Libri

Il sesso e l’infingardaggine, il capriccio e la libertà

Nel romanzo "La zona cieca", di Chiara Gamberale, emerge la figura di un eroe dell’irresolutezza e dell’irresponsabilità: "Io sono e rimarrò sempre una persona cattiva e sporca, capace solo di strisciare come un verme"

10 maggio 2008 | Sossio Giametta

Lo scrittore e filosofo Sossio Giametta

C’è un’ottava dell’Ariosto in cui si dice che il giovane d’ingegno oscilla tra la gloria e l’amore. Non è questo il caso di Lorenzo, l’“eroe” di questo romanzo di Chiara Gamberale, La zona cieca (Bompiani). Qui l’eroe oscilla tra l’amore o piuttosto il sesso e l’infingardaggine, il capriccio e la libertà, anzi l’arbitrio sconsiderato. È un eroe dell’irresolutezza e dell’irresponsabilità, contro le quali non sa far altro che piangersi addosso. Si autodefinisce stronzo e dice:

Io sono e rimarrò sempre una persona cattiva e sporca, capace solo di strisciare come un verme da un giorno all’altro, di non prendere mai decisioni e di fare male alle persone cui voglio bene.

Così, confessandosi e disprezzandosi, si mette in pace con se stesso. Ora, si può dire che un artista (come tale più o meno il protagonista è presentato) è fatto per oscillare, è artista in quanto oscilla, in quanto la sua sensibilità non cessa mai di seguire in tutti i suoi ghirigori la cangiante esperienza, e dunque non può essere un modello di stabilità. Ma a ciò si può rispondere che non è detto che un artista, anche il più volteggiante e dubitoso, non possa comportarsi, in ciò che non è arte, con decenza, coerenza e senso di responsabilità. O almeno con gratitudine per i rari e opimi doni che riceve. Ma questo qui è viziato, perché sembra essere magna pars del potere letterario romano, perché lo chiamano a far conferenze in tutta Italia.

È nevrotico, vuole e disvuole, è un narciso allupato di ogni nuova donna che conosce, senza tuttavia rinunciare a quella che gli dà, per amore, corpo, anima e intelletto, e in più preziose comodità; senza rinunciare a offenderla (fra tante altre porcherie e soperchierie, si fa trovare sul divano di casa sua con un’altra donna), a disprezzarla e a maltrattarla in tutti i modi. Inoltre è sporco e disordinato da far schifo a chiunque salvo che alla sua innamoratissima innamorata. Che in quanto tale fa un continuo lavoro di metabolizzazione di tutti gli enormi rospi che le tocca ingoiare, perché si sa che chi ama ama anche i difetti della persona amata. Ecco un esempio di come:

E solo ora, dopo tanto tempo, realizzo che le ragioni di questo mio amore – l’esatta intensità di Lorenzo, la sua profonda tolleranza, la sua evidente incapacità di stare al mondo, la sua fiducia completa in uno sciamano che non esiste, la sua ricerca continua, la sua bellezza rara, il suo senso dell’umorismo, la sua diversità da tutto il resto, la faccia che fa quando mangia qualcosa che non gli piace – hanno la stessa origine di quei comportamenti che mi fanno male. (p. 182).

Notiamo solo che nessuno è capace di stare al mondo se vuole tutto e contemporaneamente il contrario di tutto, come un bambino malato e perverso. Quanto a Lidia, ella (è stata ripetutamente in clinica psichiatrica) si aiuta anche, indirettamente, col suo lavoro. Tiene alla radio una rubrica: “Sentimentalisti anonimi”, dove ascolta le lamentele di altre dannate dell’amore:

… insomma, io so che la mattina al bar prende sempre un caffè macchiato in tazza grande e un cornetto integrale, so che legge “Repubblica” e “Il sole”, so che il martedì gioca a calcetto e a volte anche il giovedì, so tutto di lui, sono arrivata a pedinarlo, a farmi trovare per caso nei posti dove va, cerco sempre di fare o dire qualcosa per essere notata e niente, per lui rimango sempre e solo un’alunna di Diritto privato come tante altre. Non si ricorda nemmeno come mi chiamo, ti rendi conto? Si comporta come se fossi trasparente, Lidia. Sentire che per lui non esisto è terribile. Mette molta più angoscia di venire presa in considerazione e rifiutata. Che posso fare?

Soffrire e tacere come me, potrebbe rispondere lei. Ma non sempre tace. La cafonaggine e la volgarità le creano intoppi e groppi. Però, anche se soffre molto, continuamente, gode anche, a differenza dell’intervistata, del suo narciso e col suo narciso, sessualmente dotato (“ho un c… enorme”), anche se non sempre sessualmente impegnato; ne gode nella realtà e nell’immaginazione, e la gioia spegne o smorza ogni volta il dolore, attivando sempre di nuovo la speranza. Lui non usa camicie, solo magliette, non usa mutande. È uno di quei tipi che premettono di essere fatti male, ma poi concludono “io sono fatto così”. Credono di mettere in tal modo le cose a posto, di affermare un diritto, di far valere una legittimità. Senza capire che offendono l’umanità intera, presente, passata e futura.

