Economia
La competitività dell'agroalimentare italiano e la spinta inflazionistica

I prezzi agricoli hanno cominciato a ridimensionarsi dalla seconda metà del 2022, ma si prevede che si assestino su livelli più alti rispetto agli anni precedenti al Covid-19, in un quadro di incertezza
23 ottobre 2023 | C. S.
Dal 2020 al 2022 gli effetti di una serie eventi del tutto inattesi si sono combinati in modo esplosivo in una sorta di "tempesta perfetta" secondo Ismea: la pandemia da Covid-19 e il lockdown; il susseguirsi di eventi metereologici estremi; la crescita dei prezzi dei prodotti energetici e di materie prime dovuta a strozzature dal lato dell'offerta; l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, con l'ulteriore impennata dei prezzi del gas e l'impatto sui mercati delle materie prime e sulle catene globali del valore. Tutto ciò ha portato al prepotente ritorno sulla scena dell'inflazione, "finanziata" inizialmente da massicci interventi post-Covid di sostegno della domanda e da politiche monetarie accomodanti e successivamente alimentata dalla capacità delle imprese più grandi di trasferire i maggiori costi sui prezzi di vendita.
L'inflazione è stata tenuta a bada da una dinamica salariale moderata e dalla svolta restrittiva delle politiche monetarie delle banche centrali, che a partire dal 2022 hanno aumentato a più riprese i tassi di interesse; ma lo scenario a metà 2023 rimane molto incerto: prosegue la guerra in Ucraina; resta elevata l'inflazione di fondo; emergono segnali di difficoltà del sistema economico.
Nel 2020 l'Italia ha registrato un calo molto pesante del Pil reale, ma i risultati del 2021 e del 2022 sono stati migliori rispetto alla media mondiale e all'Area euro, riportando il Pil sopra il livello del 2019. Tuttavia, il Pil pro-capite resta sotto la media europea e nel corso del decennio 2012-2022 il divario si è ampliato.
Gli aumenti dei prezzi dei fertilizzanti e dei prodotti energetici hanno fatto salire i costi del settore agricolo, in un contesto in cui i prezzi internazionali delle commodity agroalimentari, in crescita già dalla fine del 2020, sono ulteriormente aumentati per una serie di fattori legati alla domanda, all'offerta e agli stock mondiali, variabili rispetto alle quali la Cina gioca un ruolo di assoluto rilievo e che sono state influenzate da fattori esogeni, come l'andamento climatico nei grandi paesi produttori e la guerra tra Russia e Ucraina.
I prezzi agricoli hanno cominciato a ridimensionarsi dalla seconda metà del 2022, ma si prevede che si assestino su livelli più alti rispetto agli anni precedenti al Covid-19, in un quadro di permanente incertezza.L'aumento dei prezzi internazionali si è rapidamente propagato in Italia a causa della sua dipendenza dall'estero per prodotti energetici, materie prime e beni intermedi; in questo quadro, l'agroalimentare è stato tra i settori più colpiti e uno dei principali centri di trasmissione degli aumenti dei prezzi.
Nei primi mesi del 2023 l'indice generale dei prezzi al consumo in Italia ha seguito le riduzioni dei prezzi internazionali di energia, fertilizzanti e commodity agroalimentari, ma l'indice dei prezzi al consumo dei beni alimentari ha continuato a crescere, raggiungendo un picco nel mese di marzo (+12%) e un lieve ridimensionamento nei due mesi successivi; la dinamica dei prezzi è risultata comunque inferiore a quella media registrata nell'UE e negli altri tre principali paesi messi a confronto nel Rapporto (Francia, Germania e Spagna). L'inflazione non è mai neutrale e anche in questo caso ha generato effetti asimmetrici: l'asimmetria si è manifestata, oltre che tra settori, anche tra imprese, con effetti differenziati sui margini di profitto a danno delle piccole e medie imprese rispetto alle più grandi; queste ultime, infatti, grazie al loro maggiore potere di mercato sono in grado di trasferire gli aumenti dei costi sui prezzi di vendita e di rinegoziare i contratti di fornitura. In questo senso, alcune imprese hanno potuto trarre vantaggio dalla dinamica dei prezzi, contribuendo ad alimentare una componente di inflazione "da profitti".
L'effetto combinato dell'inflazione e della bassa crescita dei redditi - specie quelli da lavoro dipendente - ha eroso il potere d'acquisto e il tasso di risparmio delle famiglie, con forti squilibri sul piano distributivo: il tasso d'inflazione subìto dalle famiglie meno abbienti è risultato più alto di circa due punti e mezzo rispetto a quello delle famiglie più benestanti.
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