L'arca olearia

La moderna differenziazione dell'olio di oliva è superata: torniamo a quella degli Antichi Romani

La moderna differenziazione dell'olio di oliva è superata: torniamo a quella degli Antichi Romani

Abbiamo perso quella che era una migliore classificazione dell’olio di qualità fatta duemila anni fa: Oleum ex albis ulivis e Oleum viride, oggi ricompresi nell’unica categoria dell’olio extra vergine.  E l'Alta Qualità?

11 luglio 2025 | 18:00 | Alessandro Vujovic

I Romani stabilirono alcuni principi, che ancora oggi, sono fondamentali per la produzione di un olio di alta qualità. Difatti già oltre due mila anni fa, avevano capito che si potevano estrarre oli diversi a seconda dello stato fisico e di maturazione del frutto, ma anche in base alla destinazione d'uso, per questo distinguevano, per il consumo come alimento, 5 tipi di olio:

  • l’Oleum ex albis ulivis, era il miglior l’olio estratto da olive acerbe (acerbae) ed era il più costoso;
  • l’Oleum viride, apprezzabile per qualità, estratto da olive appena invaiate ad iniziale maturazione (olive variae o fuscae); sia “ex albis” che il “viride” era quello consumato dai patrizi romani.
  • L’Oleum maturum, veniva estratto da olive già mature (olive nigrae), di qualità meno pregiata rispetto ai primi due; si otteneva prolungando la raccolta fino a gennaio-marzo, quello che per noi sarebbe l’olio “vergine”.
  • l’Oleum caducum, di qualità scadente, in quanto da olive venivano raccattate da terra, cadute per cause biotiche e abiotiche oppure da sovramaturazione; quello che per noi oggi sarebbe un olio lampante. Venivano solitamente messe sotto sale ed usate come companatico per la servitù (Catone, De Agri Cultura 23,1, «Oleae caducae salliantur»).
  • L’Oleum cibarium, era un olio scadente, estratto da frutti parassitati e riservato all’alimentazione degli schiavi ed in parte ad altri usi (lubrificante degli assi delle ruote, per l’illuminazione), quello che oggi per noi sarebbe un olio lampante.

Inoltre veniva prodotto anche Oleum omphacium, raccolto tra novembre e dicembre che veniva aromatizzato con essenze naturali.

Secondo alcuni studiosi, la distinzione per categorie era, oltre quelle riportate, anche tra l’Olei flos relativo al “fiore d’olio”, cioè quello di prima spremitura, e l’Oleum sequens, quello prodotto nella seconda.

Anche gli impianti di lavorazione erano diversificati: dopo lo schiacciamento dell’oliva “in modo differenziato”, dove la mola olearia assomigliava a quella granaria, l’olio veniva separato dalla pasta con la “pressa a trave”, descritta da Catone oppure la “pressa greca” descritta da Erone e da Plinio, oppure la “pressa a vite” quando le quantità erano limitate.

La molitura con il trapetum romano, era di tipo differenziale in quanto non veniva eccessivamente frantumato il nocciolo, in quanto tra il mortarium (vasca) e le orbes (macine emisferiche) c’era una distanza di 1 digitus (1,85 cm), secondo Catone.

Alcuni consigli di Marcus Porcius Catone sono ancor oggi attuali, come quanto riporta nel De Agri Coltura dove scrive che, fra la raccolta delle olive e la loro lavorazione, deve passare il più breve tempo possibile ("Olea ubi lecta siet, oleum fiat continuo, ne corrumpatur", quando si sia fatta la raccolta delle olive se ne faccia l’olio subito, affinché non si guasti), per poi aggiungere: “Si in terra et tabulato olea nimium diu erit, putescet, oleum foetidum fiet: ex quavis olea oleum viridius et bonum fieri potest, si tempori facies” (Se l’oliva resterà troppo a lungo in terra o sul tavolato, imputridirà e l’olio risulterà di gusto sgradevole. Da qualunque specie di olive si può fare buon olio verde, quando si faccia in tempo).

Gli antichi romani solevano ripetere che la storia è “magistra” e noi abbiamo perso, tra i vari insegnamenti, quanto raccomanda Tucidide "bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro".

Cosa abbiamo perso dal passato in merito alla produzione e classificazione dell’olio di oliva?

Abbiamo perso quella che era una migliore classificazione dell’olio di qualità fatta duemila anni fa: Oleum ex albis ulivis e Oleum viride, oggi ricompresi nell’unica categoria dell’olio extra vergine.         

