Cultura 15/05/2015

Da Vincent Van Gogh a Joseph Beuys. L'amore per l'olivo e l'olio d'oliva non ha età

Da Vincent Van Gogh a Joseph Beuys. L'amore per l'olivo e l'olio d'oliva non ha età

Dalla modernità alla contemporaneità l'olivo e l'olio di oliva non hanno mai mancato di esercitare il loro fascino su artisti. Rappresentazioni simboliche e fortemente evocative dove emerge il valore della pianta e del suo frutto. E' elemento familiare e passionale, che ha attraversato tutta la storia dell'uomo


Anche i pittori impressionisti hanno non di rado scelto l’ulivo come oggetto delle loro rappresentazioni en plein air, nelle quali programmaticamente essi portano a compimento“ […] l’accentuazione del momento percettivo rispetto a quello fantastico”. Di particolare interesse quanto scrive lo stesso Van Gogh nel corso di un soggiorno a Saint Rémy, Provenza, in una lettera al fratello Theo, datata 18 novembre 1889: “ […] Il fatto è che questo mese ho lavorato fra gli uliveti, perché mi avevano fatto arrabbiare coi loro Cristi nell’orto degli ulivi, dove non c’è niente del vero. […] - l’ho scritto a Bernard e anche a Gaugin, che credevo fosse nostro dovere pensare e non sognare, e che quindi sono rimasto sorpreso, vedendo il loro lavoro, che si lascino andare a una cosa simile. […] L’olivo è cangiante come il nostro salice. […] Ora ciò che il salice è da noi lo sono con la stessa importanza l’olivo e il cipresso qui. […].”

In effetti, l’albero d’ulivo fu motivo d’ispirazione del grande pittore olandese per un lungo periodo, con le sue molteplici e cangianti sfumature cromatiche; nelle parole della lettera si sente la denuncia e la consapevolezza della difficoltà di poter trasporre sulla tela il carico delle emozioni, della bellezza e della storia della pianta dell’ulivo.

Van Gogh non dimentica inoltre di sottolineare la indissolubile matrice identitaria che gli elementi del paesaggio naturale conferiscono alle diverse culture, il salice, diffuso nel paesaggio olandese, l’ulivo ed il cipresso tipici della Provenza e del contesto culturale, estetico e quindi “pittorico” del Mediterraneo. E’ lo stesso artista ad affermare che: “Non è la lingua del pittore che bisogna ascoltare, ma piuttosto quella della natura”.

Tra le opere, segnatamente tra quelle dipinte a Saint-Rèmy, dove Van Gogh risiedeva dal gennaio del 1889, successivamente al suo volontario ricovero presso l’ospedale psichiatrico di Saint-Paule-de-Mausole, situato nella campagna provenzale, molte ritraggono “campi di grano, uliveti, iris e cipressi”.

In questo momento della sua esistenza, sarà infatti riferimento essenziale e simbolo di vita la contemplazione dei luoghi e dei personaggi che li animano. Anche l’albero dell’ulivo deve avere esercitato, e proprio in questa direzione, una particolare influenza sull’allora trentaseienne Vincent, divenendo oggetto tra i privilegiati della sua elaborazione pittorica.
Restano così per noi indimenticabili i ritratti dell’eleganza naturale dei colori freddi delle fronde verdi e delle ombre blu, che si accostano al calore sfavillante del rosso dei papaveri, che trapunge la tela, misti al giallo dell’erba seccata dal sole.

 

Immersi in un’atmosfera assolata e solitaria sono così gli alberi di una sua opera, L’Uliveto (Kröller –Müller Museum, Otterlo), in cui la tipica nodosità dell’albero d’ulivo e le sue fronde in movimento sono rese con la forza dinamica impressa dalla pennellata caratteristica dell’artista.
Come nella più solare e concreta delle immagini del valore del lavoro e dell’energia femminile, esemplarmente rappresentato dalle collaboratrici di Pandolea, ne L’Uliveto, conservato alla National Gallery di Washington, Van Gogh rappresenta la raccolta delle olive, in un’istantanea di cui sono protagoniste alcune figure femminili e in cui si sente, oltre all’impegno profuso nell’azione, la condivisione generosa, l’importanza culturale del gesto agricolo.
Il colore giallo, spesso per il pittore legato a concetti di speranza, entusiasmo e rinascita, è qui perimetro dell’ambiente, cinge l’oliveto, esaltandone la prosperità, dato che la natura vi si manifesta con i suoi frutti e per mano dell’uomo.

