Cultura

FRATELLI & SCRITTORI. GIUSEPPE PONTIGGIA VISTO DA GIAMPIERO NERI

A pochi giorni dall'uscita dei testi pontiggiani raccolti nel volume mondadoriano Il residence delle ombre cinesi, presentiamo una inedita testimonianza che nei giorni scorsi il poeta ha pronunciato in occasione di un convegno di studi a Bologna

09 ottobre 2004 | Giampiero Neri

Le manifestazioni in memoria di Giuseppe Pontiggia si stanno succedendo per ogni dove. Qui presentiamo il testo dell'intervento inedito del fratello dello scrittore, il poeta Giampiero Neri, al Convegno internazionale di studi “Giuseppe Pontiggia contemporaneo del futuro”, che si è svolto a Bologna dal 23 al 25 settembre a opera del Dipartimento di Italianistica dell'Università di Bologna. Intanto lo scorso 30 settembre si è tenuto a Bergamo un altro convegno, "Giuseppe Pontiggia. L'arte di fare frasi", organizzato dal Premio nazionale di narrativa Bergamo, in collaborazione con l'Università degli studi della città (Luigi Caricato)

Immagine giovanile di Giampiero Pontiggia, in arte Neri

Non potevo certo immaginare, in anni scorsi, che sarebbe toccato a me parlare di mio fratello, Giuseppe Pontiggia, in questa sede e per l’occasione di un Convegno di studi sulla sua opera letteraria.

Se guardo una vecchia fotografia, siamo nel 1941 al mare in Versilia, mio fratello ha sette anni. Dietro il sorriso d’occasione mi sembra di notare la sua espressione distratta, come soprapensiero, un atteggiamento che in seguito gli sarebbe diventato abbastanza caratteristico.

“E’ un po’ tardo” è il primo giudizio della sua insegnante, una suora, nella scuola privata San Vincenzo che frequenta a Erba. Mia madre lo riferisce in casa con una certa perplessità.

I diversi avvenimenti della guerra e soprattutto la perdita del padre con le conseguenti ristrettezze economiche lo costringeranno ad anticipare di un anno la fine della scuola elementare e di un altro anno la conclusione del Liceo.

Si era guadagnato da parte mia il titolo di “saltatore di ostacoli” e se ne dimostrava compiaciuto. Era un titolo ampiamente meritato. Gli ostacoli peraltro non finivano mai, ma anzi sembravano infittirsi e credo sarebbero continuati per tutta la sua vita. In parte se li creava lui stesso, ponendosi dei traguardi difficili da conseguire.

Metteva in quello che faceva qualcosa di eccessivo.

Risalgono ad allora gli anni della nostra più intensa frequentazione, all’incirca dal 1955 all’80, quando anch’io avevo cominciato a scrivere e ricorrevo a lui per consigli e collaudi e aiuti di ogni tipo, di cui mi è stato prodigo.

Sono stati gli anni della sua passione per gli scacchi e la musica jazz mentre sembrava senza freno la sua passione per i libri. Tutto questo è entrato nelle sue opere e si può dire che le diverse passioni siano onnipresenti.

Salvo per la musica, che anch’io ho amato molto, condividevo un poco alla lontana le sue inclinazioni. Ho una libreria di non molti libri.

Ero anche diventato un bersaglio della sua ironia, riscontrabile facilmente in qualche suo personaggio. Una volta mi aveva detto: “Sai, la differenza fra noi due è che tu ti entusiasmi per quello che non capisci”.

Ancora adesso, non ho nulla da obiettare.
La morte di nostra madre, avvenuta nell’84, segnò come un distacco profondo tra noi, una frattura che non si sarebbe più ricomposta del tutto. Mi diceva di non avere amici.

E’ così difficile e soprattutto inutile riconoscere le ragioni e i torti, che non vale certo la pena di ricercarli e tanto meno di descriverli.

Lo sentivo per lo più al telefono, in occasione di qualche circostanza particolare. Come la mia partenza per la campagna, poco prima che lui venisse a mancare.

Il mio ricordo va comunque ben oltre queste poche righe. Penso che, se avesse potuto leggerle, mi avrebbe fatto notare che ho cominciato con una negazione.

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