNTA AD ALTRO. C’E’ DA TEMERE LA CONCORRENZA?

Le prime piante di olivo da cultivar italiane, con annessi i macchinari per l’estrazione, giunsero nel 1965 dall’Albania, allora unico Paese amico del grande colosso. Erano i tempi dell’autocrazia. Oggi tutto sembra possibile e chissà che l'olio diel Sichuan non arrivi in Italia a prezzi competitivi

12 marzo 2005 | Francesca Racalmuto

Tutto c’è da aspettarsi dalla Cina. E’ un paese in fermento, pieno di grandi spinte innovative. E con dentro probabilmente anche una grande rabbia, un desiderio di dominare il mondo, di uscire fuori allo scoperto.

Ci riusciranno i cinesi, ci riusciranno perché hanno una spinta propulsiva caratteristica di quei popoli che non hanno potuto finora esprimere con compiutezza la propria identità più vera. Oggi il contesto lo permette, nonostante le forti contraddizioni sul piano politico e le molte iniquità all’interno del tessuto sociale.

Intanto la notizia riportata nella rubrica “Lettera da Pechino”, a firma del giornalista Francesco Sisci - sulle pagine di “Specchio”, il supplemento settimanale del quotidiano “La Stampa” – riferisce di 300 mila ettari coltivati a olivo, seppure in associazione con altre piante. Erano gli anni dell’autocrazia e i cinesi dovevano badare da sé alle proprie esigenze. L’Albania, il solo paese amico, inviò loro nel 1965 migliaia di piante di varietà italiane, ma anche un po’ di olivi autoctoni della cultivar a duplice attitudine Kaliniot, in verità. Nel procedere del tempo, tuttavia, dopo le migliaia di alberi piantumati, dopo i macchinari per l’estrazione dell’olio fatti appositamente giungere dall’Italia in Albania, quindi trasferiti prontamente in Cina, non si fece più niente. Gli olivi vennero di fatto abbandonati, scrive Sisci. Poi la fama della dieta mediterranea giunse anche in Cina, il fatto che l’olio di oliva avesse un ruolo di primo piano nell’assicurare buona salute li ha un po’ affascinati e sedotti. Produrlo no, ma acquistarlo certamente sì. Da Spagna e Grecia, in particolare. E nemmeno per usi alimentari: a loro puzza. Profumi così intensi e marcati non sono stati percepiti in tutta la loro bontà. Si capisce bene, le abitudini non sempre collimano; però il gusto lo si può educare.

L’olio ricavato dalle olive intanto si è aperto un varco nei consumi, ma più per usi esterni, quale ingrediente per soluzioni adoperate nei massaggi e più in generale come tonificante per la pelle. Con una anomalia di fondo: si acquista soprattutto l'olio di oliva lampante, il peggiore. A loro importa pagare poco. Ancora non capiscono che per gli usi cosmetici la qualità è altrettanto importante. I quantitativi d’olio acquistati sono considerevoli e il fenomeno si va sempre più intensificando.

Ma, ora che hanno ripreso la coltivazione degli ulivi, arriveranno prima o poi a produrre olio extra vergine di oliva al punto da impensierirci? Non è possibile escluderlo. Determinati sono determinati. E’ più che plausibile che l’olio del Sichuan possa ben presto varcare anche i confini della Cina. In questo Paese in cui le regole valgono poco non si scherza. E’ sufficiente piantumare un po’ di olivi e fingere persino una produzione cospicua d’olio. Tanto camuffare i prodotti è semplice, l’assenza di regole fa la differenza. In Cina può accadere anche l’impensabile: potremo perfino avere un finto extra vergine con dentro di tutto, tranne che l’oliva. Occorre stare in guardia.

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