Italia
Bayer CropScience, presentato a Milano il volume L'ulivo e l'olio
Domani a Cellino San Marco la presentazione nel cuore della Puglia
28 maggio 2009 | C. S.
Presso il Circolo della stampa di Milano, Bayer Cropscience ha presentato il libro Lâulivo e lâolio, ottavo volume della collana âColtura & Culturaâ.
Daniele Tirelli, dellâUniversità degli Studi di Pollenzo (CN) non ha dubbi: âSe vogliamo imparare a come vendere lâolio dobbiamo imparare dagli Americaniâ.
âNella XIVth Avenueâ â prosegue â âci sono negozi che vendono lâolio extravergine a cifre che in Italia sarebbero improponibiliâ. Similitudini evidenti, quindi, con il vino italiano venduto in Norvegia. I dati mostrati da Tirelli sono chiari: gli Italiani vivono ancora molto di luoghi comuni: pensano in buona fede che lâolio buono devâessere spremuto al freddo, da una sola varietà , devâessere solo di prima spremitura, e câè chi pensa che lâolio vada fatto invecchiare come il vino, oppure che sia più buono se molito con ruote in pietra o se le olive sono raccolte a mano. Il compito di ogni operatore professionale è pertanto comunicare ciò che differenzia il nostro prodotto nazionale rispetto a quelli esteri.
Lâolio non ha mai subito scandali come quello al metanolo. Forse è per questo che ancora oggi il primo parametro di scelta a livello consumatore è quella del prezzo. Anche le promozioni nella GDO spesso sono basate sui 3x2 in bottiglie dâolio. âIn Italiaâ â conclude Tirelli â âci sono 600 varietà differenti di uliviâ. Un patrimonio ineguagliabile al mondo.
Michele Pisante, dellâUniversità degli Studi di Teramo, sottolinea invece il legame forte fra il territorio e la produzione di olive. Un tesoro da preservare per le future generazioni. Il ruolo di conservatore dellâambiente e della tipicità di un territorio non viene riconosciuto abbastanza allâolivicoltura. Nel libro âlâulivoâ ben 240 pagine sono infatti dedicate al territorio, al paesaggio.
Paolo Inglese, dellâUniversità degli Studi di Palermo, sottolinea come il punto di forza sia quello delle genetiche originarie delle nostre varietà nazionali. Ci sono uliveti che constano ancora di piante di 600 anni, che hanno quindi fornito olio a una trentina di differenti generazioni. Nessuna realtà produttiva agricola al mondo può vantare una tale radicazione nella storia di una coltura. Sul totale della produzione, tre sole varietà la fanno da padrone in Spagna, una o due nei Paesi nordafricani. In Italia abbiamo quindi una variabilità genetica altissima, basti pensare che il 56% delle nostre produzioni olearie sono composte da ben 16 differenti varietà . Da un lato ciò ne garantisce la tipizzazione, ma dallâaltro si scontra con le esigenze della moderna standardizzazione dellâindustria produttiva.
Giovanni Lercker, Università degli Studi di Bologna, affronta quindi proprio lâaspetto delle tecnologie: aiutano, ma la qualità delle olive è lâunica vera garanzia di qualità finale dellâolio. La tecnologia aiuta, cioè, solo a estrarne al meglio il valore. Durante la spremitura della pasta dâolive, per ottenere la massima resa, è necessario indurre le microgoccioline dâolio incarcerate nelle cellule a formare delle gocce di dimensioni sempre maggiori, tali da poter essere estratte facilmente e fino in fondo. Le cultivar differiscono per caratteristiche organolettiche anche e soprattutto durante il contatto con la restante matrice organica della pasta. Una matrice che deriva le proprie peculiarità direttamente dal campo, in funzione delle tecniche colturali e dallâambiente. Nellâolio vi sono delle molecole preziose, antiossidanti, come i polifenoli e altri componenti minori. Sono però loro a conferire profumi, sapori e benefici sanitari allâolio. Eâ di 24 g/giorno la dose giornaliera suggerita dalla FDA americana (Food and Drug Administration) per avere una buona protezione dai problemi cardiovascolari. Questo è il motivo per cui gli olii cosiddetti âdelicatissimiâ, in realtà andrebbero ridefiniti âpiattiâ, dato che sono privi di queste preziose componenti. Anche altre oleaginose sono benefiche, ma la completezza dellâolio dâoliva non viene raggiunta da alcuna altra coltura oleaginosa al mondo. Lo sforzo da compiere sarà nella sviluppo di una cultura della qualità nei consumatori. Anche a questo serve il marchio â100% olio italianoâ. La definizione di qualità nellâolio, purtroppo, è estremamente complessa. Al di là di quella normativa, ci sono aspetti organolettici che a volte sfuggono al consumatore. La DOP sono prodotte spesso dalla politica più che dai produttori: certi disciplinari spesso sono copiati fra loro, anche tra aree geografiche diverse, oppure coprono aree geografiche che hanno internamente una variabilità talmente spiccata che richiederebbe disciplinari differenti. Lâolio però si presenta sfuggente alla percezione della qualità . Lâolio italiano, per esempio, non deve avere il cosiddetto difetto di âriscaldoâ, e quasi mai lo ha. Quello spagnolo ce lâha per il 70% delle produzioni. Questo è dovuto alla dimensione degli impianti di lavorazione, molto più grandi di quelli italiani. Questo comporta lo stoccaggio di grandi masse di olive in attesa di lavorazione. Inoltre, la scarsità di varietà concentra il conferimento delle olive agli stabilimenti, i quali lavorano quindi in periodi molto più stretti dei nostri, che possono contare su finestre di raccolta più ampie, proprio per le diverse varietà presenti in Italia. Ecco perché negli stabilimenti spagnoli spesso partono delle fermentazioni che danno il riscaldo classico. Altri difetti non sono considerati tali dai consumatori, semplicemente perché la gente è abituata a sentirli e li abbina la prodotto come una sua caratteristica intrinseca. Urge creare una profonda cultura a valle, a livello consumatore, per valorizzare anche economicamente le nostre produzioni.
Renzo Angelini, direttore marketing Bayer Cropscience, completa i lavori ricordando da dove è nata la collana Coltura & Cultura. Convergenza di due indagini: la prima è di Eurisco, sui criteri di scelta degli italiani. Il 71% degli Italiani preferisce mangiar italiano. Mancava però conoscenza sui processi produttivi e sulle origini. Altra indagine di Bayer è stata incentrata sullâagricoltore. Quattro livelli di aspettativa: esigenza di innovazione, sicurezza alimentare, esigenza di formazione professionale, ma anche normativa e di marketing. âLâItaliaâ â ricorda Angelini â â è patria della lotta integrata, ma non è riuscita a valorizzare gli sforzi compiuti dal comparto produttivoâ. Anche il âfare sistemaâ appare un punto su cui lavorare e la collana di Bayer, giunta allâottavo volume, è focalizzata anche su questo tema. Approccio interdisciplinare quindi, come soluzione dâelezione.
Luigi Caricato, Teatro Naturale, conclude la giornata con una staffilata emotiva: âAbbiamo bisogno di uno scatto dâorgoglio per rilanciare lâimmagine dellâolio italiano. Le riviste estere sono più attente al tema di quelle italiane. Un olio extravergine a 1,99 euro è un sintomo preoccupante della scarsa percezione del valore dellâolioâ.
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