Legislazione

Tsunami etichettatura olio d’oliva. Ormai è il caos

Senza codice alfanumerico non si può imbottigliare ma le Regioni tardano nel rilascio e l’Icq richiede gli elenchi. Cosa accadrà ora? Si vuole affossare il comparto?

27 settembre 2008 | T N

Nonostante i suggerimenti che abbiamo via via fornito i dubbi su quanto accadrà durante la prossima campagna olearia e di commercializzazione sono molti, i timori disparati e assai fondati, anche perché nessun ha ben chiaro su quali basi verranno effettuati i controlli.

Una situazione di tensione che rischia di danneggiare il comparto proprio alla vigilia di una stagione che si annuncia laboriosa. Buone infatti le prospettive di raccolto, non altrettanto sul fronte prezzi.

Lo scenario di mercato si preannuncia già quantomai teso, senza introdurre altri elementi di disturbo.
Eppure è quanto sta accadendo.

Le regioni sono infatti in ritardo nel rilascio dei codici alfanumerici di identificazione utili per il rispetto del DM 10 ottobre 2007 (decreto De Castro) e del Dlgs 225/2005 (Made in Italy).
Le procedure amministrative burocratiche sono le stesse, solo che il DM 10 ottobre 2007 ha reso di fatto obbligatorio il Made in Italy.

L’Italia è stata tuttavia stata messa in mora per il decreto De Castro e, stante l’invarianza delle modifiche del Reg. 1019/02, la situazione non verrebbe sanata.

Sarà per questa ragione che l’Icq, da qualche tempo, non fa più riferimento al DM 10 ottobre 2007?

Anche in un’ultima comunicazione inviata alle regioni e alle province autonome, in cui l’Icq richiede gli elenchi delle ditte confezionatrici che hanno fatto richiesta del codice alfanumerico, non si cita mai il decreto De Castro ma solo il Reg. Ce 1019/02 e il Dlgs 225/05.

Per gli olivicoltori e i frantoiani si tratterebbe di una beffa.
Costretti a richiedere il riconoscimento per ottemperare al DM 10 ottobre 2007, si troverebbero controllati sulla base della loro scelta, “assolutamente facoltativa”, di aderire alla normativa sul Made in Italy.

Ma non è tutto, purtroppo.
L’Icq infatti chiarisce, forse anche per sollecitare le amministrazioni locali, che “la mancata applicazione in etichetta da parte del confezionatore del codice alfanumerico costituisce violazione alla prescrizioni di cui all’art 9 del Reg CE 1019/02, sanzionata dall’art 3 comma 2 del Dlgs 30 settembre 2005 n 225”.

Meglio chiarire il punto.
Registrando, sulle schede vidimate, una partita d’olio come “Made in Italy” e confezionandola come tale sarà necessario che il lotto venga imbottigliato con etichetta che riporta il codice alfanumerico.
In mancanza di questo l’azienda non può imbottigliare l’olio come “Made in Italy”, ma dovrà necessariamente confezionarlo come olio “comune”, così però contravvenendo al DM 10 ottobre 2007, oppure lasciarlo stoccato in attesa del codice oppure venderlo all’ingrosso come “Made in Italy”, ovvero cederlo a un’azienda già in possesso del codice alfanumerico che possa quindi giovarsi del possibile valore aggiunto.

Aggirare l’ostacolo si può. A tal proposito si legga l’articolo “l’origine dell’olio d’oliva in etichetta. Fatta la legge, trovato l’inganno” (link esterno)

Ci auguriamo tuttavia vivamente che il Ministero provveda a far definitiva chiarezza sulla questione etichettatura.
Ormai è tardi, olivicoltori e frantoiani avevano necessità di chiarezza già qualche settimana fa, ma non è troppo tardi per evitare situazioni di tensione e possibili conflitti proprio durante la campagna olearia.

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