Legislazione 12/10/2018

Più soldi a coltivatori diretti e imprenditori agricoli in caso di esproprio

Più soldi a coltivatori diretti e imprenditori agricoli in caso di esproprio

L'indennità aggiuntiva di esproprio per il proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale è prevista dalle norme e una sentenza della Corte di Cassazione, ribaltando la precedente giurisprudenza, getta nuove basi


Il Testo Unico che regola le procedure espropriativa prevede, nei casi di espropriazione di terreni agricoli condotti direttamente dal proprietario coltivatore diretto nonché da fittavoli, mezzadri, coloni o compartecipanti, un'indennità aggiuntiva rispetto all'indennità di espropriazione, pari al valore agricolo medio (VAM) corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata.

Detta indennità, con le relative modalità di calcolo, è stata oggetto, fin dalla sua prima apparizione (art. 17 della L. 865 del 22 ottobre 1971) di diverse e contrastanti interpretazioni.

Con l’art. 58 del D.P.R. 327/2001 tutto il Titolo II della L. 865/1971- Norme sull'espropriazione per pubblica utilità - che contemplava l’indennità aggiuntiva, è stato abrogato e la relativa disciplina è stata demandata a specifici articoli.

Gli articoli del D.P.R. 327/2001 che contemplano l’indennità aggiuntiva sono i seguenti:

Art. 37 - Determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area edificabile
comma 9
Qualora l'area edificabile sia utilizzata a scopi agricoli, spetta al proprietario coltivatore diretto anche una
indennità pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato. La stessa indennità spetta al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte il fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, col lavoro proprio e di quello dei familiari.

Art. 40 - Disposizioni generali
comma 4
Al proprietario coltivatore diretto o imprenditore agricolo a titolo principale spetta un'indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticata.

Art. 42 Indennità aggiuntive
comma 1
Spetta una indennità aggiuntiva al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura espropriativa o della cessione volontaria, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte l'area direttamente coltivata da almeno un anno prima della data in cui vi è stata la dichiarazione di pubblica utilità.
comma 2
L'indennità aggiuntiva è determinata ai sensi dell'articolo 40, comma 4, ed è corrisposta a seguito di una dichiarazione dell'interessato e di un riscontro della effettiva sussistenza dei relativi presupposti.

E’ importante sottolineare che la sentenza della Corte costituzionale del 10 giugno 2011, n. 181, che ha abolito il V.A.M. (Valore Agricolo Medio) non ha abrogato il comma 4 dell’art. 40 del DPR 327/2001 soprariportato, pertanto il V.A.M abolito per la determinazione dell’indennità di esproprio, rimane valido per l’individuazione del valore da corrispondere per l’indennità aggiuntiva.

Questa premessa è necessaria per comprendere come il legislatore abbia voluto, con l’introduzione dell’indennità aggiuntiva, sia con la L. 865/1971 sia con il D.P.R. 327/2001, compensare colui che esercitando direttamente l'attività agricola sul fondo, perda la possibilità di lavorare a seguito dell’espropriazione del terreno agricolo.

Ma non tutti i soggetti che rivestono la qualifica di proprietario coltivatore diretto, di affittuario ecc. hanno diritto all’indennità aggiuntiva.
Infatti, la giurisprudenza ha chiarito, più di una volta, in questi decenni, quali sono i soggetti che ne hanno diritto.

Osservando i requisiti richiesti si evince che le condizioni per poter avere l’indennità aggiuntiva sono:
- aver stipulato un regolare contratto d’affitto da almeno un anno;
- possedere la qualifica di coltivatore diretto o le altre qualifiche precedentemente citate;
- dimostrare di aver effettivamente condotto e coltivato il terreno espropriato da almeno un anno.

Ma tutto ciò non è sufficiente.

Il coltivatore diretto, affittuario ecc. deve dimostrare di aver coltivato direttamente e/o con l’ausilio dei suoi familiari il terreno espropriato e che a causa dell’espropriazione è stato costretto ad abbandonare il fondo e conseguentemente ad interrompere la sua attività lavorativa.

Ciò in quanto l’indennità aggiuntiva non ha per oggetto l’intera azienda agricola ma le sole aree che vengono espropriate.

Pertanto, l’indennità aggiuntiva viene riconosciuta solamente ai coltivatori diretti, agli affittuari, ai mezzadri, ai coloni e ai compartecipanti che traggono i propri redditi dalla coltivazione del suolo espropriato mediante il proprio lavoro e quello dei propri familiari, cioè in tutti quei casi in cui il fattore lavoro è prevalente sul fattore capitale .

