Cultura
L'olivo fonte di ispirazione per i pittori. Così è entrato di diritto nella storia dell'arte
Un viaggio guidato da una donna dell'olio di Pandolea tra le suggestioni legate all’olivo nell’arte e nella vita degli artisti per comprendere la reale forza evocativa di una pianta e di un frutto che hanno fatto ispirato generazioni. Dall'iconografia sacra alle nature morte, alla ricerca di nuove basi culturali per far ripartire il settore
08 maggio 2015 | Raffaella Buccieri
Elemento fondamentale nella cultura del Mediterraneo, l’olivo è utilizzato da millenni per le sue numerose proprietà, che si prestano a molteplici funzioni: da quella alimentare a quella cosmetica, da quella curativa a quella ornamentale.
Con le sue foglie dai riflessi cangianti, argentee, sottili e regolari, le cui linee delicate sono messe in risalto dai rami e dal tronco nodoso, l’olivo rappresenta spesso nell’immaginario collettivo una sorta di scultura modellata dalla natura stessa; anche per questo, nella storia dell’arte esso è stato oggetto privilegiato di raffigurazioni e spunti iconografici, un motivo costante di ispirazione per gli artisti, anche come rappresentazione simbolo di virtù, dogmi, immagini, sentimenti.
Se si considera che l’olio d’oliva è citato nella Bibbia circa duecento volte, sia per quel che concerne gli usi quotidiani, che per gli usi più strettamente sacri, si capisce quanto l’albero dell’ulivo sia strettamente e integralmente parte della storia dell’umanità. Dalla sua importanza materiale deriva evidentemente la sua rilevanza sacrale, tanto da simboleggiare direttamente la benedizione di Dio, come si legge nel Deuteronomio (Dt, 11, 13-17).
Associato nei testi sacri frequentemente alla festa (Sal 104, 15), dalle notevoli proprietà terapeutiche, l’uso dell’olio d’oliva si inserisce costantemente nel contesto di situazioni aventi per protagonisti i sacerdoti, i profeti, i re e gli ospiti importanti, ai quali conferisce sacralità, onore ed autorevolezza. Nell’Antico Testamento, il termine “unto” è spesso sinonimo di “consacrato” ed indicava una persona, spesso figura regale, prescelta per assolvere ad un determinato compito di prestigio.
Da qui la diretta connessione del termine greco Christòs alla figura di Gesù (Gv 1, 41; 4,25; At, 4, 24-27).
L’olio d’oliva è nel Cristianesimo sempre presente, nei Sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Estrema Unzione, nella gestualità liturgica, che ne prevede l’uso nelle ordinazioni sacerdotali e vescovili, in cui sono atti fortemente simbolici l’unzione delle mani e del capo, il conferimento del Crisma e dell’olio ai Catecumeni.
La tradizione vuole che anche la Croce sulla quale morì il Gesù fosse realizzata in legno d’olivo.
Nell’Antico Testamento, l’olivo è associato ai concetti di pace e di prosperità, di cui essa è generatrice: […] e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. […] (Gen. 8, 11). Il Vangelo riporta a questo prezioso elemento naturale come simbolo di giubilo, fra gli altri passi, nella narrazione dell’ingresso di Cristo in Gerusalemme nella domenica delle Palme, che precede quella della Resurrezione. Nel contesto storico-artistico ed in particolare nell’iconografia della Vergine e della Passione di Cristo, l’immagine dell’ulivo è spesso l’elemento con cui l’artista guida l’osservatore in un percorso di rimandi didascalici, come sulla figura di Maria Regina Pacis, genitrice del Salvatore del mondo.
Ne è un esempio notevole l‘Annunciazione di Simone Martini e Lippo Memmi (1333 circa, Galleria degli Uffizi di Firenze), in cui la Vergine, indietreggiando, poiché sorpresa dalla visita dell’Arcangelo Gabriele, sembra assecondare l’annunciante nell’atto di offrire un rigoglioso ramo della pianta.

