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L’ITALIA VISTA CON LO SGUARDO DI UNA GIAPPONESE. SIAMO MOLTO CAMBIATI, MA IL DIVARIO NORD-SUD RIMANE

Emi Nakamura racconta la sua Italia. Vive nel Sud e ritiene che l’imprenditoria del Nord sia più attiva e organizzata. In Giappone intanto dilaga la moda italiana, anche se il consumo di olio di oliva resta finora piuttosto circoscritto e i vini made in Italy, troppo cari, non decollano. La concorrenza cilena, spagnola e argentina si fa pressante

11 dicembre 2004 | Luigi Caricato

Secondo il giornalista Yoichiro Aonuma il Giappone ha una bassa autonomia alimentare. A lanciare l’allarme in un articolo sul "Bungei Shunju" è appunto lo stesso Aonuma. La percentuale di autonomia alimentare del Paese del Sol Levante pare sia inferiore al 40% in termini di calorie. Per far fronte a tali carenze produttive interne il Giappone non può far altro che contare in modo significativo sull’apporto degli Stati Uniti. Buono a sapersi, l’Italia con i suoi molteplici prodotti della terra può contribuire a fare lodevolmente la sua parte. Occorre però essere preparati ad affrontare un mercato non facile.

I dati dell’ICE sulle importazioni del Giappone dall’Italia sono confortanti. Nei primi otto mesi del 2004 si è registrato un aumento del 27,6% nelle importazioni delle preparazioni di vegetali, tra pomodori pelati e succhi di frutta, e del 18,3% per ciò che concerne oli e grassi, mentre è del 18% la quota riguardante i prodotti di panetteria, in specie la pasta; bassa, è solo dell’1%, la quota riservata alle bevande: i vini fermi sono appunto fermi all’1,5%, più dinamici invece i vini spumanti con un + 40,8%.

Abbiamo incontrato Emi Nakamura, una giapponese che vive da tempo in Italia e che si occupa soprattutto di cultura, in qualità di ricercatrice delle civiltà del Mediterraneo. Ha scritto libri sulla Magna Grecia e sulle maschere antiche. Non trascura tuttavia le relazioni commerciali tra i due Paesi. Ha lavorato infatti presso l’Ice di Osaka ed è tuttora impegnata nel favorire scambi commerciali tra i due Paesi.


Partiamo con l’olio di oliva. In Giappone, sull’onda della spinta salutistica, c’è stata una crescente attenzione verso tale prodotto, ma i consumi sono tuttora bassi. Come mai?
Perché l’olio di oliva è molto profumato e caratteristico rispetto agli oli di semi, che sono invece inodori e insapori. Nella cucina giapponese, pertanto, un profumo e un gusto così intensi non vanno bene. L’olio di oliva viene usato solo per pietanze italiane o comunque occidentali. L’olio di oliva è infatti molto richiesto soprattutto dai ristoranti italiani in Giappone. Da circa dieci anni a questa parte la cucina italiana è peraltro molto alla moda. Ci sono tanti Spaghetti house. I giapponesi non possono d’altra parte affrontare un pasto completo, dall’antipasto al dolce. Preferiscono consumare poche quantità di cibo. Gli spaghetti piacciono infatti tanto.

E i vini?
L’attenzione verso i vini in genere esiste, ma quelli italiani sono ancora poco conosciuti. Anche perché i vini francesi sono giunti da noi molto prima. I vini italiani costano di più rispetto ai vini francesi. E’ un limite. Contemporaneamente sono giunti vini argentini, cileni e spagnoli, molto più competitivi. Gli italiani devono rivedere la propria politica commerciale.

Qual è il riferimento di maggior successo tra i prodotti italiani in Giappone?
La moda italiana, da almeno vent’anni domina la scena. Armani e Versace sono i simboli verso cui vanno matti i giapponesi. Poi c’è una grande attenzione per la musica. Alle elementari è obbligatorio cantare “Santa Lucia”, “O sole mio” e “Torna a Surriento”.

Lei ha vissuto in Italia per trent’anni, pur facendo continue tappe in Giappone. Che esperienza si è fatta in questo lungo periodo?
All’inizio sono venuta per la mia passione - molto furiosa, direi – verso il cinema italiano degli anni Cinquanta e il neorealismo in generale. Per dieci anni ho vissuto dunque per questa mia passione; poi mi sono sposata con un tarantino, un pugliese, e piano piano sono cambiata. Convivendo con la realtà del Sud Italia mi sono posta tantissime domande, negative anche. I primi dieci anni non avevo mai incontrato negatività, vivevo delle mie passioni culturali. Non sapevo della differenza tra Sud e Nord del paese. Conoscevo qualcosa, certo, ma non immaginavo una realtà così stridente.

