Cultura
Il risveglio silenzioso della natura
A due passi dal cielo, l’alba è un battito d’ali. Nel piccolo villaggio di Gressoney La Trinitè, tutto appare immobile e ovattato. Il racconto estasiato di Paola Cerana in Val d'Aosta
11 settembre 2010 | Paola Cerana
Eâ una qualsiasi alba dâagosto. E come ogni mattina, da queste parti, il primo a svegliarsi è lui, il ghiacciaio del Monte Rosa.
Visto dalla valle di Gressoney, sembra di poterlo contenere nel palmo di una mano e di poter sciogliere, al tiepido respiro, le sue nevi perenni. Invece, maestoso e solenne, è lui ogni giorno a sfidare il sole che, lentamente, invade lâazzurro del cielo con onde sempre più calde di sé.
Mentre tutti ancora dormono e i colori accendono la valle fino alle prime rocce, a cavallo tra la neve e la pineta, infilo giacca e scarponi, e decido di tuffarmi nellâaria frizzante per unirmi al risveglio silenzioso della Natura. Eâ questione di pochi minuti. Devo fare in fretta, perché lâalba è un battito dâali e presto lâintero paesino sarà invaso dal sole che busserà sfacciato alle porte delle case e filtrerà attraverso i pesanti battenti di legno, tirando fuori la gente dai letti ancora caldi. A quel punto, il silenzio surreale della montagna sarà riempito dal primo vociare umano e da quei segni di quotidiana civiltà che rivestiranno il paesaggio di un fascino diverso.
Di fronte a questo spettacolo, sospeso nellâaria azzurrina, penso che così, forse, devâessere la Felicità perfetta. E come ogni felicità , suscita in me un retrogusto di malinconia, perché non posso trattenerla, consapevole del fatto che in un attimo scivolerà via, sciolta in altri colori e trasfigurata in nuovi giochi prospettici, fino al prossimo risveglio.
Qualche minuto ancora, quindi, per gustare in solitudine il rosseggiare dellâaria e il mormorio allegro del Lys. Più che un mormorio, a dire il vero, è un gorgogliare prepotente e inesorabile, la voce tonante di un torrente che, prima di immettersi con forza nella Dora Baltea, regala a Gressoney tutta la sua vitalità e la sua energia, con acrobatici salti a strapiombo qua e là tra le rocce.
Anche lui, il fiume, è una piccola grande felicità , impossibile da fermare, sempre uguale eppure imprevedibile e diverso ad ogni sguardo, ad ogni ansa, prima fragoroso e poi improvvisamente quieto. Eâ una presenza rassicurante, un amico, soprattutto dei pescatori che, con un poâ di fortuna e tanta abilità , rubano ai suoi vortici trote fario e trote iridee bellissime, guizzanti e combattive proprio come le sue acque.
Sembra essere proprio il fiume il cuore pulsante di questi luoghi ameni. Attorno ad esso, infatti, si snoda il piccolo villaggio di Gressoney La Trinitè, dove tutto appare immobile e ovattato, rispetto alle altre frazioni più a valle, animate da una vitalità quasi cittadina.
Qui, a ridosso delle vette, il risveglio è più indolente. Il Castel Savoia domina severo dallâalto il piccolo paese, come un fedele custode della sua storia e delle sue fiere tradizioni. Gli stadel, le robuste case di pietra e legno tipiche di questa valle, sonnecchiano pigre, affacciate sui fienili, con i comignoli fumanti che anche in piena estate sanno di focolare e di brace ardente; i pochi bazar, con le insegne incise in lingua walser, aprono i battenti quando il sole è già alto, per la gioia dei turisti di passaggio, pronti ad affrontare qualche arrampicata a piedi o in bicicletta; persino i bar lasciano a bocca asciutta gli avventori più mattinieri come me, rassegnati ad aspettare un bel poâ prima di assaporare il primo caffè della giornata. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, è magico questo isolamento dal resto della valle e dal resto del mondo, perché dà la sensazione di essere gli unici superstiti sopravvissuti su di un isolotto sradicato da tutto, a due passi dal cielo.