Due millenni fa gli antichi romani distinguevano questi due qualità, sicuramente molto meglio di oggi, che abbiamo un extra vergine che va da un fruttato diverso da zero (quindi per assurdo anche 0,1) e l’osservanza di indici di degradazione chimica, ossidativa e fermentativa molto ampi (acidità, perossidi, etilesteri di acidi grassi) e con valori di molecole bioattive molto diverse da olio ad olio (acido oleico da 55 a 85%; composti fenolici da 50 a 1.100 mg/Kg; tocoferoli da 100 a 500 mg/Kg).

Abbiamo bisogno di differenziare l’olio che produciamo e in questo senso vanno le certificazioni (olio DOP, IGP, SQNPI, biologico) ma anche la diversificazione legata alla tipologia varietale (olio monovarietale).

Purtroppo la quantità di olio certificato per l’origine (riferito ai 50 tra oli DOP e IGP) è ancora esigua, solamente il 4% della produzione nazionale, dati del 2022.

Al tempo stesso l’olio certificato deve saper veicolare messaggi di sostenibilità e modernità in sinergia con la comunicazione operata dal settore turistico e quello eno-gastronomico.

La produzione certificata certamente aiuta a vendere, non solo il prodotto, ma a promuovere un territorio nel senso più ampio del termine, cioè in tutti gli aspetti: sociali, culturali, ambientali, paesaggistici, turistici ed enogastronomici                 

In Italia, con la nostra ricchezza delle varietà (538 varietà, il 42% del patrimonio mondiale), possiamo differenziare l’olio oltre un “livello varietale”, anche a “livello geografico” dove ogni territorio esprime le sue tipicità, ovvero la presenza di attributi propri, costanti in tutti gli esemplari, che lo rendono facilmente riconoscibile e distinguibile.

Sicuramente è giunto il momento di differenziare, anche “a livello normativo”, tra un prodotto di qualità superiore (con parametri chimicofisici e sensoriali più restrittivi rispetto all’extra vergine commodity), lasciando ad un olio standard i parametri merceologici dell’attuale olio EVO, chiaramente diversi dall’olio “vergine”, come al momento viene fatto per il latte di Alta Qualità, differenziato in base alla frazione proteica, tenore in grassi, pastorizzato entro un breve termine.

Anche le caratteristiche organolettiche permettono una differenziazione sensoriale.

Credo che la differenziazione più incisiva, per un prodotto di alta qualità, sia quella a “livello salutistico” perché la concentrazione di molecole bioattive crea prodotti molto differenti tra loro, sia per i benefici alla salute del consumatore, quanto per la stabilità del prodotto durante la conservazione.

Quindi, avere concentrazioni ottimali di composti fenolici, di acido oleico e di tocoferoli, ne beneficia la salute del consumatore ma anche rallentata, nel tempo di conservazione, l’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi, quindi il suo decadimento.

Quindi per avere un futuro remunerativo della filiera olivicola, dobbiamo innovare tecnologicamente il processo di estrazione, avere una sostenibilità del sistema, in una economia circolare, determinata da un aumento del valore dei coprodotti (sansa, acque di vegetazione, nocciolino) nonché indirizzare l’utilizzo di questi prodotti secondari in campo cosmetico, come fertilizzanti, mangimi, integratori, prodotti farmaceutici, per l’alimentazione animale, per ricavare bioenergia…

L’innovamento tecnologico va da una frangitura differenziata in modo da liberare il meno possibile gli enzimi degradativi dal nocciolo, dalla gestione del freddo in frantoio per sviluppare il massimo delle caratteristiche aromatiche, dall’utilizzo di apparecchiature innovative come il condizionamento termico, gli ultrasuoni, le microonde, il vuoto spinto in gramola, il decanter a due vie, fino alla filtrazione e conservazione sotto gas inerte.

La differenzazione dovrebbe creare prodotti distinguibili, tipo olio prodotto al 100% italiano, differenziato a livello varietale, geografico, sensoriale, salutistico ed a livello normativo, con dei parametri della qualità merceologica maggiormente restrittivi.

A questo punto la domanda che viene spontanea se, per classificare un olio di alta qualità, restringiamo i parametri chimicofisici (acidità, perossidi, spettrofotometria e EEAG) ed organolettici (es. fruttato maggiore di 3), quanti oli, attualmente in commercio come EVOO, sarebbero standard anziché di Alta Qualità, chiaramente privi di difetti?

Bibliografia

Maurizio Servili, Atti Convegni su ruolo della tecnologia olearia nella moderna filiera, 2024-2025

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