Che impressione le fa esattamente il Sud?
Mi spiace che la gente non sia qui orgogliosa della propria cultura. Anzi, sembra che abbia un complesso di inferiorità molto forte. Io sono nata a Kyoto, per esempio, e non ho mai avuto un complesso di inferiorità, un atteggiamento che ho invece riscontrato nel Sud Italia.

Da osservatrice esterna qual è, un simile atteggiamento da cosa può derivare?
Io ho studiato l’antica Grecia, quando i micenei sono venuti la prima volta nel Sud Italia. Sono partita da lì e ho seguito i molti cambiamenti che si sono succeduti – le invasioni, le colonizzazioni – e ho tratto una conclusione del tutto personale: la gente del Sud Italia si è stancata; ha cambiato tanti padroni e non ha più fiducia nel futuro. Non si crede nemmeno nel futuro del proprio territorio.

Forse c’è una sorta di sradicamento della propria identità. Un po’ come se il Sud non ne avesse...
Sì, infatti sono diventati molto passivi. Aspettano sempre quel che avviene da qualcuno di fuori, non hanno più fatto ricorso alla propria creatività di tanti secoli...

Ecco, anche sul fronte commerciale ha riscontrato delle resistenze?
Sì, non c’è molta curiosità verso ciò che sta al di fuori di loro. Gli imprenditori del Nord vogliono guadagnare e per farlo studiano, fanno qualsiasi sacrificio, accettano le proposte dei giapponesi, si muovono per avere qualcosa, per guadagnare di più. La gente del Sud non vuole fare più di tanto, sembra che stiano bene. Sono molto gentili e ospitali, però tutto finisce negli approcci iniziali, non si giunge a un accordo, non si alzano più di tanto dalla sedia.

Non si scomodano. Come mai arretrano e non vanno avanti nelle trattative?
Sono pigri. Non hanno forza per andare avanti, mancano di energia. Vogliono stare bene senza fare sforzi. E’ una mentalità che ho incontrato sempre qui. C’è tanta disorganizzazione e troppa politica che frena lo sviluppo. C’è ancora “feudo”.

Lei che ha conosciuto molto bene il Sud Italia, cosa consiglierebbe alla gente che vi abita e lavora?
Occorre che si uniscano, che parlino e discutano. Anticamente, quando i greci sono giunti in queste terre, hanno trovato la grande “America”, una ricchezza incredibile in risorse della natura. I greci sono riusciti a organizzare bene tale ricchezza, tant’è che hanno creato la civiltà della Magna Grecia. Ecco, deve arrivare al potere qualcuno di molto carismatico, perché da soli qui non sono in grado di agire e organizzarsi.

I giapponesi sono molto interessati ai prodotti italiani, soprattutto alle produzioni del Mezzogiorno, dove vi concentrano i quantitativi più importanti: c’è più olio di oliva, più vino...
Io vorrei promuovere le produzioni del Sud Italia, soprattutto. Tutti riconoscono che i prodotti sono molto buoni e i prezzi altrettanto competitivi. Dalla mia esperienza personale posso però dire che nel Sud non sono abituati a trattare affari. Si arrendono, non hanno pazienza. In realtà devono spingere e promuovere in continuazione i propri prodotti, devono essere più attivi e non passivi. Si tratta di agire e non di attendere che qualcosa accada. Io ho proposto di partecipare a una fiera in Giappone, ma davanti a un esborso in denaro si fermano.

Sarebbe sufficiente che si presentassero in modo più organizzato e corale, così i costi si ridimensionerebbero...
Sì, è così.

Ma c’è anche qualche altro problema irrisolto...
Sì, spesso i giapponesi pur individuando alcune aziende che ritengono valide, una volta giunti in Italia non riescono poi a raggiungere tali aziende...

Vengono forse depistati verso altre realtà?
I giapponesi sono così ingenui da non aver capito come mai non riescano a raggiungere quei nominativi che hanno individuato e valutato essere bravi. Io conosco bene la situazione e ho spiegato l’inconveniente.

Per concludere, torniamo a parlare di italiani. Cosa trova in loro di diverso rispetto a quando si è stabilita qui da noi?
Li trovo molto cambiati. Troppo legati alla Tv. Sono dalla mattina alla sera davanti alla televisione. Mi domando il perché. I giapponesi si annoiano davanti al video spengono e vanno fuori. Mia madre ha 77 anni e ancora fa un corso in letteratura antica, due volte a settimana. Tutti sono così, da me. Ritengo che gli italiani siano profondamente cambiati rispetto al passato.


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