Economia

PARMIGIANO REGGIANO. LA CRISI PUO' ESSERE SUPERATA

Calare la produzione di Parmigiano e aumentare l’export: solo così si esce dalla crisi strutturale. Le proposte della Cia dell’Emilia Romagna

12 ottobre 2005 | C. S.

Un calo del reddito pari al 36 per cento: tanto ha pesato il Parmigiano Reggiano sulle imprese agricole legate alla trasformazione del “re dei formaggi” a fronte di un incremento dei costi, nel 2004, che ha sfiorato l’8 percento. La crisi congiunturale del settore è diventata strutturale e nella storia di questo formaggio non è mai accaduto che una crisi prolungata venga affrontata dagli allevatori spingendo l’acceleratore sulla produzione. Più si produce e maggiore è la perdita economica: a fine anno l’incremento produttivo raggiungerà il 4 per cento a cui si dovrà assistere ad una ulteriore discesa delle quotazioni. Sono solo alcuni dati presentati dalla Cia dell’Emilia Romagna l’11 ottobre scorso a Reggio Emilia nel corso di un incontro a cui hanno partecipato oltre 200 allevatori e amministratori pubblici. Sono intervenuti, tra gli altri, il presidente regionale Cia Nazario Battelli ed Enzo Mastrobuoni, responsabile dell’Area Produzioni e mercato della Cia nazionale.

“Le vie d’uscita da questo periodo nero sono sostanzialmente due -ha detto Ivan Bertolini, vice presidente della Cia Emilia Romagna- ovvero riequilibrare il mercato perché c’è un eccesso di offerta e migliorare la qualità e la distintività del Parmigiano dal Grana padano”. Limitare la produzione di Parmigiano (“riducendo di almeno il 3 per cento del formaggio immesso sul mercato nazionale”) e al contempo spingere l’acceleratore sull’export sono le soluzioni proposte dalla Cia e condivise dall’assessore regionale Tiberio Rabboni, intervento all’incontro svolto nella sala convegni del quartiere fieristico reggiano.

La Cia ha fatto un’analisi del comparto attingendo spunti da una ricerca condotta da Alberto Grandi, ricercatore dell’Università di Bologna che individua in termini produttivi ed economici alcuni parametri. In esso si evidenzia che l’allevatore più latte produce e, in proporzione, guadagna meno. La tendenza ad un aumento della produzione di Parmigiano, quindi, ha comportato nel tempo una contrazione dei prezzi in valore reale, fenomeno dovuto dalla riduzione dei costi di produzione a seguito di processi di innovazione tecnologica, mentre la ciclicità di mercato è determinata dalla “altilenanza” della produzione, che è la naturale risposta dei produttori al mutare delle condizioni di mercato.

“L’instabilità del mercato del Parmigiano sembra una conseguenza della difficoltà delle aziende agricole ad interpretare il mutare delle condizioni di mercato e ad adattarvisi -ha detto Grandi- difficoltà riconducibile a molteplici fattori: un sistema informativo inadeguato per le aziende agricole, basato unicamente sul prezzo di realizzo del latte e funzione del prezzo del formaggio in cui è stato trasformato. Informazione, questa -ha proseguito- indicatrice di livelli produttivi realizzati due anni prima e programmati un anno prima ancora, cioè le aziende agricole determinano la produzione interpretando il mercato sulla base di un informazione vecchia di almeno tre o quattro anni”.

La rigidità del sistema produttivo, che secondo Grandi allunga ulteriormente i tempi di risposta delle imprese al mercato, è riconducibile sia alla mancanza di sbocchi alternativi per la materia prima, sia alla presenza di vincoli di varia natura (quote latte, vincoli di conferimento alle cooperative). “L’instabilità di mercato ha ripercussioni importanti sui conti economici delle imprese e rende problematica la programmazione degli investimenti -ha aggiunto- in particolare le alte quotazioni del formaggio dei periodi favorevoli possono indurre alla realizzazione di investimenti che dovranno essere ripagati in condizioni di mercato negative. Tali investimenti, pur mantenendo la validità economica, possono creare seri problemi di natura finanziaria, con conseguenze fatali per il proseguimento dell’attività”.