Accompagnata da uno cono di sole sempre più ampio, raggiungo le prime cascate del Lys senza incontrare anima viva, a parte qualche cane beatamente sguinzagliato, felice di godere come me di una passeggiata in libertà . Lâerba è ancora umida di notte e affondo i passi nella terra fangosa, respirando il suo odore acre, penetrante, addolcito dal profumo di lavanda che occhieggia di viola il morbido tappeto verde.
Lâunico movimento percepibile attorno a me è quello della seggiovia che porta su, fino al rifugio di Punta Jolanda, spaccando verticalmente in due un pendio della montagna. E poco più in là , quello della cabinovia che arranca cigolando verso il lago Gabiet, appena sottostante il ghiacciaio, ormai completamente assolato e screziato solo da una nuvola capricciosa.
Eâ lassù che andrò più tardi e avrò immancabilmente le vertigini nel sorvolare questa valle che, ai miei occhi, diventerà sempre più un piccolo fazzoletto verdazzurro punteggiato di insignificanti formiche umane. Là , a quasi tremila metri dâaltezza, tra mucche e stambecchi, rapaci e marmotte, non sarà solo il paesaggio ad assumere un altro aspetto. Saranno anche i pensieri e le emozioni a trasformarsi, a seguire nuove circonvoluzioni, amplificati dal vuoto, storditi da quello spazio immenso che sa rendere così impotente ogni presenza umana.
Nel piccolo lago Gabiet si specchia lâinfinità del cielo e mi sembra impossibile immaginare un âoltreâ più bello!
Pregustando quel momento dâestasi, faccio dietrofront, lasciando alle mie spalle il fragore delle cascate per puntare verso gli impianti di risalita. Ripercorro i miei passi nellâerba, ritrovando le mie impronte nel fango, e col sole in faccia seguo come un segugio le tracce profumate di caffè, focaccia e brioches appena sfornate.
I bar stanno aprendo e i tavolini vestiti di tovaglie a scacchi bianchi e rossi invitano i passanti alla prima sosta corroborante; i bazar stanno esponendo la loro merce colorata, i campanacci sonanti, i souvenirs in legno e le solite cartoline, che sfigurano miseramente di fronte alla bellezza del paesaggio vivo; il negozio di alimentari espone con orgoglio la sfilata quotidiana di funghi porcini, di formaggi violentemente odorosi e di dolcissimi frutti di bosco, un teatro così appetitoso da sollazzare ogni mio senso; i cani vengono richiamati allâordine e se ne tornano obbedienti dai loro padroni, che si riscaldano sulle panchine lungo il fiume, mentre sfogliano un quotidiano, chi fumando la pipa e chi, semplicemente, sorridendo alla vita. Sarà unâabitudine quella di leggere il giornale la mattina, penso, un rituale, più che una reale necessità . Chi può avere voglia di informarsi sugli avvenimenti che squassano la Terra quando si è immersi in un paradiso come questo?
Non io. Mi sembra una bestemmia avvelenare questâincanto selvaggio col sapore spesso amaro della civiltà e del progresso. Qui il ritmo della vita pare essere rallentato e persino lâalba può durare un poâ di più, tutto il tempo necessario per lasciare assaporare la felicità .
Mâinfilo nel piccolo bar di legno e sorseggio con lento piacere il mio doppio espresso valdostano, prima di riprendere il cammino. Ascolto divertita lâincomprensibile scambio di battute in stretto dialetto tisch tra la prosperosa barista, rosa e burrosa come le sue montagne, e unâattempata guida alpina bruciata dal sole. Riesco solo a capire che oggi il tempo sarà bello, caldo e senza vento, per la gioia degli escursionisti, dei pigri e dei freddolosi come me. Saluto, rinvigorita dalla sferzata di caffeina, e mi rituffo nel verde, pronta per raggiungere al più presto la vetta solo in compagnia dei miei pensieri e delle mie emozioni.
Il ghiacciaio è già sveglio da un pezzo ormai, mi sta chiamando e non voglio più farlo aspettare.
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