Economia

L’agricoltura scompare. Quel che resta, deve sparire

Non ci sono solo i governi Berlusconi ad affermare questo, ma una intera classe politica e dirigente. E così l’agricoltura, dopo averla consegnata nelle mani delle banche e della speculazione edilizia, stenta a sopravvivere. I territori più fertili e significativi per la salvaguardia di ambiente e biodiversità, sono fortemente compromessi. L'analisi di Pasquale Di Lena

19 febbraio 2011 | Pasquale Di Lena



Se c’era bisogno di una conferma, il decreto, noto con il nome Milleproroghe, con il quale si recuperano eventuali lacune lasciate nel Bilancio dello Stato di fine anno, passato all’approvazione del Senato ed ora all’attenzione della Camera per la sua definitiva approvazione, dimostra ancora una volta che l’abbandono di questo fondamentale settore trova la sua ragione nella perdita costante di una cultura della programmazione che ha reso possibile lo squilibrio pesante tra città e campagna; industria e agricoltura. In pratica la costante disattenzione porta a pensare al tentativo di una sua definitiva cancellazione.

A parte il rinvio delle multe delle quote latte che interessano solo gli allevatori del Nord e la Lega di Bossi, con costi pagati da tutti i cittadini e, soprattutto, dall’agricoltura e dalla zootecnia del resto del territorio nazionale, il Milleproroghe, invece di dare all’agricoltura, toglie e svuota molti dei più importanti comparti.

Toglie al settore bieticolo-saccarifero, già in ginocchio, nel momento in cui annulla la richiesta urgente di almeno 20 milioni per rendere meno pesante la difficile situazione; non risponde al bisogno di un “bonus per il gasolio” per alleviare i costi di tante attività bisognose di energia per il riscaldamento ed altre attività; fa sparire il sostegno all’Aia, l’Associazione Italiana Allevatori.

Una scelta che apre a pericoli evidenti, soprattutto per le bovine da latte, per la genetica, che vede il nostro patrimonio primeggiare nel mondo, e, per l’intero sistema degli allevamenti, con la qualità fino ad ora espressa e garantita al consumatore dalle nostre eccellenze alimentari nel campo dei latticini e dei formaggi.

Resta, come detto, solo il rinvio, del tutto ingiustificato, se non per un contentino del Governo nazionale alla Lega, delle multe sulle quote latte, con cui il partito delle “secessione” ha navigato in questi anni e continua a farlo, ripetiamo, a spese di tutti i cittadini italiani e di quella zootecnia che non ha provocato le multe, davvero salate, come nel caso dei 674 allevatori delle regioni del nord. Più che allevatori si possono meglio definire i furbetti della situazione, quelli che gridano più forti degli altri: “Roma ladrona”.

Per quanto mi riguarda, dico che la ratio del Milleproroghe non è una semplice dimenticanza, ma il segno di un chiaro disegno politico che va avanti da qualche decennio e che, a partire dai primi anni di questo secolo, ha messo in luce la natura strutturale di una crisi che i processi in atto e le misure prese con il decreto più volte citato renderanno ancora più pesante.

Si tratta, per questo governo e per chi controlla oggi la politica, di rendere l’agricoltura, già debole per i forti indebitamenti accumulati in questi ultimi anni, a causa della mancanza di reddito e di bilanci aziendali in rosso, ancora più debole, e sempre più strumento nelle mani della finanza e dei nuovi imprenditori dell’energia pulita (la bio-energy); della speculazione edilizia e del furto dei nostri territori più vocati alle produzioni di qualità e, anche, alla bellezza de paesaggio e alla salute dell’ambiente.

In questo modo, gli speculatori e i falsi imprenditori (quelli che lavorano con i nostri soldi, senza mai rischiare in proprio) verranno a riempire le loro tasche delle preziosità offerte dal nostro territorio per poi rivenderle e, con gli ingenti guadagni, investire altrove. Con gli approfittatori di ieri e di oggi, sempre più ricchi, e la comunità, con il suo unico bene, il territorio, sempre più poveri, senza parlare della riduzione al lumicino del mondo contadino e della ruralità di cui tanto si parla, ma, visto come continuano ad andare le cose, solo a sproposito.

Un mondo, quello contadino, che, una volta ridimensionato e ridotto ai minimi termini, porterà alla perdita netta di valori e di risorse ed alla impossibilità di rilanciarlo e renderlo protagonista di quello sviluppo di cui ha bisogno il Paese, ma, non solo, anche il pianeta che non è più in grado di rispondere ai bisogni dell’umanità nel momento in cui è stato derubato dalla stupidità del consumismo e dello spreco.

Tutto questo mentre è urgente porre sul tavolo della discussione, se si vuole davvero uscire dalla
crisi, la centralità dell’ambiente e dell’agricoltura.

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