L'arca olearia
La compartecipazione in olivicoltura. E' un “male necessario”?
Troppo oneroso il ricorso ai salariati. Le mille vite e i mille dolori di un comparto produttivo. Le esperienze virtuose si scontrano con le oscillazioni interpretative delle vigenti norme in materia di lavoro. Il racconto di Stefano Tesi
29 novembre 2008 | Stefano Tesi
Lâinteressante articolo di Antonella Casilli sullâultimo TN (link esterno), a proposito delle prestazioni occasionali di manodopera in agricoltura, offre lo spunto per illustrare un caso che da un lato rappresenta un esempio di virtuoso adattamento delle necessità correnti alle norme vigenti in materia di lavoro e dallâaltro, viceversa, il sintomo delle imbarazzanti oscillazioni interpretative di cui il pur volonteroso agricoltore può trovarsi prigioniero di fronte allâesigenza di esercitare la propria attività perseguendo i giusti principi di economia ma rispettando, in parallelo, le regole del gioco.
Illuminante, in proposito, è la chiusa della Casilli: âIn linea sintetica e generale â dice lâarticolista - è bene ricordare che lâincontro (delle volontà delle parti, ndr) avviene alla luce del collocamento pubblico o autorizzato, perché flessibilità non vuol dire elusioneâ.
Parole sante, verrebbe da dire. Il problema però, alla luce dellâesperienza, è che i concetti di flessibilità e di elusione sembrano molto elastici e dipendere non da una nozione unica e ragionevolmente condivisa, ma da interpretazioni talvolta addirittura opposte, affidate ai singoli ispettorati provinciali del lavoro. Con il risultato peggiore tutti per la stabilità e la coerenza del sistema: il trattamento diverso di casi uguali.
Ed è un vero peccato. Perché lâesperimento messo in campo da alcuni anni in Toscana nel settore della compartecipazione olivicola, per la precisione nel Montalbano pratese, da unâazienda importante e strutturata come quella di Capezzana dei Contini Bonacossi, potrebbe davvero indicare una strada significativa nel cammino verso un recupero di unâolivicoltura finalmente redditizia.
Occorre premettere che lâazienda in parola non fa dellâolivo una coltura marginale o dâimmagine: 150 ettari di superficie e 24mila piante rappresentano un patrimonio e un impegno gestionale ragguardevoli anche per unâimpresa solida come quella del grande e saggio Ugo Contini Bonacossi. A maggior ragione se si pensa che, nellâultimo quindicennio, lâolivicoltura aziendale non ha vissuto âin difesaâ, ma lâarea olivata ha continuato, per scelta strategica della proprietà , a crescere.
Una scelta di fronte alla quale, tuttavia, i titolari stessi hanno presto constatato lâinadeguatezza delle prassi tradizionali: troppo oneroso il ricorso ai salariati, inaffidabile e discontinua la compartecipazione nella fase della raccolta, incapaci ambedue i sistemi di fornire alle piantagioni la cura continuativa di cui la stessa ha bisogno per offrire una produzione qualitativamente e quantitativamente sufficiente, nonché una concreta prospettiva di reddito.
âLa svolta - racconta Filippo Contini Bonacossi, quello tra i figli di Ugo che si è dedicato al settore olivicolo - è venuta nel 2001, con lâidea di âfidelizzareâ i raccoglitori: offrendo loro cioè da un lato lâopportunità di ricavare dalla compartecipazione un reddito reale, dallâaltro chiedendogli di accollarsi lâintero ciclo di cura delle piante, che solo una mano costante ed esperta può svolgereâ.
Il risultato è stata lâelaborazione â sulla scia di un accordo raggiunto già negli anni â90 tra le associazioni agricole fiorentine e lâInps, in base al quale lâazienda paga i contributi dei raccoglitori, senza che ciò implichi la trasformazione automatica del rapporto associativo in un rapporto di lavoro - di una speciale formula che, anziché abbracciare la sola fase della raccolta, si allarga dalla potatura alla frangitura. Invece dei consueti 6 kg di olio per ogni quintale di olive raccolte, è stato proposto come corrispettivo la metà netta della produzione dâolio, poi da trattenere o da rivendere in tutto o in parte allâazienda, a prezzo di mercato.
In base allo stesso accordo, lâazienda si fa anche carico delle lavorazioni meccaniche nellâoliveto, mentre il compartecipante di quelle manuali. âI raccoglitori sono diventati una sorta di partner, che condividono con noi i rischi e i guadagni in un quadro di ottimizzazione delle risorse disponibiliâ, prosegue Filippo Contini. Lâaccordo prevede lâassegnazione a ogni gruppo di compartecipanti di uno specifico appezzamento, âcalibratoâ sulla consistenza e disponibilità del gruppo stesso, in modo da garantire continuità e massimo risultato. Sottolinea Filippo: âCon i collaboratori concordiamo inoltre tutte le fasi del lavoro, dalla raccolta delle cassette in campo e del trasporto al frantoio, in modo che ognuno senta di curare il âproprioâ oliveto e di ottenere il âproprioâ olioâ.
Nellâarco di cinque anni, assicurano a Capezzana, la produzione è raddoppiata, restituendo redditività alla coltura. Una redditività accresciuta anche da un netto miglioramento qualitativo, frutto della cura attenta a cui adesso le piantagioni sono adesso sottoposte. Azzerate le controversie, perché tutto si svolge nellâambito di un patto contrattuale condiviso non solo dalle parti, ma dalle rispettive organizzazioni e dallâente di controllo.
Un esempio insomma, senza dubbio virtuoso, di adattamento e di flessibilità . Peccato che, per le dette questioni interpretative, rischi di non essere esportabile neppure nelle province circonvicine.
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