L'arca olearia
Olio extra vergine di oliva e pizza, questo matrimonio s'ha da fare
Non releghiamo l’olio a un semplice giro di “Agliara” sulla pizza a fine cottura, ma pensiamolo come elemento di valore per il cliente e reddito per il ristoratore
21 febbraio 2020 | Marco Antonucci
Spesso ho la fortuna di parlare di extravergine a pizzaioli provenienti da tutta Europa. Sono fortunato perché i pizzaioli che incontro comprendono perfettamente che il lievito è importante come lo sono il pomodoro e l’extravergine in quanto una “buona” pizza può essere fatta solo se tutti gli ingredienti sono “buoni”.
 Facendo un passo in avanti, spesso ragioniamo insieme sul come dare maggior valore all’extravergine e come trarne al tempo stesso maggior remunerazione: in fin dei conti – non va dimenticato – si lavora per passione e piacere, ma anche per un adeguato guadagno. Vediamo insieme alcuni esempi (di fantasia ovviamente) che potrebbero essere d’aiuto nella valorizzazione del prodotto finale e soprattutto dell’olio.
Facendo un passo in avanti, spesso ragioniamo insieme sul come dare maggior valore all’extravergine e come trarne al tempo stesso maggior remunerazione: in fin dei conti – non va dimenticato – si lavora per passione e piacere, ma anche per un adeguato guadagno. Vediamo insieme alcuni esempi (di fantasia ovviamente) che potrebbero essere d’aiuto nella valorizzazione del prodotto finale e soprattutto dell’olio.
Iniziamo dal menu. “Margherita: mozzarella, pomodoro, basilico, olio”. Fermo restando l’obbligo di indicare gli ingredienti, sappiamo più o meno tutti cos’è una Margherita.
Perché non stimolare l’attenzione del cliente descrivendo il sapore dell’extravergine, la sua consistenza, la sua provenienza? “Margherita: mozzarella, pomodoro, basilico, olio extravergine monocultivar Frantoio, che profuma di erbe di campo e ha il sapore del carciofo”. In fondo al menu si riporta il nome del produttore e la provenienza.
Una volta pronta, viene portata al tavolo e il cameriere davanti al cliente versa l’olio dalla bottiglia direttamente sulla pizza bollente che immediatamente fa esplodere i profumi stupendo i commensali.
Il cliente legge il menu, vede la bottiglia, rimane impressionato dal profumo e quando arriva alla cassa per pagare se trova la stessa bottiglia di olio in confezione più piccola e venduta a un prezzo importante (in questo modo si rende conto del valore messo sulla pizza e ne giustifica in pieno il costo, qualora ce ne fosse bisogno) la acquista, perché a casa vuole provare a ricreare la stessa emozione vissuta in pizzeria.
 E quando tornerà - perché tornerà certamente - cercherà altri abbinamenti con altri oli o con il cibo.
E quando tornerà - perché tornerà certamente - cercherà altri abbinamenti con altri oli o con il cibo.
Nel menù antipasti invece di “Caprese: mozzarella di bufala, pomodori freschi e basilico” leggerà “Caprese: mozzarella di bufala con extravergine monocultivar Tonda Iblea, che ha il profumo delle foglie di pomodoro, della maggiorana, delle erbe aromatiche”. Quando arriva la mozzarella a fette, il cameriere versa l’olio... E alla cassa un’altra bottiglia è venduta: che figurone offrire agli amici una Caprese senza pomodori!
E tutto ciò, quanto costa? Ipotizzando un extravergine che costi al ristoratore € 18,00 al litro (per dare un numero): sulla pizza si versano dai 6 agli 8 grammi e sulla caprese dai 10 ai 14 grammi di olio.
Fatti due conti sulla pizza ci saranno dagli 11 ai 14 centesimi (centesimi!) di euro e sulla caprese dai 18 ai 25 centesimi. (Se si acquista un olio meno costoso ovviamente tutto si riduce). 
E la rucola? Un’erba che si usa spesso sulla pizza, molto richiesta anche dal mercato orientale per via della sua amarezza particolare. “Pizza con extravergine monocultivar Coratina che in bocca ha il sapore leggermente amaro della rucola fresca”... E di esempi se ne potrebbero fare un’infinità.
Quello che mi sta a cuore è cercare qui di raccontare un modo di pensare il prodotto pizza e il prodotto extravergine. Il cliente entra nel ristorante, si siede e già dal menu viene stimolato in tre modi: la descrizione di un sapore, la descrizione di una provenienza, la percezione di un “prodotto consistente” e non di un semplice condimento.
Poi c’è l’aspetto gestuale/enfatico: il cameriere che versa l’extravergine, a cui segue quello sensoriale, dove i profumi prima e i sapori/aromi dopo emozionano il cliente fissando nella sua mente un modo insolito di approcciarsi alla pizza, alla caprese,... Ed al tempo stesso consente un incremento del prezzo di vendita che può oscillare dal 20% al 50%.
E infine l’aspetto emulativo: alla cassa una bottiglia da 250 cc venduta almeno al doppio del suo costo fa si che il consumatore rimanga piacevolmente stupito dal fatto che in quel locale si usi un prodotto di alta gamma ed al tempo stesso lo stimola all’acquisto, per poter ripetere il “gioco” a casa…
Buona pizza a tutti!
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