Viceversa, vengono esclusi i coltivatori diretti, gli affittuari ecc. che esercitano la coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale su quello del lavoro e con l’impiego prevalente di mano d’opera salariata e subordinata e tutti coloro che svolgono, oltre all’attività agricola, altre attività diverse dalla coltivazione e produzione agricola.

E’ bene rilevare che fino a non molto tempo fa l’indennità aggiuntiva era parte integrante, nel caso il in cui il valore del bene espropriato coincidesse con il valore venale, dell’indennità di esproprio, come riportava la giurisprudenza consolidata negli anni.

Tale giurisprudenza prende come riferimento la sentenza della Corte Costituzionale n° 1022 del 1988 secondo la quale l’indennità aggiuntiva andava detratta dall’indennità di esproprio spettante al proprietario, nel caso in cui detta indennità fosse stata determinata in base al valore venale del bene espropriato, perché la somma delle due indennità non poteva superare il valore venale del bene.

Orientamento sempre confermato negli anni, come dimostra la sentenza della Corte di Cassazione n°14782/2014, in cui si ribadisce che l’indennità aggiuntiva deve essere detratta dall’indennità di esproprio per i seguenti principi:
a) l'indennità per l'esproprio, essendo destinata a tener luogo del bene espropriato, è unica e non può superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione (il valore cioè che il proprietario ne ritrarrebbe se decidesse di porlo sul mercato della L. n. 2359 del 1865, ex art.39);
b) il termine di riferimento dell'unica indennità è quindi rappresentato dal valore di mercato del bene espropriato, quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, e soprattutto dal criterio previsto dalla legge per apprezzarle (cfr. cass. n. 11782 del 2007; n. 2424 del 2008 n. 893 del 2012).

Tale interpretazione è stata totalmente modificata da una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n° 11464 del 2016, che interpreta in modo completamente differente il concetto di indennità aggiuntiva, spostando l’attenzione sulle prestazioni lavorative del coltivatore diretto.

Infatti, la sentenza afferma: “Per i fini che qui interessano assume decisivo rilievo l’autonomia che l’indennità aggiuntiva ha avuto sin dall’inizio, nel senso che, indipendentemente dal diritto di proprietà e dagli altri diritti reali sul fondo espropriato, per i quali appare appropriato il riferimento al principio dell’unicità dell’indennità di esproprio, essa, al contrario, trova fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato e nella situazione privilegiata che l’ art. 35 Cost. e ss. assicurano alla posizione del lavoratore, garantendo fra l’altro che la sua retribuzione sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (Corte cost. 2 luglio 1972, n. 155).

La sentenza citata interpreta quindi l’indennità aggiuntiva in termini differenti rispetto alla precedente giurisprudenza, sganciandola dal legame esistente con il valore venale del bene interessato dal procedimento espropriativo e valutandola separatamente.

Concludendo, sulla base di quanto affermato dalla sentenza 11464/2016 la somma dell’indennità di esproprio e dell’indennità aggiuntiva - essendo quest’ultima slegata dal valore corrisposto come indennità di esproprio - potrà superare il valore venale del bene espropriato.

di Roberto Accossu

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Commenti 1

Angelo Farano
Angelo Farano
14 ottobre 2018 ore 22:28

Leggendo con attenzione quanto scritto dal collega Accossu, è certamente il caso di far notare che la questione sollevata ovvero, se l'indennità aggiuntiva debba o non debba esere determinata, discende unicamente e direttamente dalla norma, DPR 327/2011 nella fattispecie dalla esistenza in capo ai soggetti percettori della Indennità di Esproprio della qualifica di agricoltore a titolo principale ovvero di affittuario e non già da sentenze delle Corte di Cassazione. E' certamente il caso di chiarire che nel nel nostro ordinamento giuridico le sentenze "NON FANNO LEGGE", esse infatti hanno un significato unico di "orientamento" ma che l'autorità giudicante può autonomamente ritenenere di non seguire in applicazione al singolo specifico caso concreto di cui si occupa.
Unico caso di validità in termine di legge di una sentenza della corte di cassazione è quello della "SENTENZA ADDITIVA" carattere che tale sentenza assume solo in caso di vuoto normativo (Vacatio Legis) che certamente non riguarda il caso discusso dal Collega Accossu.
Tutto questo spero possa servire a dare maggiore chiarezza su quanto appena espresso dal collega Accossu e anche per mettere tutti i colleghi in guardia circa la distorsione causata dall' utilizzo delle citazioni delle sentenze di corte di cassazione da parte dei legali che, nel giustificare le proprie tesi, forzano il consulente nell'applicare la norma, secondo lo specifico interesse.