Cultura
Figlia del Sole e del Vento

Scappo fuori, seguo le mie gambe, non sono io a decidere, non è la mia testa, è la pancia che comanda. Sento montare un’amarezza che si fa rabbia, poi paura e infine energia. Mi costringe a uscire, a correre forte, più lontano. Risalgo il sentiero che costeggia il fiume, in mezzo al bosco
07 maggio 2011 | Paola Cerana
“Buongiorno, quanto tempo … come va?”
“Buongiorno Paola, bentornata …”
“Grazie! Finalmente è primavera, mi mancava il lago! … Tutto bene?”
“No, tutto male purtroppo …”
“Perché, che succede?”
“Mia moglie …”
“Cos’è successo a sua moglie, non l’ho ancora vista a spasso con Rex al fiume, infatti …”
“Sta male.”
“Come? Cos’ha …?”
“Tumore. Maligno. Le resta poco.”
Silenzio.
Così imparo a chiedere per stupida cortesia ‘come va’ a qualcuno che nemmeno conosco bene, solo un vicino di casa, che non vedo da mesi … chiedere così, senza pensare, senza aspettare, senza intuire. Mi si spegne il sole addosso, mi sento coinvolta e tuttavia impreparata a dar coraggio ma ci provo e domando, ascolto, lo lascio raccontare.
“ … se ha bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, io sono qui in questi giorni … mi dica, cosa posso fare?”
“Niente, grazie … Solo una cosa potrebbe fare per me.”
“Subito! Che cosa?”
“Lei è credente, vero?”
“Ma veramente, io …”
“Vede, io ho detto a Gesù, che è mio amico da sempre, che se mi porta via mia moglie deve portare via anche me. Cosa ci resto a fare qui da solo io? siamo sposati da più di cinquant’anni … Ecco cosa può fare per me, Paola: pregare!”
Ancora silenzio, un lungo, feroce silenzio. Abbraccio quell’omone grande due volte me, che fino a un attimo prima conoscevo appena e che improvvisamente mi ha investito, trapassato il cuore, conficcandosi dentro irrimediabilmente, per sempre. Lo stringo, sento il suo corpo che pare essersi improvvisamente ritirato dentro i vestiti, rimpicciolito, frantumato. Se stringessi più forte potrei romperlo, penso. E’ disarmato come un bambino e fragile come un vecchio, eppure accenna un sorriso consapevole e fiero. Mentre ci salutiamo, annuisco imbarazzata, senza trovare il coraggio di guardarlo oltre negli occhi, vergognandomi della mia piccolezza e della mia inutile presenza.
Pregare …
Corro su per le scale. Lascio a casa tutto: zaino, macchina fotografica, progetti, pensieri. E scappo. Scappo fuori, seguo le mie gambe, non sono io a decidere, non è la mia testa, è la pancia che comanda. Sento montare un’amarezza dentro che si fa rabbia, poi paura e infine energia e mi costringe a uscire, a correre forte, più lontano che posso. Risalgo il sentiero che costeggia il fiume, in mezzo al bosco, bevendo l’aria a grandi sorsate. Allungo la falcata sulla salita e sento il mio respiro farsi affannoso, il cuore accelerare, sono allenata eppure arranco. Non c’è nessuno, nessuno che porta il cane a passeggiare oggi. Nessuna signora dal sorriso generoso che quando mi vede mi accoglie in un materno abbraccio che scalda.
Ecco la ‘figlia del sole e del vento!’, così mi chiama sempre lei. E proprio così mi sento io …
Maledizione, sono sola adesso. Un coro indistinto di cinguettii e sbatter d’ali tra le fronde rivela, tuttavia, un’invisibile brulicare di vita tutt’attorno: è primavera, tutto rinasce, tutto freme, tutto guizza. Continuo a correre, i piedi mangiano la terra, i polpacci son tesi da farmi male e le ginocchia scricchiolano sotto i muscoli caldi, lo sento. E allora spingo ancora di più per non sentire e quando arrivo in cima, dove la montagna vomita il fiume, mi sbatto sull’erba a riprender fiato, con il cuore che riempie la gola e il petto ansante. Son sudata, le tempie pulsano e ho un leggero capogiro … il mondo è sottosopra. L’erba sa di fresco e punge la pelle attraverso i vestiti umidi di sudore. Inspiro forte il verde che ubriaca tanto è intenso e mi stendo con la schiena completamente aderente al prato, gli occhi spalancati su un fazzoletto di cielo rubato alle braccia protese degli alberi, che sembrano implorare. Mi pare di avere la testa completamente vuota, la stanchezza fisica aiuta a disintossicare anche la mente, per fortuna. Eppure … eppure a qualche cosa penso …
Penso ai miei affetti. Alle poche, pochissime persone che amo e che mi amano, a quelle che non ci sono più e a quelle che mi sono invece vicine, talmente vicine che spesso do per scontate ... che stupida! Persone importanti, che stanno sulle dita di una sola mano ma che affollano il cuore fino a farlo scoppiare, scoppiare di gioia, scoppiare d’amore! Penso che dovrei vergognarmi. Sì, mi vergogno per aver solo sfiorato l’idea, un giorno, di voler fermare il mio tempo: di aver desiderato sparire, sprofondare nel buio, cancellarmi per sempre con un battito di ciglia, un soffio, uno schiocco di dita! Sparire … quando, invece, la vita è un’occasione così preziosa. Egoista! Questa mia vita è un dono, un dono da vivere e condividere! E allora …
Pregare … io non so pregare, mi dispiace, non me lo ricordo più. Ma stesa a terra in mezzo all’erba, sotto quello squarcio d’azzurro che sa d’infinito, riprendo il controllo del respiro, che lentamente si acquieta. I muscoli delle gambe tornano vigorosi, il sangue si rimescola ossigenato di nuova effervescenza, mentre anche il cuore sembra ritrovare il suo equilibrio all’ombra dei ricordi e dei pensieri rinati. E allora mi rialzo piano e dico Grazie, con voce decisa. Un ‘grazie’ che s’impenna tra le fronde e s’intreccia al canto di quelle creature alate che le abitano e che ora mi sorvegliano schive, inafferrabili. Non so bene a chi lo dico ma ringrazio. Dopo di che riprendo il mio cammino insieme al fiume, senza fretta e senza affanno questa volta … c’è tutto il tempo per arrivare dove devo andare.
Ringraziare, questo solo posso fare, non conosco un altro modo per pregare!

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