L’obiettivo dell’analisi condotta da Grandi è stato quello di dare un’interpretazione quantitativa del mercato del Parmigiano tale da investigare sulle tendenze di mercato e di estrapolarne una logica di base. Il metodo utilizzato è stato quello dimettere in relazione, nei vari anni, le quantità di formaggio collocato sul mercato con i rispettivi prezzi.

“Il Parmigiano Reggiano che, istante per istante, viene collocato sul mercato è prodotto almeno due anni prima -ha rilevato Grandi- e nel recente passato non si sono verificati interventi di ritiro definitivo dal mercato di quote di produzione ritenute eccedentarie. Quindi, tutto il formaggio prodotto è sempre stato consumato, sebbene a condizioni diverse di prezzo. Ciò significa che, a livello di tendenza, la quantità di prodotto collocato è definita dall’offerta ed è assorbita dalla domanda a determinate condizioni di prezzo.

Trattandosi di una domanda poco elastica -ha concluso- è immaginabile una relazione inversa tra dinamica della quantità e dinamica del prezzo, ovvero all’aumentare della quantità è logico attendersi una riduzione del prezzo e viceversa. Lo studio ha l’obiettivo quindi di quantificare tale relazione.

“Occorre trasferire il 10 per cento del latte dalla produzione di formaggio all’alimentazione diretta -ha spiegato nella sua relazione Bertolini- e potrebbero essere anche trasferimenti temporanei gestiti dall’Ente di tutela e poi fatti rientrare ‘nel sistema’ in modo graduale quando il mercato si è assestato”.

La recente ‘apertura di credito’ dell’Antitrust, poi, potrebbe permettere il controllo della produzione (provvedimento cassato due anni fa) a quattro noti formaggi, tra cui il Parmigiano, e questo elemento potrebbe portare benefici. Il Consorzio del Parmigiano sta inoltre presentando una proposta al Dicastero agricolo che fissa come tetto produttivo di formaggio l’anno 2004 dove si è prodotto un quantitativo di 3 milioni e 80mila forme oltre alle quote acquistate al 21 ottobre 2005.

“Il mercato fa fatica ad assorbire questi quantitativi”, ha aggiunto in proposito Bertolini. Ma sul settore grava anche il problema del latte ‘in nero’ che sfugge a qualsiasi tipo di controllo e che ancora è di difficile soluzione. “Poi occorre esportare di più -ha continuato- e il formaggio più noto al mondo vende all’estero una quantità che varia dal 13 al 15 per cento: troppo poco, quando gli esperti sostengono che si può raddoppiare questo tetto. Maggior impegno per distinguersi da altri formaggi concorrenti e lotta ai prodotti ‘taroccati’ sono le esortazioni della Cia che indica altre soluzioni.

“Bisogna combattere le irregolarità e ritirare le fascere a chi non rispetta le regole -ha ribadito Bertolini- e ritirare dal mercato il formaggio ‘smarchiato’ destinandolo alla fusione per ottenere un prodotto spalmabile”. Anche il ‘retinato’, ovvero il formaggio che non ha i requisiti qualitativi per diventare Parmigiano, a giudizio della Cia deve seguire canali commerciali diversi, ‘di fascia bassa’. “ Sul sistema di marchiatura qualche interrogativo ce lo dobbiamo porre”, ha affermato ancora Bertolini, che ha infine affrontato il tema degli Ogm, organismi geneticamente modificati. “Si decida un piano nazionale sulle proteoleaginose Ogm free -ha sottolineato- per dare distintività maggiore alle nostre produzioni”. Intanto, sulle difficoltà che sta attraversando l’agricoltura la Cia ha annunciato per le prossime settimane, una iniziativa regionale e nazionale.




Fonte: Cia

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