Cultura

IL VINO SI METTE IN MOSTRA E SFOGGIA I SUOI RIFLESSI: DIVINI

Si è aperta al Museo di Castel Sant'Angelo, a Roma, e rimarrà aperta fino al 15 gennaio, la mostra "Riflessi DiVini, la Cultura del Vino". Si tratta della più grande mostra itinerante sul ruolo della bevanda di Bacco nello sviluppo della cultura occidentale. Importante il contributo di opere provenienti dal Museo del Vino della Fondazione Lungarotti

12 novembre 2005 | C. S.

Sono numerosi e di grande prestigio i pezzi provenienti dal Museo del Vino di Torgiano, che fa capo alla Fondazione Lungarotti, presenti alla mostra “Riflessi DiVini – La cultura del Vino” (Museo di Castel Sant’Angelo, 20 ottobre 2005 - 15 gennaio 2006), promossa dalla Soprintendenza per il Polo Museale Romano, dalla Direzione Generale per la Promozione e dalla Cooperazione Culturale del Ministero degli Affari Esteri.

“Abbiamo aderito con grande entusiasmo alla mostra “Riflessi DiVini” – spiega Maria Grazia Marchetti Lungarotti, direttore della Fondazione Lungarotti – perché ben si sposa con le esperienze della Fondazione nata per sostenere la produzione vitivinicola umbra e nazionale e per diffondere la cultura del vino attraverso attività scientifiche, convegni, mostre, laboratori tematici e soprattutto attraverso il Museo del Vino e il Museo dell’Olivo e dell’Olio”.

La mostra, la prima itinerante sulla cultura del vino, affronta da varie prospettive il ruolo che il vino ha avuto nello sviluppo della cultura occidentale, condizionandone riti, credenze, consuetudini sociali e alimentari, ma anche il paesaggio agricolo dove la vite veniva coltivata e il paesaggio urbano dove il vino veniva venduto, trasportato e consumato.

La Fondazione Lungarotti ha messo a disposizione circa 40 incisioni a tema dionisiaco, dal Bacco con coppa di Hendrick Goltzius di fine ‘500/primi ‘600, al gruppo di quattro baccanali di Giovanni Andrea Podestà della metà del XVII secolo, alla serie di acqueforti colorate sulla vendemmia di Bartolomeo Pinelli (1781-1835), dall’incisione di Raffaele Guidi I bevitori chiedono a Bacco la continuazione dei suoi doni di fine XVI secolo/inizi XVII, fino al bozzetto teatrale Bacco di Renato Guttuso del 1980.
Provenienti dal Museo del Vino anche numerosi boccali in ceramica e boccali da vino “amatori” (cioè doni d’amore spesso realizzati su commissione) del periodo medievale e rinascimentale, un bicchiere di nozze in vetro soffiato, fiasche antropomorfe, le irridenti e raffinate brocche scherzo “bevi se puoi” che mettono alla prova i bevitori chiedendo loro di individuare il meccanismo che consente di accedere al vino. Alcune sono state realizzate da ceramisti o maestri vetrai su commissione di famiglie nobili del Rinascimento, altre sono di origine popolare ed epoca più tarda, tra Otto/Novecento.
Il Museo del Vino ha messo a disposizione anche un torchio da corredo conventuale del 1832 completo di tutti gli accessori tecnici per la vinificazione.


La Fondazione Lungarotti

Nata nel 1987, la Fondazione è l’espressione culturale della Cantina Lungarotti e gestisce due importanti realtà: il Museo del Vino ed il Museo dell’Olivo e dell’Olio.