Nell’Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti (1344, Pinacoteca Nazionale di Siena), l’ulivo figura in primo piano, adagiato in forma di corona sul capo dell’Arcangelo che, in ginocchio, è raffigurato mentre proferisce le parole “Non est (erit) impossibile apud Deum omne verbum”, relative al concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo.
Sandro Botticelli, nel dipinto Il ritorno di Giuditta a Betulia (1472 ca., Galleria degli Uffizi di Firenze), porrà nella mano di Giuditta un ramoscello d’ulivo, a simboleggiare la ritrovata pace dopo la morte del re assiro Oloferne.
Anche la figura di Santa Maria Maddalena può essere annoverata tra quelle riconducibili alla cultura dell’ulivo e dell’olio; tra i suoi attributi identificativi, oltre al teschio, il libro e la croce, figura il vasetto contenente gli oli profumati, tra cui la mirra per l’unzione dei defunti, per cui la si ricorda come mirofora. “Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome, comprarono oli aromatici per andare ad ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole.”(MC 16 1-2).
Il balsamario contenente il liquido per ungere è visibile ad esempio nell’opera intitolata Maria Maddalena mentre legge (1445) del fiammingo Rogier Van der Weyden, che lo pone accanto alla santa assorta nella lettura dei testi sacri, in primo piano, in una forma di cui si apprezza il disegno tutto nordico.
Nella Maddalena di Bernardino Luini, l’oggetto è invece raffigurato tra le mani della protagonista, vestita in sontuosi abiti di stile rinascimentale; volgendo lo sguardo verso l’osservatore, ne solleva delicatamente il coperchio, come se volesse far avvertire l’essenza e ricondurre idealmente al sepolcro, reminiscenza della resurrezione di Cristo.
Nel 1595, El Greco dipinge un suggestivo Cristo nel Getsemani (National Gallery di Londra), immerso in una scenografia in cui l’ulivo è elemento caratterizzante.
Alla sinistra del Cristo, in primo piano, e alle sue spalle, l’ulivo si presenta come in un gioco prospettico che idealmente rende partecipe lo spettatore alla vicenda. L’ulivo è anche il simbolo che riconduce al presagio della morte di Cristo ed alla conseguente pace a cui, attraverso il sacrificio, l’umanità sarà destinata secondo la volontà di Dio.
Presente in numerose opere di ambito profano, l’ulivo e le olive sono spesso soggetto protagonista nelle nature morte, come, tra i tanti esempi, in alcune opere di autori fiamminghi conservati al Rijksmuseum di Amsterdam.
Willelm Claesz, nel 1648, dipinge una Natura Morta con granchio, in cui le olive, come sovente in questi dipinti, sono adagiate in un elegante piattino decorato, accanto ad altre suppellettili; Pieter Claesz, nella sua Natura morta con tacchino, aveva pochi anni prima rappresentato le olive in un piattino decorato posto su una tavola riccamente imbandita.
A ritroso, nel capolavoro di Floris van Dick, Natura morta con formaggi, del 1615, esse sono al centro della rappresentazione, in posizione di massima evidenza.


La tradizione artistica delle rappresentazioni sacre e della Vergine documenta ininterrottamente nel tempo il tributo all’albero dell’ulivo ed ai suoi frutti; tra tutti, merita particolare rilievo quello dedicato nel 1888 dal pittore genovese Niccolò Barabino, con la sua splendida Madonna dell’olivo. La figura della Vergine, in una solennità resa intima dagli occhi semichiusi, con il capo nimbato, il mantello bianco a chiudere sotto il mento un delicato drappeggio, stringe a sé incrociando le mani sul petto il bambino, in un abbraccio di madre amorevole; Gesù bambino stringe in pugno un ramoscello d’ulivo, ancora, con ogni evidenza, simbolo diretto di salvazione e di pace.
L’ambiente circostante si risolve in uno spazio assai ristretto, come accade generalmente nelle sacre conversazioni. Qui il profondo assunto teologico, in assenza della tradizionale presenza di figure di Santi, Profeti, Dottori della Chiesa, si esprime eccezionalmente tra le due figure e si concentra iconograficamente nell’ulivo stesso, in un’aura di naturalezza e santità insieme. L’ulivo è inoltre l’unico elemento ornamentale che fa da cornice al quadro, lasciando immaginare la sua prosecuzione oltre il perimetro dell’ambiente, in un delicato e sovrabbondante intreccio di rami lasciati ivi deposti in onore della Madonna, a protezione e ad esaltazione della Santità di cui è annuncio.
L’artista ha voluto rendere ben visibili anche i frutti della pianta e forse richiamare nel tono del colore dello sfondo quello del tronco dell’albero, come in un abbraccio globale della scena.

Il viaggio proseguirà nel prossimo numero di Teatro Naturale con il periodo che va dagli Impressionisti ai giorni nostri.
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