L'arca olearia 16/02/2024

Le varietà di olivo che possono salvare l'olivicoltura italiana

Le varietà di olivo che possono salvare l'olivicoltura italiana

Le relazioni di parentela tra le varietà di Capri e quelle greche, turche, tunisine e italiane. Studiare gli olivi monumentali e i loro portainnesti potrebbe però rivelare tratti genomici correlati a un forte adattamento agli stress ambientali


Sono gli olivi secolari la nuova frontiera di ricerca e studio dell’olivicoltura, ai fini anche di un miglioramento della produzione, grazie all’enorme diversità genetica che rappresentano. Infatti questa è costituita da oltre 1200 cultivar e migliaia di varietà locali e minori comprendenti impollinatori, ecotipi e alberi monumentali, sopravvissuti grazie a notevoli capacità di adattamento e pertanto possono a tutto titolo considerarsi esemplari di interesse genetico, paesaggistico e storico. Ma se sono riusciti ad arrivare fino a noi, non è così scontata la loro futura sopravvivenza: nuove minacce ambientali e umane ma anche stress biotici come la Xylella fastidiosa li stanno indebolendo sempre di più, conducendoli a una inesorabile scomparsa. Studiare gli olivi monumentali e i loro portainnesti potrebbe però rivelare tratti genomici correlati a un forte adattamento agli stress ambientali, così come a riscoprire paleo-varietà coltivate in passato e ora abbandonate, da valorizzare come produzione locale ad alto valore regionale, di integrazione paesaggistica e di icona ecoturistica. Recenti ricerche sugli ulivi antichi hanno dimostrato che le pratiche di innesto sono state ampiamente applicate sia con l’utilizzo di piantine che di oleastri, incrementando il patrimonio genetico olivicolo, mentre le attività agricolturali, nel corso dei secoli, hanno permesso la conservazione del patrimonio agricolo e quindi della biodiversità. In più, il ripristino degli oliveti abbandonati può contrastare l’erosione del suolo, la quale aumenta dopo l’abbandono, soprattutto nei terreni in pendenza. Un altro aspetto importante da non sottovalutare è il forte impatto su fioritura, e di conseguenza allegagione, derivante dalle quantità di polline che diminuisce con l’abbandono degli oliveti, portandosi dietro sempre minore intercompatibilità.

Per impedire suddette problematiche si sono studiati gli olivi ritrovati, spesso coperti da vegetazione infestante, nelle aree incolte di Capri. Uno dei problemi principali nello studio degli olivi antichi è legato alla stima della loro età, che risulta difficile da calcolare unicamente mediante dendrocronologia; purtroppo le analisi di datazione non distruttiva sui tronchi di ulivi secolari sono molto complesse. 

Olivi e alberi da frutto a Capri risultano in diversi testi: ne parla Fabio Giordano nel 1570, D.A. de Sade del 1776, Gregorovius in “Isola di Capri” nel 1853, E.L.V. de Laveleye in “Almanacco di Capri” (1878-1879). Su questo passato storico, nel 2014 si è quindi costituita l’associazione “L’Oro di Capri”, con l’obiettivo di recuperare il paesaggio originario degli oliveti terrazzati e di produrre olio extra vergine di qualità. Dopo aver restituito alla luce alcuni di questi esemplari, “L’Oro di Capri” ha commissionato al CNR IBBR di Perugia uno studio per esplorare la diversità genetica degli olivi secolari sull’isola dell’arcipelago campano, verificare in che misura siano il risultato di innesti e cercare prove della selezione di singoli genotipi sia di marze che di portainnesti per la coltivazione dell’olivo, ricercando inoltre una stima scientifica dell’età degli alberi.

Ai fini della ricerca, sono stati prelevati in totale 67 campioni di foglie dalla chioma e dalla parte basale del tronco, in tutto da 40 olivi, per un eventuale scenario di innesto, principalmente ad Anacapri: da 27 olivi monumentali sono stati raccolti sia la chioma che il portainnesto per un totale di 54 campioni; dagli altri 13 alberi è stata campionata solo la chioma in quanto spesso rappresentati da cespugli o da diversi piccoli tronchi ricacciati dalla ceppaia originaria. La parte basale del tronco è compresa tra 60 e 155 cm a 130 cm dal suolo. È stato estratto il dna e confrontato con 475 profili SSR unici di cultivar di olivo nella banca dati CNR IBBR.

