L'arca olearia

Il Sud America dell'olio di oliva: Argentina e Cile

Il Sud America dell'olio di oliva: Argentina e Cile

In Sud America, la spinta nella ricerca di competere sui mercati internazionali è visibile. Viaggiando tra La Rioja e Mendoza, tra Melipilla e Valparaíso, si ha la percezione fisica dell’immensità. Europa-America: due emisferi, due approcci. Non alternativi, ma complementari

24 luglio 2025 | 13:00 | Carlotta Pasetto

C’è un momento dell’anno in cui le note più fresche e fragranti dell’olio nuovo iniziano ad affievolirsi. È il naturale declino dell’olio dell’emisfero nord, che inizia lentamente a perdere il suo slancio aromatico, il suo fruttato, la sua freschezza . Ed è proprio in quel momento che, come una manna dal cielo, arrivano le prime frangiture dell’altro emisfero. È tempo di partire. È tempo di tornare in Sud America.

Il nostro viaggio tecnico per la selezione dell’olio inizia così: con il desiderio e la necessità di ritrovare profumi, equilibrio e armonia per arricchire i nostri blend. Dall’altra parte del mondo, l’estate ha appena ceduto il passo all’autunno e i frantoi iniziano a pulsare di vita nuova.

Raggiungere l’altro emisfero non significa semplicemente spostarsi per selezionare il prodotto migliore, ma un vero e proprio attraversamento di mondi, culture olivicole e approcci produttivi.

Si entra dai cancelli delle aziende agricole e si percorrono chilometri di filari ordinati, dritti, infiniti, avvolti nella cornice maestose delle Ande . Prima di raggiungere un frantoio, si attraversano decine e decine di ettari di oliveti, strade bianche e polverose che sembrano non terminare mai.  In Argentina e Cile, l’olivicoltura è questione di scala: grandi aziende, distese sterminate, efficienza produttiva. Un contesto in cui la meccanizzazione totale non è più solo una scelta, ma una direzione inevitabile per cercare di diventare competitivi. Gli impianti tradizionali vengono progressivamente convertiti in super intensivo: serve velocità, servono numeri, servono costi più bassi. Ma tutto questo ha un prezzo. Il prezzo si chiama perdita di identità varietale. Alcune cultivar locali, come la storica Arauco in Argentina, sono sempre più rare. La loro struttura e le loro esigenze agronomiche non si adattano alla raccolta meccanica e così vengono gradualmente soppiantate da varietà più industriali: Arbequina, Arbosana, Picual, Koroneiki, ma anche Coratina, Frantoio e Leccino. Il risultato è una crescente omogeneizzazione sensoriale, in favore dell’efficienza. Quest’anno, però, anche l’efficienza ha dovuto fare i conti con le condizioni climatiche. L’annata 2025 è stata segnata da un drastico calo produttivo, in Argentina una media di produzione di aggira sulle 40.000 tonnellate, in Cile di media sulle 20.000 tonnellate. La campagna di quest’anno ha stimato un calo tra il 30% e il 40%. L’assenza di piogge, le ondate di calore e la scarsità di acqua, in particolare nel nord del Cile, hanno inciso pesantemente sia sulla quantità sia sulla qualità delle olive. Al sud, dove le condizioni sono meno estreme, il profilo degli oli si è mantenuto più stabile, ma il bilancio complessivo resta inferiore alla media annuale.

Selezionare gli oli non significa solo scegliere i migliori lotti. È un lavoro sul campo che richiede assaggio, confronto, ascolto. Il rapporto con i produttori è il cuore pulsante di questo viaggio: si discute di raccolta, di lavorazione, di obiettivi qualitativi, di esperienze condivise. Nasce una collaborazione che va oltre l’acquisto: è scambio tecnico, umano, culturale. Negli ultimi anni uno dei temi che ricorre più frequentemente è quello della sostenibilità. Sempre più aziende sudamericane stanno investendo per adattarsi agli standard internazionali, puntando su pratiche più rispettose dell’ambiente e del lavoro. Riduzione dell’impatto ambientale, recupero dei sottoprodotti, miglioramento delle condizioni lavorative, tracciabilità e trasparenza diventano strumenti di competitività sui mercati esteri, ma anche leve per un miglioramento costante della qualità.

Viaggiando tra La Rioja e Mendoza, tra Melipilla e Valparaíso, si ha la percezione fisica dell’immensità. Le distanze sono enormi, il paesaggio cambia drasticamente da una regione all’altra. Zone aride e desertiche si alternano ad aree più fertili e temperate, in uno scenario che riflette una vocazione agricola sempre più orientata all'efficienza produttiva e alla conquista dei mercati internazionali.

Quando si osservano da vicino questi modelli produttivi, paesaggi e prospettive, emerge con forza l’inevitabile confronto con l’Italia. Anche in Italia, seppur in un contesto geografico e culturale profondamente diverso, si avvertono trasformazioni analoghe. Se da un lato resta forte la frammentazione, la presenza di micro-parcelle e una straordinaria ricchezza varietale che definisce l’identità olivicola mediterranea, dall’altro si sperimentano nuovi modelli, come gli impianti super intensivi, nel tentativo di coniugare innovazione, sostenibilità e competitività.

In Sud America, la spinta nella ricerca di competere sui mercati internazionali è visibile. I modelli produttivi si fanno sempre più automatizzati e razionali, sostenuti anche da nuove opportunità commerciali. Il Tratado de Libre Comercio tra Cile e Unione Europea, entrato in vigore il 1° febbraio 2025, apre la strada a un flusso più diretto e agevole di prodotto verso il vecchio continente, offrendo ai buyer europei la possibilità di rifornirsi con maggiore continuità e freschezza, soprattutto nei periodi in cui l’offerta mediterranea è meno disponibile.

In questo scenario, l’Italia si muove lungo una linea sottile, cercando un equilibrio tra tradizione e innovazione. Resta significativa — e centrale — la variabilità di cultivar e profili sensoriali, un patrimonio che ancora oggi dà forma all’identità profonda dell’olivicoltura italiana, trasformandola in un valore competitivo fondato sulla qualità, la diversità e il legame con il territorio.

Due emisferi, due approcci. Non alternativi, ma complementari. Perché oggi l’olio non è più solo un prodotto: è un sistema complesso che unisce tecnica, ambiente, cultura e visione. E ogni viaggio – come ogni blend ben riuscito – nasce dall’incontro di differenze che non si escludono ma si completano. E in questo equilibrio si gioca il futuro del comparto. Un futuro che, come sempre, comincia con un viaggio, una stretta di mano, e un cucchiaio d’olio ancora tiepido di frantoio.

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