L'arca olearia

Produzione e mercato delle olive da tavola, in Italia e nel mondo

Produzione e mercato delle olive da tavola, in Italia e nel mondo

Le prospettive per questo segmento olivicolo sono molto interessanti ma l’Italia è ferma al palo mentre c’è chi ha decuplicato la produzione. Triplicati i consumi mondiali 

05 maggio 2023 | Giosetta Ciuffa

In questi tempi di magra, gli olivicoltori che possono permetterselo (non è così facile, ammettiamolo) dovrebbero stilare un business plan teso a verificare la fattibilità di una produzione di olive da favola. No, non è un errore: in un mondo in cui l’Italia è ovunque tanto ammirata ma è sempre in difficoltà, e in un settore come quello olivicolo in cui sempre più a fatica si difende il secondo posto nella produzione di olio extra vergine, bisogna, calcolatrice alla mano, dedicarsi a nuove produzioni di qualità, nello specifico olive da tavola come suggerisce il mercato. In un frutto tanto piccolo così tante opportunità: oltre a donarci l’olio, le olive sono un prodotto versatile che si adatta alle cucine di tutto il mondo e andrebbero maggiormente considerate – chi può disporne – per costruire un business. Strategia di creazione o diversificazione/estensione per l’azienda agricola quindi o tesoretto su cui investire per chi già le produce. Se ne è parlato nell’incontro promosso dalla vicepresidente della Commissione agricoltura, attività produttive e turismo Gisella Naturale: “Il ruolo delle OP nel comparto olivicolo da mensa nazionale: strategie e scenari di mercato”.

I numeri delle olive da tavola: produzione e mercato in Italia e nel mondo

A fornire lo scenario generale ci ha pensato Mauro Meloni, direttore di Unifol - Unione italiana famiglie olearie, giovanissima associazione di categoria nata con la fuoriuscita di Monini da Federolio. Esordisce definendo le olive da mensa come “figlie di un dio minore, ma in realtà figlie dello stesso padre”: i numeri presentati infatti, elaborati su base COI e Ismea, indicano una crescita continua, con produzione triplicata negli ultimi trent’anni e con investimenti importanti in Algeria ed Egitto (10% annuo), Turchia (4%), Spagna e Grecia (3%). Com’è facile intuire, in Italia non si muove foglia, se non per cadere: la produzione media annua per i maggiori e minori tra quei Paesi è passata dalle 249.000 tonnellate del 1990 alle 602.000 del 2022 della Spagna e dalle 24.000 alle 575.000 dell’Egitto, la Grecia da 75.000 a 202.000, mentre l’Italia resta ferma a 72.000 tonnellate. È evidente che il mercato non solo lo stanno creando gli stranieri ma se lo stanno anche suddividendo. I consumi infatti crescono in tutto il mondo: dalle 13.000 tonnellate nel 1996 alle 289 nel 2022 in Algeria, dalle 30 alle 499 dell’Egitto, dalle 129 alle 307 della Turchia fino alla sorpresa del Brasile: le 48.000 tonnellate nel 1996 sono ora 127.000; globalmente, il milione di tonnellate di quasi trent’anni fa è oltre i 2,7 milioni di tonnellate.

L’Italia esporta circa 20-30mila tonnellate a prezzi doppi rispetto alla media mondiale, in tutti i paesi ma specialmente in USA e in Gran Bretagna ma, nonostante l’acclarata capacità di creare valore, il saldo import/export purtroppo è negativo e si aggira sui -50 milioni di euro. Non riuscendo a soddisfare la domanda interna (dai consumi comunque molto legati alla stagionalità, soprattutto estate e Natale coincidenti con i periodi promozionali), l’Italia è quindi come per l’olio anche un Paese importatore (dopo Stati Uniti, Francia, Germania in quanto a volumi) mediamente con 70-100mila tonnellate, soprattutto da Spagna e Grecia. Regina della produzione in Italia è la Sicilia (48%), seguita da Puglia (27%) e Calabria (12%). Su oltre 500 varietà, 50 quelle da tavola e 150 olio/mensa; quattro le DOP, per 3,5 milioni di euro di fatturato al consumo. I volumi vengono dalle cultivar a duplice attitudine, con gli olivicoltori che poi scelgono a quale produzione destinare i frutti e, anche se sulle olive da tavola influisce un importante fattore estetico (si pensi ai nomi: tonda, grossa, bella), il vantaggio è la vendita di tutta la produzione, differentemente dall’olio. Le caratteristiche delle olive sono infatti più facilmente percepibili dal consumatore, oltre ad essere un comparto molto differenziato che può facilitare la spartizione del mercato da parte dei produttori.

Sempre secondo i dati Unifol, la distribuzione delle olive da mensa è omogenea nelle aree Nielsen, con un aumento nei discount; in Grande Distribuzione prevalgono le confezioni in vetro (quasi metà del mercato) ma sono maggiormente valorizzate le vaschette, cresciute di prezzo medio (-3,5 a volume e +3,7 a valore); lattina invece associata al low price. Più di metà mercato è compreso tra 100 e 250 grammi, ed è il segmento che perde meno volumi; l’oliva verde pesa oltre il 60% del mercato, ed è quasi totalmente responsabile dell’incremento dei prezzi. Questi numeri suggeriscono come tendenzialmente presentare il prodotto alla vendita ma soprattutto di investire nella formazione agronomica verso tecniche colturali diverse rispetto a quelle da olio e la conoscenza delle caratteristiche organolettiche delle cultivar, proprio per rilanciare i consumi e proteggere l’offerta nazionale, non senza un quadro strategico di riferimento e potenziata R&S.