Anche Gaugin, nel suo Cristo nel Getsemani del 1889 (Norton Gallery and School of Fine Art West Palm Beach), rappresenterà Gesù genuflesso in contemplazione in un contesto in cui è possibile riconoscere l’uliveto, pur se nell’opera l’elemento relativo al paesaggio non richiama in modo diretto le caratteristiche reali degli alberi e delle foglie.

 

Diversamente, l’ulivo ritratto dal danese Carl Henrich Bloch nel suo Cristo nel Getsemani – opera tra quelle realizzate a partire dal 1865 per la Cappella del Castello di Frederiksborg-, è rappresentato con tratto fortemente realistico e si pone come terzo elemento della scena, messo marcatamente a contrasto dello sfondo nero, quasi ad assecondare il Cristo nella meditazione, ad assisterlo, a sorreggerlo insieme all’Angelo, che anche fisicamente lo sostiene, nella solitudine santa, esaltata dal riverbero sanguigno ed elegante della tunica dal fluido panneggio.
Qui l’ulivo è assoluto protagonista naturale, messo da Bloch in evidenza fisica e simbolica, è l’elemento “familiare” sulle cui radici diremmo “culturali” si colloca carica di tutto il suo pàthos la scena iniziale della Passione.
L’albero d’ulivo appare così fortemente in evidenza nell’Annunciazione rappresentata da John William Waterhouse (1914), in risalto particolare in quanto alla sinistra dell’Arcangelo Gabriele, in netto contrasto cromatico con il candore dell’elemento floreale, immediatamente in rapporto con la figura dell’annunciante, in uno scorcio di giardino di architettura antica, di cui è evidentemente parte integrante, nel simbolo come nella funzione ornamentale.

La tradizione si rinnova, e l’arte continua ad esserne linguaggio: nel 1998, il poliedrico Maurizio Cattelan sceglierà un ulivo vero e proprio per una sua opera, oggi nel Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli.
Cattelan porta quindi direttamente nelle sale di un museo un “brano” di natura, l’albero e la zolla delle sue radici; aldilà dell’aspetto “museografico”, numerosi sono gli spunti di riflessione che potrebbero innescarsi dalla visione unitaria dell’albero e del suo apparato radicale, dal rapporto “culturale” tra l’emerso ed il sotterraneo evidente, fuori dal contesto paesaggio, nello spazio chiuso museale, nato per la conservazione e la collezione degli oggetti.

Tra gli artisti contemporanei, un continuo confronto con l’elemento naturale concreto è spesso rappresentato da Joseph Beuys. Presso la Kunsthaus di Zurigo è esposta l’Olivestone, opera del 1984, realizzata in cinque vasche in pietra, riempite di lastre dello stesso materiale, intrise di olio d’oliva. L’artista suggerisce qui il dialogo tra due elementi principali nella storia della civiltà umana, memoria essenziale di un rapporto primordiale e imprescindibile, messo in pericolo dall’uomo stesso.
Memoria e monito dunque, insieme, nella creazione di Beuys, di profonda ispirazione antropologica e di respiro ecologico, un omaggio all’intero genere umano, alla sua storia, al patrimonio, alla speranza perpetua, alla sacralità che l’ulivo incarna, memorie di popoli e tradizioni, nelle arti figurative espresse come riflessione su Dio e sugli uomini, nei versi di D’Annunzio ancora “ […] Olivi, alberi sacri, o voi, serena ghirlanda ai colli […]” .

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Bibliografia

Ryken L., Wilhoit J. C., Longman III T. (a cura di), Edizione italiana Zappella M. (a cura di), Le Immagini Bibliche. Simboli, figure retoriche e temi letterari della Bibbia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2006
-De Vecchi P., Cerchiari E., I tempi dell’arte vol. 3, Bompiani per la scuola, Milano 2001
-Cescon M. (a cura di) con un saggio introduttivo di Karl Jaspers, Vincent Van Gogh. Lettere a Theo, Le fenici, 2003
-Walther I.F., Van Gogh. 1853-1891. Visione e realtà, Taschen, 2007
- G. D’Annunzio, Agli olivi.


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