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Olio extravergine di oliva a denominazione di origine: le linee guida per disciplinari al passo con i tempi

Olio extravergine di oliva a denominazione di origine: le linee guida per disciplinari al passo con i tempi

Dai polifenoli totali ai rapporti tra acido oleico e linoleico fino al punteggio minimo del panel test. Ecco alcuni parametri importanti e relativi limiti per la massima tutela del consumatore

12 luglio 2024 | Alessandro Vujovic

Riprendiamo da qui, con una serie di indici e caratteristiche chimiche e organolettiche per i disciplinari dell'olio extravergine di oliva Dop e Igp al passo con i tempi:

-  Il saggio di Kreiss alla fluoroglucina in ambiente acido, è un test chimico non contemplato dalla normativa per le interferenze cromatiche ed è stato usato per determinare qualitativamente, ma in modo approssimativo, il grado di irrancidimento di un olio, rilevando la presenza delle aldeidi, quali prodotti secondari di ossidazione. La positività del saggio, pur essendo legata alla presenza di prodotti di ossidazione, non implica necessariamente un reale stato di irrancidimento della sostanza grassa, per cui l’eventuale rancidità deve essere confermata con ulteriori analisi, come il l’esame del numero di perossidi. 

- Riguardo ai polifenoli totali, tutti i disciplinari riportano valori superiori ad un valore minimo (circa 100 ppm), che ha scarsa utilità da un punto di vista salutistico e di conservabilità dell’olio (shelf life). La soglia utile sarebbe superiore a 250 ppm altrimenti non ha un senso riportare un valore così minimo. I valori dei composti fenolici degli oli di oliva italiani, vanno da 50 mg/Kg a 1100 mg/Kg.

È corretto, e condivisibile, il richiamo riportato nella “DOP Brisighella” dove viene precisato: [“Limite minimo contenuto in polifenoli: ≥ 200 ppm (mg tirosolo kg-1 olio) con determinazione analitica in accordo con il metodo ufficiale “Determinazioni dei biofenoli nell’olio di oliva mediante HPLC” recepito dal Consiglio Oleicolo Internazionale (COI/T. 20/Doc. n. 29)].

Riguardo i polifenoli totali, la “DOP Molise” indica che i risultati siano espressi in acido caffeico; a questo punto tutti i disciplinari che riportano i polifenoli totali dovrebbero specificare in che modo vengano espressi i risultati: in acido gallico oppure in acido caffeico. Questo perché, utilizzare uno standard di riferimento, piuttosto che l’altro, implica una sostanziale differenza del risultato (i valori sono maggiori con acido caffeico, rispetto con acido gallico, per la presenza nella matrice di sostanze interferenti nella reazione di Folin–Ciocalteu).

L’unico caso che riporta, in riferimento ai biofenoli totali, la quota dei fenoli bioattivi è “l’Olio di Puglia IGP”; (Biofenoli totali: ≥ 300 mg/kg, di cui fenoli bioattivi ≥ 250 mg/kg).

I polifenoli si formano nell’olivo, maggiormente a seguito di un intenso stress, come lo stress idrico e/o termico e vengono utilizzati dalla pianta per contrastare la produzione dei radicali liberi oppure come difesa batteriocida / batteriostatica. Rivestono anche una notevole importanza in senso shelf-life e salutistico per il consumatore.

- Alcuni disciplinari richiedono, tra i vari parametri, il dosaggio dei tocoferoli, alcuni con valori ≥ 40 mg/Kg altri ≥ 150 mg/Kg. I tocoferoli sono un elemento utile alla shelf life e anche da un punto di vista salutistico e, tra l’altro, i valori trovati - negli oli italiani - vanno da 90 a 538 mg/Kg con una mediana di 266 mg/Kg. Quindi suggerirei di riportare un valore superiore al valore minimo ritrovato negli oli italiani, cioè ≥ 90 mg/Kg.

- È importante stabilire le percentuali massime accettabili di acido Linoleico e di acido Linolenico in quanto, maggiore è il loro contenuto, più grande è il rischio ossidativo perché entrambi contengono il gruppo divinilmetano.

- Interessante anche il rapporto tra l’acido oleico e l’acido linoleico (≥ 8), come indice di stabilità (ad es. nel disciplinare “Cartoceto DOP”).