Le varietà di olivo che possono salvare l'olivicoltura italiana

Quello che sorprende è la diversità genetica dei genotipi di Capri. Basandosi sui dati SSR dei genotipi capresi e dei 475 genotipi mondiali, è emersa la presenza di due principali varietà di olive nell’isola; 67 accessioni analizzate appartenevano a 21 profili genetici diversi. L’innesto è stato identificato solo in due olivi e in entrambi gli alberi le chiome appartenevano alla cv. Dritta di Moscufo che, innestata sul portainnesto, appartiene a due profili genetici unici. 31 di 67 accessioni sono riconducibili alla cv abruzzese Dritta di Moscufo, corrispondente alla Minucciola campana e alla San Felice umbra. L’altro gruppo di cloni comprende cinque genotipi identici alla cultivar Throumbolia, diffusa soprattutto in Grecia, prevalentemente a Creta. Chiome e portainnesti di altri campioni sono state inserite nel cluster di cultivar italiane Canino e Olivastra Seggianese e della tunisina Dokkar; un’altra accessione, la cui chioma e portainnesto mostravano lo stesso profilo molecolare, è vicina alla cv. turca Ayvalik; altre ancora appartengono allo stesso ramo delle italiane Capolga e Sant’Agatese; quest’ultima si è mostrata simile alla Throumbolia e presumibilmente derivata da questa. Due degli alberi monumentali, non corrispondenti a nessuna delle 475 varietà di olivo conosciute qui studiate, sono risultati geneticamente identici tra loro. Presente anche un clone dell’Itrana, diffusa proprio al confine tra Campania e Lazio. Altri due alberi corrispondono a Frantoio e Leccino e derivano direttamente da talee radicate. Un ultimo campione non corrisponde a nessuno dei genotipi analizzati; la clusterizzazione ha ipotizzato una relazione genetica con la cv Ravece, campana anch’essa.

Dai 12 alberi selezionati in base alle dimensioni del tronco, all’integrità del fusto principale e alla capacità di raccogliere il legno dalla parte più antica del tronco originale, è emerso che l’età stimata di ciascun olivo monumentale di Capri varia da un centinaio di anni a 932 anni. I due più antichi risultano Dritta di Moscufo, uno di 932 ± 102 anni (solo alla chioma: il portainnesto non corrisponde ad alcuna varietà); l’altro ha circa 464 anni ±105. Il più “giovane”, di circa 100 anni ± 53, ha una circonferenza sui 4 metri ed è alto 9: poiché si trova nel giardino di un monastero, probabilmente ha avuto disponibilità di acqua e di fertilizzazione per via della presenza di ortaggi e pollame.

Nell’olio estratto da quattro piante monumentali, la quantità totale di polifenoli era considerevolmente alta. Il livello più basso (514 ± 41 mg kg-1) è stato rilevato in un olivo di 175 ± 57 anni. L’olivo più antico ha mostrato alti polifenoli totali, 764 ± 41 mg kg-1, dimostrando che la Dritta di Moscufo caprese, localmente chiamata Minucciola, potrebbe essere considerata molto salutare. Inoltre al panel test ci si aspettava una percezione media dell’amaro, considerati i valori polifenolici: per tre oli su quattro la mediana partiva da 4,2 a 5. Non sono stati rilevati difetti, mentre sia il piccante che il fruttato sono stati osservati con un livello medio superiore a 3. Pertanto, non solo dal punto di vista nutraceutico ma anche per le percezioni organolettiche di piccante e amaro, questi olivi monumentali sono veri e propri candidati per il rilancio dell’olivicoltura.

Le isole rappresentano un micro-habitat limitato in cui potrebbero essersi sviluppate nel tempo nicchie genetiche di notevole interesse; a Capri, gli scavi hanno dimostrato che la presenza umana sull’isola può essere datata al Neolitico e all’Età del Bronzo. I Greci vi abitarono per molti secoli fondando sia Capri che Anacapri (il suffisso greco “ana” significa “sopra”), comuni collegati ancora oggi dalla Scala Fenicia. Il primo e più probabile riferimento a un insediamento abitativo ad Anacapri lo fornisce lo storico greco Strabone, vissuto a cavallo del I secolo a.C., che parla di una piccola cittadella nella parte alta dell’isola.

Alla luce di tutto ciò, considerando la longevità delle specie di olivo e l’importanza per le tradizioni delle comunità locali, oltre che per la bellezza e la difesa del paesaggio, il contrasto allo spopolamento delle città e considerando inoltre la significativa tolleranza alle sollecitazioni biotiche e abiotiche, la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità presente negli oliveti abbandonati devono essere obbligatorie.

Bibliografia

Mousavi, Soraya, et al. "The ancient olive trees of Capri Island renaissance of an abandoned treasure." Scientia Horticulturae 328 (2024): 112930

di Giosetta Ciuffa