Cultura

L'importante è partire. E' dura la vita dei pendolari

Un impietoso altoparlante dalla voce imperturbabile e gelida annuncia l’ennesimo ritardo. Non c’è pace per chi viaggia lungo le tratte locali. Ogni passeggero avrebbe una storia da raccontare. Un racconto di Paola Cerana mette il dito nella piaga

30 gennaio 2010 | Paola Cerana

Paola Cerana

MIRACOLO A BUSTO ARSIZIO

“Attenzione: il treno 20226 delle ore 08.37 proveniente da Varese e diretto a Domodossola è stato soppresso. Ci scusiamo per il disagio.” …
“Attenzione: il treno 23089 delle ore 09.28 proveniente da Arona e diretto a Milano Porta Garibaldi arriverà con venti minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio.”


Questa è la solfa che, di norma, ogni mattina fa compagnia ai pendolari, allineati in obbediente attesa sulle banchine della Stazione statale di Busto Arsizio. Sembra di ascoltare un bollettino di guerra, tra partenze soppresse e mancati arrivi, comunicati, attraverso un impietoso altoparlante, da una voce imperturbabile e gelida, proprio come queste giornate d’inizio d’anno. E di guerra davvero si tratta: da una parte le Ferrovie dello Stato, perennemente sorde alle continue lamentele e ai crescenti reclami, dall’altra noi viaggiatori, succubi, impotenti e, troppo spesso, rassegnati. A perdere siamo, comunque, sempre noi, in tutti i sensi. Non solo perdiamo la pazienza e il buonumore ma, soprattutto, perdiamo appuntamenti di lavoro, riunioni, sessioni di esame, coincidenze e tempo!

Ogni passeggero avrebbe una storia da raccontare. Lo si intuisce spiando gli sguardi di chi aspetta: occhi supplichevoli, rivolti in alto, non verso un miracoloso segno divino ma diretti a quell’odiato altoparlante, che annuncia inesorabilmente il destino del loro viaggio. Sguardi pieni di attesa e di speranza all’inizio, poi di delusione e, infine di rabbia e rassegnazione. “Il treno 23089 proveniente da Arona e diretto a Milano Porta Garibaldi subirà altri dieci minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio.” Le voci si animano, i toni si scaldano, le maledizioni s’intrecciano e la rabbia esplode, così la disavventura di ognuno si tramuta in amara solidarietà. Ma perché - ci chiediamo - perché le Ferrovie dello Stato non sanno prevedere queste clamorose falle, provvedendo a sanare i continui disagi che si accumulano e che incattiviscono gli animi di chi ha già tanti problemi cui pensare? “Non è giusto! E’ una vergogna! Basterebbe programmare qualche treno in più al mattino … sarebbe sufficiente aggiungere qualche vagone in questa tratta … bisognerebbe aver più rispetto per la gente che lavora e che paga il biglietto!” Ognuno ha il suo consiglio, il suo progetto, il suo sogno.
Ma ecco, che l’altoparlante diventa, tutt’a un tratto compassionevole, come se si fosse improvvisamente piegato alle suppliche della gente, e annuncia un arrivo!

Non appena sopraggiunge il treno tanto agognato, il buon senso e la solidarietà svaniscono insieme al fischio in lontananza, inghiottiti dall’impazienza e dal terrore di non trovare nemmeno un posto, tanta è la gente che si è accumulata durante l’attesa. Zainetti, ventiquattrore, borse e valigie s’accalcano, si scontrano e innescano un’altra battaglia per conquistarsi spazio ma, con ogni probabilità, sarà un’altra guerra persa, consumata in piedi, al freddo, senza nemmeno la speranza d’infilarsi dentro gli scompartimenti già stracolmi.

L’importante è, comunque, partire. Gli animi piano piano si placano, tanto è inutile accanirsi contro un nemico invisibile. Inutile anche tentare di sfilare dallo zaino un libro per ripassare la lezione, o una rivista da sfogliare, perché lo spazio è insufficiente e i contraccolpi del treno non agevolano certe manovre. Chi è previdente tiene a portata di mano il cellulare, per sfogarsi almeno con una voce amica, magari comodamente seduta in auto o su un treno più accogliente. Anche inseguire il panorama che scorre fuori dal finestrino è perfettamente inutile: graffiti colorati ricoprono completamente l’esterno dei vagoni, persino i vetri. Saranno anche delle opere d’arte ma non sarebbe bello poter scegliere da sé il capolavoro da guardare?

Comunque, alla fine, si arriva al capolinea. Ognuno, sbuffando e sgomitando, abbandona il treno, sgusciando fuori dalle porte come un animale imprigionato troppo a lungo, che lascia dietro di sé una gabbia scomoda e sporca, alla conquista della libertà. Ognuno s’infila svelto per la sua strada, sperando di recuperare, chi in tram, chi in metropolitana o semplicemente di corsa, il disastroso ritardo. Io scelgo di correre, aiuta a sciogliere la tensione e a rasserenare lo spirito.

Sono le due di pomeriggio quando, alla stazione di Milano, riprendo il treno per Busto. A quest’ora, grazie al cielo, il treno è poco affollato e, normalmente, puntuale. Tento di guardare fuori dai finestrini ma le opere dei writers in libertà me lo impediscono ancora. Intorno a me i soliti passeggeri: qualche Cinese, un paio di Marocchini e, per il resto, solo Indiani e Africani. Nessun Italiano, a parte me. Ascoltando gli idiomi che si mescolano e si accavallano, sembrerebbe d’essere in un qualsiasi paese scelto a caso, puntando il dito sul mappamondo tenendo gli occhi chiusi, se non fosse per una frase che leggo scritta a grandi lettere sulla parete in fondo, dritto davanti a me … Maledetti stranieri, fuori dall’Italia! …

Quella scritta incombe sulle nostre teste, facendomi ricordare dove mi trovo e mi fa vergognare, risvegliando in me l’amarezza del mattino. Così, mi faccio piccola piccola, sul sedile, chiedendo silenziosamente scusa a tutti, per quell’insulto rivolto a chi condivide con me gli stessi viaggi, gli stessi disagi, le stesse inefficienze e, per di più, deve subire offese e cattiverie ingiustificate.

Chiudo gli occhi per non vedere e non pensare ma improvvisamente mi torna in mente un vecchio film di Vittorio de Sica e Cesare Zavattini, intitolato “Miracolo a Milano”. In particolare, rivedo la scena finale, quando i buoni del film volano via per andare, finalmente, a vivere in un mondo dove: “… Buongiorno vuol dire veramente buongiorno!”

Lo so, un mondo così è, purtroppo, solo un’utopia. Ma un Paese dove i treni possano partire e arrivare in orario, che siano puliti e caldi e dove non si leggano mai scritte offensive, questo sì! Questo, non solo è possibile ma dobbiamo pretenderlo! E quando quel giorno verrà, sarà bello sentire dall’altoparlante della Stazione una voce, finalmente calda e sorridente, annunciare: “Siamo lieti di confermare ai gentili passeggeri che il treno 23089 delle ore 09.28 proveniente da Arona e diretto a Milano Porta Garibaldi arriverà puntualmente alle ore 09.28. Auguriamo a tutti: buon viaggio e felice giornata!”

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