- I valori dell’acido Linoleico, riportati dai disciplinari vanno da valori £ a 5 fino a £ 15,50.  I valori di riferimento della normativa sono da 2,50% fino a 21,00%. Mentre i valori dell’acido Linolenico, nei vari disciplinari, sono riportati come soglia prevalente £ 0,8 %, (da £ 0,80% a £ 0,9%), la normativa riporta come valori di riferimento ≤ 1,00 %.

-  Non credo che l’indice di rifrazione, tra l’altro non contemplato dalla normativa, possa dare informazioni ulteriori rispetto ai test in uso. L’indice di rifrazione a 25°C dell’olio di oliva è 1,4665 – 1,4682; (è un esame richiesto solo dall’olio “IGP Toscano”).

- Il dosaggio dei singoli acidi grassi (palmitico, palmitoleico, stearico, arachico, eicosenoico) serve per determinare la purezza di un olio e quindi per escludere la presenza di olio di semi. Non capisco il significato di una simile determinazione, anche perché un’aggiunta di oli da piante oleaginose, diverse dall’olivo, non si vedrebbe fino a circa il 30%.

-  Alcuni disciplinari riportano il valore percentuale massimo della trilinoleina (da 0,2 a 0,5%). Questa molecola dipende dal contenuto di acido linoleico dell’olio. È praticamente un trigliceride che contiene tre molecole di acido linoleico e, quando un EVOO ha un contenuto basso, è un indice di buona qualità di quell’olio. La differenza tra il valore di trilinoleina ottenuto con l’analisi HPLC e quello derivato dal calcolo teorico, in riferimento al contenuto % di acido linolenico, deve essere compreso tra 0,2 e 0,6%. Gli oli che possono portare ad un aumento di tale differenza sono naturalmente quelli ad alto contenuto di acido linolenico e tra questi, l’olio di soia e di colza oltre altri oli di semi. Nell’olio di oliva è di solito inferiore a 0,5 %, mentre tale valore viene spesso superato dagli oli tunisini. Occorre precisare che un olio che presenta maggiore concentrazione di acido linoleico, irrancidisce più facilmente e quindi ha un periodo di conservazione più breve rispetto ad un olio con quantità inferiori di questa componente.

-  Un parametro richiesto da alcuni disciplinari è il campesterolo (valori 3,50-4,00), che è uno degli indici di purezza. Se il campesterolo supera il 4% è indicativo di blending con olio semi, di colza o di soia. Anche di questo parametro non si capisce l’utilità della sua determinazione.

-   In qualche caso è stabilita una data massima entro la quale è consentito l’imbottigliamento ed anche l’immissione al consumo, come nel “Chianti Classico DOP” dove è riportato sino al 31 ottobre dell’anno successivo e la immissione al consumo nel mese di febbraio dell’anno seguente.

- È importante riportare un valore minimo di punteggio all’esame sensoriale del Panel test, da superare per avere certificata anche una buona qualità organolettica.

- Condivido l’obbligatorietà di indicare in etichetta l’annata di produzione delle olive da cui è ottenuto l’olio e che ne sia garantita la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto.

- È importante anche indicare in etichetta l'indicazione «da consumarsi preferibilmente entro il mese dell'anno» per un periodo massimo dalla data di produzione (ad es. 15 mesi “Terre Tarantine DOP”), ma questo dato è (in pratica) variabile perché dipende dalla composizione dell’olio.

- Facendo riferimento articolo 4 Reg. del. UE n. 665 del 2014 è appropriato anche l'utilizzo del termine "prodotto di montagna", chiaramente nelle etichette dei territori che ne hanno i requisiti.

- La tracciabilità del prodotto è garantita attraverso l’iscrizione delle particelle catastali sulle quali avviene la produzione, dei produttori, dei frantoiani e dei confezionatori, in appositi elenchi, gestiti da un'unica struttura di controllo, e dalla tenuta di registri di produzione e di condizionamento. Tutte le persone, fisiche e giuridiche, iscritte nei relativi elenchi, dovranno essere assoggettabili alla struttura di controllo, secondo quanto disposto dal disciplinare di produzione e dal relativo piano di controllo.

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