Economia

La pasta biologica italiana non ha sufficiente marginalità per fare investimenti, con problemi di competitività nel lungo periodo

La pasta biologica italiana non ha sufficiente marginalità per fare investimenti, con problemi di competitività nel lungo periodo

Nel caso di filiera corta, dal grano alla pasta, è la fase agricola a dover sostenere i maggiori costi ma quando la filiera non è integrata i maggiori costi si spostano sulla fase di pastificazione. Così non ci guadagna realmente nessuno

17 maggio 2021 | C. S.

Il 2020 è stato un anno record per gli acquisti di pasta sia sul mercato domestico ( +8,9% le vendite presso la grande distribuzione) sia all'estero con un +20% delle esportazioni in valore. In questo contesto la pasta biologica italiana presenta notevoli potenzialità di sviluppo che convivono tuttavia con alcune rilevanti criticità. Tra queste, come mette in luce il rapporto Ismea "L'analisi della catena del valore della pasta biologica nella filiera italiana ", la dipendenza dalla materia prima estera e la presenza di costi di produzione più alti anche del 70% rispetto alla pasta convenzionale.

Più nel dettaglio nello studio pubblicato l'Ismea ha analizzato i flussi economici della filiera e ha ricostruito la distribuzione del valore fra gli attori coinvolti. L'indagine, conclusa nel 2020, ha coinvolto 28 aziende biologiche rappresentative della realtà italiana, a cui è stato somministrato un questionario quali-quantitativo dettagliato su ogni costo e ricavo della filiera.

I risultati mostrano che quando le filiere sono totalmente integrate, ovvero quando l'azienda controlla internamente l'intero ciclo di vita della pasta -dal campo alla pastificazione-, la fase agricola è quella che deve sostenere i maggiori costi (specialmente per gli esborsi relativi alle operazioni di semina e di concimazione), compensati dal prezzo di vendita finale della pasta.

Quando la filiera non è integrata, invece, i maggiori costi si spostano sulla fase di pastificazione. La realtà italiana è caratterizzata da poche aziende dotate di silos per lo stoccaggio e da pochi molini certificati anche per il biologico; le aziende intervistate, molto spesso, hanno risposto di ritenere più agevole conferire a centri di stoccaggio terzi o lasciare la merce in conto deposito presso un molino. Parimenti, la bassa presenza di molini certificati obbliga le aziende a percorrere molti chilometri per ricevere il servizio di molitura di grani biologici. Questo determina una lievitazione dei costi nella fase molitoria, comunque molto variabili in relazione al tipo di semola macinata e al volume.

La maggior parte delle aziende partecipanti all'indagine ha presentato un margine lordo positivo anche se spesso contenuto e non sufficiente a sostenere politiche di crescita tramite nuovi investimenti.

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