Economia

La verità sui prezzi dei salumi e delle carni di maiale

Le cifre parlano chiaro. Ingiustificati e strumentali gli allarmi di Col diretti. Da anni allevatori, macellatori e industria salumiera contengono i prezzi perdendo redditività nei confronti della distribuzione

21 febbraio 2008 | C. S.

ASS.I.CA. - che rappresenta a livello confindustriale le imprese di macellazione e trasformazione della carne – vuole precisare alcuni punti per fare chiarezza sulle voci che in maniera indiscriminata stanno circolando in questi giorni. Si tratta di dati incontrovertibili e ampiamente dimostrabili. In sintesi:

I prezzi alla produzione del settore suinicolo sono, in genere, diminuiti: nonostante gli enormi aumenti di tutti gli altri costi di produzione (dall’energia elettrica ai carburanti, dal costo del lavoro ai tassi di interesse, fino alle materie prime cerealicole necessarie ai mangimi), la carne suina all’ingrosso, nel 2007, è diminuita del 4% rispetto al 2006. Un andamento confermato dalle quotazioni dei primi mesi del 2008 (dati Camera di Commercio di Milano). Il Prosciutto di Parma, è stato venduto all’ingrosso nel 2007 a 7,56 euro al kg. Dieci anni fa, nel 1998, veniva ceduto alla distribuzione a 8,30 euro al kg. Una diminuzione del 9%! Anche nei primi mesi del 2008 il prosciutto di Parma conferma prezzi alla produzione fermi ai minimi del decennio, avendo perso, negli ultimi due anni, il 3% del proprio valore (Dati Camera di Commercio di Parma).

I prezzi al consumo sono aumentati nel 2007 molto meno dell’inflazione e, per alcuni importanti prodotti, addirittura diminuiti: a fronte di un indice generale del 2.6% i salumi sono cresciuti dell’1,9% mentre la carne suina è cresciuta solo dell’1,1%. Addirittura, nel 2007, il costo medio al consumo di un importante prodotto come il Prosciutto di Parma ha subito un calo dell''1,2% (fonte AC Nielsen - Consorzio del Prosciutto di Parma).
Un trend antinflattivo per il settore suinicolo che, peraltro, è una costante negli ultimi 10 anni: dal 1998 al 2007 la carne suina ha avuto, rispetto all’inflazione, un calo dell’1,2%. I salumi addirittura del 6,5%. Mentre l’inflazione in dieci anni è cresciuta del 20,1%, infatti, la carne suina è aumentata del 18,9% e i salumi addirittura di solo il 14,6%. Tutti dati che si possono ricavare dagli ultimi indici Istat relativi ai prezzi al consumo.

Nel 2007 i consumi di carne suina e salumi non sono diminuiti ma sono aumentati di circa il 2%. Sulla base di elaborazioni dei dati Istat non risulta confermato il calo dei consumi denunciato da Coldiretti ma, al contrario, il consumo nazionale di carne suina fresca e salumi registra un aumento ancor più sostenuto di quello degli ultimi anni, intorno al 2%. Lo dimostra anche l’andamento dei principali prodotti Dop e Igp della filiera suinicola italiana (Prosciutti di Parma e San Daniele, Salamini Italiani alla Cacciatora, Mortadella Bologna, ecc.).

“Al contrario di ciò che ha affermato nei comunicati stampa di questi giorni Coldiretti, utilizzando dati privi di fondamento, non esiste alcun fenomeno speculativo per i prezzi della filiera suinicola. – ha affermato Francesco Pizzagalli, Presidente ASS.I.CA. “Il contenimento dei prezzi della filiera suinicola è da attribuirsi agli allevatori e all’industria di macellazione e trasformazione che hanno visto negli ultimi anni una continua erosione della loro redditività a vantaggio della Distribuzione”.

È stravagante e improponibile confrontare il prezzo del maiale con quello della braciola o del prosciutto.

Rileviamo che confrontare il prezzo di un animale vivo con quello della braciola o, addirittura con quello del prosciutto è concettualmente stravagante e comunque improponibile. Affermare, coma fa Coldiretti, che “il prezzo del maiale si moltiplica per cinque se si acquista la braciola” non ha, infatti, alcun significato economico.

A parte il fatto che non si considerano i costi di trasporto e macellazione, occorre ricordare che la parte pregiata dei tagli di un suino (come il lombo da cui si ricavano le braciole o la coscia da cui si produce il prosciutto) rappresenta meno della metà del peso dell’animale vivo.

Un’altra parte (circa un quarto) è rappresentata dai tagli grassi, i quali, anche per i mutamenti avvenuti negli stili di vita e nelle abitudini alimentari degli Italiani, sono poco valorizzati. Infine l’ultimo quarto è composto da cosiddetti sottoprodotti che oggi non hanno più alcun valore. Sono, in alcuni casi, letteralmente regalati alle industrie che preparano cibo per animali domestici, mentre per alcuni di questi, addirittura, i macellatori devono pagare per lo smaltimento.

Ancora più assurdo è affermare che “se un maiale costa 1,2 euro al chilo e un prosciutto ne costa 22, siamo di fronte a prezzi che dalla stalla alla tavola si moltiplicano per 20 volte”.

Un prosciutto non è, infatti, come un chilo di zucchine che subisce praticamente solo la selezione, il confezionamento e il trasporto. Un prosciutto, prodotto dalla parte più pregiata del maiale (la cui valorizzazione ha consentito la sopravvivenza della filiera), necessita di un lungo e costoso processo di trasformazione, con ingenti costi di lavorazione, magazzino e alti oneri finanziari per l’immobilizzazione del capitale. Senza contare che da un maiale di 170 Kg, al consumatore non giungono più di 10 Kg di prosciutto.

Infine, c’è un ultimo dato che evidenzia da parte delle Confederazioni agricole una analisi approssimativa e sconcertante del mercato suinicolo: l’affermazione che il prezzo dei suini sarebbe “un terzo di cinque anni fa”. Dai dati ufficiali - sotto riportati – si evince che il prezzo medio dei suini negli ultimi 10 anni è rimasto invariato.

Prezzi medi annui suini certificati 160-180Kg (€/kg)
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
suino vivo certificato 1,13 1,04 1,23 1,52 1,24 1,25 1,23 1,13 1,24 1,14
Dati: elaborazione ASS.I.CA. su dato CCIAA Mantova

Infatti, a parte il dato anomalo del 2001, determinato dai riflessi della crisi della mucca pazza, il prezzo medio annuo è sempre rimasto compreso tra 1 euro e 1,25 euro. È evidente che le confederazioni hanno considerato la quotazione record del 2001 (anno in cui si superarono le 3.000 lire) dimenticandosi che allora l’unità di misura era la lira e non l’euro.”

“Noi diciamo basta a questa informazione demagogica e allarmistica di Coldiretti che non fa altro che danneggiare un comparto – compresi gli stessi allevatori - che si trova già in una situazione di emergenza da cui fatica a risollevarsi – ha concluso il Presidente di ASS.I.CA., Francesco Pizzagalli. E lo danneggia pesantemente, in quanto, crea un atteggiamento negativo tra i consumatori, penalizzando i consumi.”

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