Il futuro delle olive da tavola in Italia secondo istituzioni, scienza e operatori

Ciò che è assente, secondo il direttore generale Masaf per le Politiche internazionali e UE Luigi Polizzi – e parla per averlo notato migliorando i panel per l’extra vergine - è un regolamento comunitario: le regole di riferimento sono quelle COI, sulle quali la Spagna ha legiferato per determinare non solo il panel ma la qualità del prodotto. Andrebbe pertanto messo a punto un apposito decreto; dopodiché, disciplinari italiani e aumento dei controlli contro varietà che hanno richiamo sul mercato ma sono estere (greche), usurpando porzioni di mercato. L’istituzione di panel territoriali è lanciata già da tempo dal Crea, come riporta il dirigente di ricerca Innocenzo Muzzalupo, in un contesto teso a valorizzare il territorio: certificazioni di qualità quindi non solo per le olive trasformate con metodo sivigliano, greco o californiano ma anche minori (olive infornate, schiacciate, arriganate...), insieme alla promozione di prodotti tipici (paté, polvere di olive essiccata, alcolici alle olive) derivanti dalla filiera.

Professore di Microbiologia agraria del dipartimento di Scienze agrarie, Alimenti, Risorse naturali e Ingegneria del’Università di Foggia, Antonio Bevilacqua dal 2002 si occupa di olive, giungendo all’individuazione di alcune linee guida, alcune già attive. In primis, un sistema di monitoraggio e gestione per affrontare i mercati esteri, che talora richiedono norme più stringenti di quelle comunitarie. Ad esempio, il bio in Germania a volte è privo di soda: un semplice foglio di calcolo per pochi parametri quali pH della salamoia e concentrazione di sale indicherebbe se il prodotto va corretto, con buona pace del produttore. Sul packaging ecosostenibile si gioca molto il successo del comparto: deve valorizzare il prodotto e garantire la sicurezza. A lungo si è pensato che le olive da mensa fossero un prodotto sicuro - pH basso e sale limitano la produzione di batteri - ma ci sono casi documentati di malattie alimentari così veicolate. Differenziando le varietà regionali, fornire infine un quadro microbiologico ben preciso sui microrganismi buoni e utili presenti, per spiegare perché quell’oliva è diversa dall’oliva spagnola o greca o tunisina. Il consumatore oggi è consapevole e sceglie in maniera accurata, decretando il successo del prodotto e l’Unione Europea nelle varie strategie degli ultimi anni ha fatto chiaramente capire quanto la comunicazione sia fondamentale.

In attesa di riconoscimento l’OP foggiana Alta Daunia Peranzana – 52 i soci - diretta da Nazzario D’Errico. Il Consorzio è stato istituito dieci anni fa e a giugno è attesa la fine del processo di raccolta documenti per ottenere la DOP per l’oliva in salamoia al naturale nei comuni di Agri di Torremaggiore, San Severo, San Paolo di Civitate, Apricena e Lucera. Introdotta dalla Provenza nel XVII secolo dai principi De Sangro (il nome è “provenzale” in dialetto), varietà di un territorio già apprezzato con la DOP dell’olio Dauno “Alto Tavoliere” e l’IGP Puglia, la Peranzana da mensa è ora gradita in Germania, Francia, Austria, Olanda, Slovenia, Ungheria e ultimamente anche in USA e Medio Oriente. Il bacino produttivo conta 9 mila ettari, di cui quelli specializzati in Peranzana da mensa si stimano 200. La produzione media annua di olive per olio sono 300.000 quintali, circa 30.000 quelle da tavola, per le quali si vuole evidenziare l’aspetto salutistico e nutrizionale, soprattutto l’essere iposodiche: i tempi sono giusti, i consumatori acquistano sempre meno olive interamente nere, optando per le verdi-violacee. Perseguire e comunicare alcuni valori, certo, ma senza risorse non si può: il comparto è a sé e non può viaggiare insieme all’olio a cui solo arrivano le (già poche) risorse.

Da chi ancora pianifica a chi già affronta le problematiche di una OP già riconosciuta, ma assai giovane. Coprom, nata nel 2021 per le olive di Gaeta DOP e diretta da Francesco Candi, rappresenta 55 produttori e un trasformatore e vede un grande pericolo nella produzione spagnola di Itrana, fuori dal Lazio e dai due comuni in provincia di Caserta, come da disciplinare. Oltre alla tutela del made in Italy, Coprom chiede aliquote di finanziamento più elevate (ad esempio, 80% di contributo) per impianti nuovi e ristrutturati; avendo una maturazione tardiva, polizze agevolate che assicurino i frutti pendenti contro il maggior rischio di maltempo; accesso facilitato al credito.

Organizzazioni di produttori quindi come guida - e non ricordarsene solo quando ci sono finanziamenti - per le aziende olivicole che difficilmente riescono a imporsi in un mercato altamente concorrenziale per via dei prezzi più commerciali dei Paesi comunitari, in grado di sbaragliare le produzioni italiane, da valorizzare maggiormente in quanto già stabilmente posizionate. OP e consorzi svolgano però anche un ruolo diverso, di aggiornamento e formazione, affinché si smetta di guardare solo all’export come soluzione e ci si muova sul territorio, che va curato anch’esso. Consumatori e ristoratori vanno educati per  creare il mercato.

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