Gastronomia

Da Taggia, alla Liguria, all’estero: è il momento delle olive taggiasche

Da Taggia, alla Liguria, all’estero: è il momento delle olive taggiasche

Le olive taggiasche provengono da Taggia, ma in realtà il primo olivo di questa cv sembra sia stato portato in Liguria dai monaci dell’abbazia cistercense medievale dell’isola di Lérins in Provenza

13 giugno 2025 | 11:00 | T N

Alcune tipicità sono particolarmente identificative delle regioni grazie alla cui locale maestria artigiana sono prodotte. Tra queste, in Liguria vi sono le olive taggiasche, nel corso degli anni capaci di guadagnarsi un proprio spazio non solo nelle preferenze dei consumatori italiani ma anche sui mercati internazionali. Essendo un prodotto ricercato e dalle quantità limitate, è alto il rischio che altre cultivar vengano spacciate per olive taggiasche e che olio di altre varietà venga venduto come olio di olive taggiasche, come è accaduto e temiamo continuerà ad accadere. Conosciamo quindi meglio questa prelibatezza ligure.

Cosa sono le taggiasche?

Sono quelle olive che vantano una provenienza specifica dalla città di Taggia (Imperia), con un esteso territorio comunale coincidente con la bassa valle del torrente Argentina dalla confluenza del torrente Oxentina, in località San Giorgio, fino al mare. Di colore violaceo scuro, è la cultivar più diffusa in Liguria occidentale: coltivata soprattutto a Imperia e nel Ponente savonese, contribuisce, da sola o in blend, a produrre l’olio Riviera Ligure dop: fruttato leggero-medio, sapore dolce e mandorlato. Il nome stesso è dialettale: in italiano Taggiasca sarebbe Tagliasca, ma ormai nessuno le chiama più così, essendo prevalso il dialetto. Una curiosità: a Taggia si ipotizzava la presenza di un luogo di culto di epoca preromana dedicato al dio celtico della luce Beleno (“luminoso”), adorato anche dai Liguri, e l’intercalare tipico “belìn” sembra abbia origine dal nome della divinità. 

Le olive taggiasche provengono quindi da Taggia, ma in realtà il primo olivo di questa varietà sembra sia stato portato in Liguria dai monaci dell’abbazia cistercense medievale dell’isola di Lérins in Provenza; furono poi i monaci benedettini del convento di Taggia, distrutto dai saraceni nell’891 d.C., a coltivare quella che oltreconfine si chiamava Cailletier o anche Niçoise lungo i pendii della Liguria, originando quindi un’olivicoltura eroica su terrazzamenti in pietra. Nel corso dei secoli, questa piccola drupa – ma dall’alta resa in olio – si è saputa fare largo nelle preferenze dei consumatori. Da qualche anno inoltre è stata avanzata la domanda per ottenere l’indicazione geografica come “olive taggiasche liguri igp” - comprendenti quindi tutta la Liguria e non la sola riviera, come è per la dop dell’olio - che in assenza di legittime opposizioni tra 3 mesi sarà registrata. Certificazione o meno, possiamo comunque continuare a gustare la taggiasca (ma con la certificazione ci sono maggiori garanzie che le olive siano proprio taggiasche).

Come si consumano le olive taggiasche?

La risposta è… in mille modi. Tante sono infatti le ricette a cui questa specialità ligure contribuisce a dare gusto. E tanti sono i modi in cui si può trovare in commercio: asciutta, in salamoia, in olio extravergine di oliva, denocciolata oppure anche in pasta o patè. Come ogni cultivar italiana, ha le proprie particolarità derivanti dal territorio di appartenenza e la dolcezza che la caratterizza, con un retrogusto appena amarognolo, la rende un ingrediente ottimale. Prendiamo ad esempio il coniglio alla ligure brasato con vino bianco, aglio, pinoli e olive taggiasche: un classico della cucina rustica; i filetti di orata o di branzino con emulsione di taggiasche, pomodorini confit e capperi; gli gnocchi di patate con paté di olive taggiasche, scorza di limone e bottarga di muggine oppure la focaccia genovese arricchita con olive taggiasche intere, un contrasto sublime tra morbidezza e sapidità.

È inoltre un’oliva che si presta facilmente alle nuove tendenze che coinvolgono il mondo dei cocktail. Il recente concorso Reverso Martini per esempio ha visto sfidarsi nove bar toscani per creare un drink con Taggiasca e Martini. Il miglior “Oliva sotto Martini” – questo il cocktail da interpretare – lo ha creato Nicolas Di Maria, head mixologist dello storico Caffè Concerto Paszkowski, con “Game, set, match… oliva” che unisce Orange Bitter, Havana, Veritas, un battuto di origano, sedano, finocchietto, peperoncino, aglio e olive taggiasche in salamoia.

Ecco infine un suggerimento su come mangiare le olive taggiasche: niente di meglio di una ricetta per sperimentare l’utilizzo della taggiasca in cucina.

Paccheri con crema di burrata, limone e olive taggiasche

Ingredienti (per 4 persone):

320 g di paccheri

250 g di burrata fresca

60 g di olive taggiasche denocciolate (in olio o salamoia)

Scorza grattugiata di 1 limone non trattato

2 cucchiai di olio extravergine di oliva taggiasco

Pepe nero q.b.

Sale grosso per la pasta

Qualche foglia di basilico fresco o timo limonato (facoltativo)

Preparare la crema: in un mixer, frulla la burrata con un cucchiaio d’olio evo e un pizzico di pepe fino a ottenere una crema liscia. Tienila da parte a temperatura ambiente. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata. Scolala al dente, tenendo da parte mezza tazza di acqua di cottura. Scaldare le olive taggiasche con un filo d’olio in una padella ampia per un minuto, solo per ravvivarne l’aroma. Aggiungi la pasta e poca acqua di cottura per creare un fondo.

Mantecare fuori dal fuoco: unisci la crema di burrata e mescola delicatamente, senza cuocere, per non rovinare la texture cremosa.

Impiattare: distribuisci nei piatti, grattugia sopra la scorza di limone, aggiungi un filo d’olio taggiasco a crudo e, se desideri, qualche fogliolina fresca di basilico o timo.

Abbinamento consigliato: un Pigato ligure fresco, minerale e profumato sarà perfetto per esaltare le note agrumate e la delicatezza del piatto.

Photo credit: Marco Bernardini

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