Il Museo del Vino. Tutto tranne che un museo-contenitore di botti e bottiglie: è una sorta di macchina del tempo dove ripercorrere 5000 anni di storia umana rappresentata in ogni suo aspetto. Oggetti e collezioni spaziano in ogni direzione: reperti sempre colti e raffinati ma adatti a tutti i gusti, dai più “impegnati” ai più “frivoli”.
In 20 sale il vino è proposto nel suo stretto legame con l’uomo, nell’uso quotidiano e nell’immaginario, nelle tecniche di produzione e nelle arti applicate, dall’antichità ad oggi.
Vi si trovano reperti archeologici provenienti dall’intero Mediterraneo, simboli religiosi, esemplari di letteratura antica: da Catone a Columella, dai proverbi ai trattati di agricoltura italiani e francesi, fino ai primi libri di cucina e a quelli con antichi segreti di bellezza e “cure” per i mali dell’anima. E ancora: opere d’arte, come l’elegante coppa di vetro soffiato dalle sembianze femminili disegnata da Jean Cocteau, una vasta collezione di ceramiche da vino di età medievale fino alle ceramiche di Gio’ Ponti e altri maestri del ‘900, oltre 600 incisioni che vanno da Mantegna a Picasso.
Da segnalare anche cose strane e curiose, divertenti e romantiche. Fra i piccoli tesori, la più completa collezione di ferri da cialde, gli antesignani dei moderni biglietti da visita, cioè gli “attrezzi” con cui le famiglie nobili, dal Cinque/Seicento in poi, “firmavano” i dolci che venivano offerti agli ospiti col Vin Santo. C’è poi tutta una parte allegro-amorosa: si va dalle stampe ed incisioni a tema bacchico-dionisiaco, in cui ricorrono scene di feste dal divertimento sfrenato, ai numerosissimi bicchieri e contenitori da vino “amatori”. Il tutto lungo un percorso reso facile e ulteriormente piacevole da grafici, immagini e didascalie. Ma la Fondazione Lungarotti ha pensato anche ai visitatori più esigenti, “quelli che vogliono sapere tutto” su periodi storici, correnti di gusto, tecniche, artisti e botteghe: per loro ci sono gli album volgibili a parete dove si trova anche la documentazione sull’Umbria viticola, la produzione, i consumi, le usanze e molto altro ancora. Tra le ultime novità anche le audioguide su palmare che racchiudono, in italiano e in inglese, commenti e descrizioni approfondite dei pezzi esposti più rappresentativi delle collezioni e “totem multimediali” che propongono approfondimenti tematici, variazioni sui percorsi museali tradizionali e finestre di dialogo con il visitatore che diventa così parte attiva del Museo.

Il Museo dell’Olivo e dell’Olio. Nato nel 2000, segue la stessa impostazione a tutto tondo che caratterizza il Museo del Vino: pezzi tecnici e meccanici si alternano a gioielli archeologici ed artistici, la cultura classica si affianca a quella più moderna, attuale, alternativa. Il percorso museale inizia con la storia dei sistemi di coltivazione e lavorazione dell’olivo e, nel corso di dieci sale, racconta molte cose e stupisce con manufatti rari e a volte imprevisti.
Qualche esempio? Una lucerna di marmo greca del VII sec. a.C., l’elegantissima oliera “Suemare” in ebano, avorio, acciaio e cristallo firmata Cristophle anno 1925; una vanitosissima serie di portasaponi in rame stagnato (XIII e XIX sec.). E c’è persino un telaio umbro del XX secolo. Come mai? Perché l’olio serviva (fino a non moltissimi anni fa) per ingrassare le fibre nel processo di lavorazione della lana. In poche parole: il museo, ospitato in un ex frantoio (ancora funzionante, fra l’altro, in epoca recente) mette in luce gli innumerevoli e differenti usi dell’olio nella storia, dall’illuminazione all’alimentazione di ieri e di oggi, dallo sport alla cosmesi, alla medicina. Del resto la pianta dell’olivo e il prodotto derivato dal suo frutto nell’immaginario popolare ha da sempre valenze simboliche, propiziatorie e curative, molte delle quali sono ormai largamente confermate dalla scienza.




Fonte: Erica Appolloni

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