Lidia si aiuta anche in un altro modo. Scrive a Lorenzo una mail fingendosi un vecchio sciamano irlandese gay, Brian Ahern, che ha perduto il suo compagno italiano (è morto), ma ha trovato pace nel Monastero Tibetano di Pomaia. Brian sembra sapere tutto di lui. Gli parla, in una lingua sfrangiata e martoriata da finto straniero, di tante sue cose, esteriori e interiori, dei rischi connessi alla “zona cieca”, quella che sfugge a noi ma che gli altri vedono soprattutto, compresa la fogliolina di insalata che c’è rimasta fra i denti. Cerca infine di consigliarlo per il suo bene. Questo, inutile dire, è rappresentato soprattutto dalla donna che lo ama appassionatamente. Ciò comincia a pagina 150 e - lo scambio di mail - non finisce più fino alla fine, ossia per altre cento pagine, appesantendo un romanzo che fino allora aveva avuto il pregio della lievità e della velocità. E ciò perché stranamente Lorenzo abbocca, si innamora infantilmente del vecchio sciamano e, col favore della distanza immaginiamo, si manifesta con lui in forme inusitatamente umane, cioè garbate. Solo che il rimedio non funziona per la cosa principale per cui era stato approntato: i rapporti con Lidia. Questi non migliorano affatto. E si potrebbe dire che peggiorano se non fossero stati sempre pessimi. L’umanità che tutti hanno, anche non volendo, come forma di compensazione inevitabile, si riversa, per quanto riguarda Lorenzo, su due cani spelacchiati, cane ‘e munnezza, come si dice a Napoli, come fanno molti che non ce la fanno ad amare i loro simili.

L’aiuto che Lidia cerca così di procurarsi, non viene. Non viene neanche da nessun’altra cosa che lei pensa o architetta. Ma viene dal caso, da von Ohngefähr, come lo chiama Nietzsche nello Zarathustra (gli conferisce, giocando col “von” e la “O” maiuscola, una patente di nobiltà). La donna è un enigma, Zarathustra aveva detto, ma un enigma che si scioglie facilmente: con un bambino. Il vero, il grande amore, porta naturalmente la donna al desiderio di maternità. Ma con Lorenzo, inutile dire, la cosa non va:

- Ormai è un anno che lo facciamo così, non ti pare strano?
- Cosa?
- Non sono mai rimasta incinta.
- Che vuoi dire?
- Che sarebbe bello.
- Avere un bambino?
- Sì.
- Se succede mi ammazzo.
- Allora è il caso che da oggi in poi ricominciamo a stare attenti.
E all’improvviso lui mi gridava sei una troia, mi vuoi incastrare e spaccava una sedia contro il muro. Io mi mettevo a piangere.
Ricominciava l’inferno.


Ma ciò che non preme a Lorenzo e ai tipi come lui, preme troppo alla natura perché la cosa finisca lì. Ne va della sacrosanta propagazione della specie, l’unica cosa per la quale essa si adopera come madre affettuosa, invece di comportarsi, come al solito, da matrigna. In un’epoca in cui, per un concorso di circostanze (leggere p. 103 sgg.), si sente particolarmente sola e libera, Lidia fa un incontro in treno. Lui.

Aveva gli occhi veloci e blu, poco più di trent’anni, qualcosa di leonino che gli correva lungo la fronte e un’espressione spalancata che sembrava parlare di libertà. Si chiamava Roberto. O forse Riccardo.

Faceva il biologo, si occupava di fondali marini e tornava da Ferrara dove era stato per assistere a un concerto dei Radiohead. Giocano a Nomi Città Cose Animali, si bevono tre confezioni di Tavernello nel vagone-ristorante, si nascondono nel bagno a fumare. “Se un giorno passo da Roma, magari ti chiamo”, dice lui. Lei ride, pensando che non accadrà mai. Ma poi lo vede scendere e abbracciare una bella mulatta che l’aspettava. Con una punta di invidia.

Molto tempo dopo, a Roma, lui chiama. È Riccardo, non è Roberto. Escono insieme. Mangiano, bevono. Lui la porta a vedere il residence dove sta. Già in ascensore si baciano. Quando entrano sono già quasi spogliati. Una lunga notte di sesso “selvaggio”, come dice Toni, l’amico omosessuale di Lidia, dal quale ella si rifugia dopo il gran tradimento di Lorenzo (che la sera prima non aveva mancato di maltrattarla per telefono e farla ancora piangere e arrabbiare), il personaggio più umano del libro e l’incarnazione della Provvidenza per Lidia. Lei non dice “selvaggio”, dice solo “bello”.

Riccardo ha passato la notte a baciarmi da tutte le parti, mi carezzava, mi guardava, sembrava avere come un’ansia di conoscere il mio corpo senza che gli dovesse sfuggire niente.

“Se Dio esiste, stanotte si è chiamato Riccardo”, dice Toni, che tiene nonostante tutto per Lorenzo, ma è felice che Lidia abbia potuto constatare di avere sempre tutte le sue carte da giocare. Comunque il patto è di non rivedersi più. Lidia lo impone a Riccardo. Poi però è lei a infrangerlo, è lei a chiamare lui. Quando Lorenzo gliene fa una più sporca delle altre: non si presenta all’appuntamento per l’acquisto della casa in cui si prevede che poi andrà ad abitare con lei. In macchina si toccano. Entrano in casa, lo fanno subito sul tappeto dell’ingresso. Continuerei per tutta la notte, dice Riccardo. Perché no, dice Lidia. Vanno in camera. Ne fanno di cotte e di crude, poi si fanno una frittata. Quindi si rimettono sul divano, dove a Lorenzo piace rimanere invece di andare a letto con Lidia.

Alla fine Riccardo parte per la Tasmania, come da progetto. Intanto hanno passato molte notti insieme, lui e Lidia. E non solo le notti. “C’è stato”, come dice lei, in molte occasioni in cui era importante che lui ci stesse. Durante tali notti, non hanno fatto attenzione. Lui non saprà mai che lei ora aspetta un bambino.
Giustizia è fatta.



Chiara Gamberale, La zona cieca, Bompiani, pp. 254, euro 16

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