L'arca olearia

L'olio d'oliva cattivo scaccia quello buono: 2,65 euro al litro per il 100% italiano

Giacenze alle stelle, 85 mila tonnellate al 15 maggio, e offerte speciali senza più ritegno sugli scaffali della Grande Distribuzione. Obiettivo dichiarato, tra imbottigliatori e industriali, è far scendere il prezzo dell'extra vergine nazionale sotto i 3-3,5 euro/kg per la prossima campagna olearia

17 maggio 2019 | Alberto Grimelli

Una differenza prezzo di 4 euro/kg tra l'extra vergine italiano e quello spagnolo non è concepibile. Con l'extra vergine iberico ormai destinato a scendere sotto i 2 euro/kg, l'extra vergine italiano non può restare incollato ai 6 euro/kg. Bisogna riportare a più miti consigli gli olivicoltori e i frantoiani italiani. Questa ormai è la voce che si sta spargendo tra imbottigliatori e industriali.
Certo non lo si può fare se l'olio italiano viene venduto tutto e allora bisogna lasciarlo nelle cisterne, finchè non si trova qualcuno che debba svendere, dando luogo a una manovra speculativa al ribasso che porti la quotazione dell'olio italiano sotto i 3-3,5 euro/kg.

D'altronde dobbiamo ricordare che nel 2012, quando l'olio spagnolo raggiunse la soglia dei 2 euro/kg, la quotazione dell'extra vergine nazionale era appena di 50 centesimi superiore.
Perchè non si dovrebbe replicare quello scenario, dopo che sugli scaffali dei supermercati, nel silenzio pressochè generale, sono tornate stabilmente le offerte a meno di 2,99 euro/litro?

Le prime prove di olio nazionale a prezzi stracciati già si vedono sugli scaffali della Grande Distribuzione. Si tratta spesso di oli vecchi o partite molto limitate, comunque operazioni utili a danneggiare l'immagine dell'extra vergine nazionale, portandolo su una scala di valori decisamente più bassa dell'attuale.

Tutto è pronto per il grande piano di svendita dell'olio nazionale, a partire da un mondo olivicolo spaccato e con un livello di litigiosità mai visto.
Unaprol è pronta a rispolverare il patto di filiera presentato nel giugno 2018 per 4,3 euro/kg, presentandolo come un baluardo contro il crollo del prezzo dell'olio nazionale, ergendosi a nuova salvatrice della patria olivicola, e rivendicando le scelte fatte all'epoca, in primis l'alleanza con Federolio, l'associazione degli imbottigliatori oleari.
ItaliaOlivicola, con Unapol e Aifo, sono impegnate da mesi, grazie a Finoliva e Alce Nero, a trovare nuovi sbocchi commerciali che possano rompere il monopolio del mondo del commercio e dell'industria olearia, e sono pronte a fare le barricate contro una discesa verticale delle quotazioni.
Insomma, Unaprol farà valere un contratto, nella speranza di guadagnare consensi e associati, e ItaliaOlivicola mobiliterà la piazza, sperando di cavalcare lo scontento e di frenare la discesa del prezzo.
Una commedia teatrale con le parti già scritte e pronte per essere declamate non appena si alzerà il palcoscenico e le prime manovre speculative ai danni dell'olio italiano verranno attuate.

Un piano partito da lontano, con le 100 mila tonnellate di olio fantasma nazionale scomparse miracolosamente in meno di due mesi tra settembre e novembre 2018, per ricomparire sotto forma di olio spagnolo ma 100% italiano secondo le carte, nelle cisterne di industriali e imbottigliatori in Spagna e Stati Uniti. La delocalizzazione degli stabilimenti aiuta a mascherare anche piani speculativi e truffe.
La seconda parte del piano prevede di diminuire sostanzialmente gli acquisti di olio nazionale, come effettivamente sta avvenendo, per lasciare in giacenza non meno di 50 mila tonnellate di olio prima della prossima campagna olearia che, se rispetterà gli auspici, potrebbe essere da 400 mila tonnellate. Un quantitativo complessivo che sarebbe sufficiente a innescare l'effetto surplus, con conseguente discesa delle quotazioni.

Le prove sono sotto gli occhi di tutti, nei report Frantoio Italia della Repressione Frodi.
Da inizio anno si vendono, con una regolarità che desta qualche sospetto, 8000 tonnellate al mese di extra vergine nazionale.
Al 15 aprile erano disponibili 93 mila tonnellate, al 30 aprile erano 89 mila e al 15 maggio 85 mila.
E tornando indietro di qualche settimana potete leggere: Vendute solo 8000 tonnellate di olio extra vergine di oliva italiano a marzo e Contrordine, l'olio extra vergine di oliva italiano non si vende più.

Secondo quanto risulta a Teatro Naturale delle 8000 tonnellate vendute ogni mese almeno la metà sono riconducibili a frantoiani e olivicoltori, oltre a cooperative e organizzazioni dei produttori, che hanno venduto direttamente il prodotto.
Solo la metà, circa 4000 mila tonnellate al mese, sono comprate e vendute dal mondo industriale e del commercio. D'altronde, come affermato a Vinitaly dal Presidente di Federolio, Francesco Tabano, ormai la quota di mercato dell'olio 100% italiano sul suolo nazionale è del 5%. Era pari all'8% nel 2018. Evidente, quindi, che il mondo del commercio e dell'industria olearia non scommette più sull'extra vergine nazionale ed eventuali alleanze solo solo tattiche, volte a eliminare polemiche e diatribe su truffe e contraffazioni che rovinano il mercato, diminuendo i volumi di vendita. Per le aziende olearie fare volumi è infatti questione di sopravvivenza, visto che i margini operativi (ovvero l'utile) sono inferiori al 2% con livelli di indebitamento che non consentono una politica di valorizzazione se non su una percentuale esigua del commercializzato.

Il mondo dell'industria e dell'imbottigliamento ha già dato scacco a quello della produzione.
Mors tua, vita mea.

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Alfonso Parisi

22 maggio 2019 ore 14:56

Sono un produttore ,molti commercianti stanno costruendo stabilimenti di stoccaggio ed imbottigliamento in Spagna Tunisia in modo da eludere i controlli sul prodotto italiano che abbiamo in Italia si dovrebbe obbligare come nel caso della dop di detenere ed imbottigliare il prodotto italiano in Italia.Inoltre stabilire un tetto fra prezzo di acquisto e prezzo di vendita.
Se l'olio ha un prezzo di acquisto bassissimo ciò è dovuto proprio alle grosse aziende che avendo una grossa vendita di imbottigliato sono ben felici di tenere basso il prezzo di acquisto. Per non parlare della qualità noi cerchiamo di produrre oli eccezionali mentre in commercio ci sono ormai oli di produzione europea con denominazione extra immangiabili ma ormai stanno deviando i gusti dei consumatori che non riescono più a capire le differenze tra un extra veramente italiano ed un olio di prezzo.Gli oli di qualità non sono certo le grandi marche che ormai non hanno nulla di italiano.
Comunque bisogna trovare una soluzione perché con prezzi ingrosso inferiori per l'extra ai 5 € in Italia non si può produrre

Daniele Palombi

22 maggio 2019 ore 13:59

Salve SIg. Grimelli,

in relazione all'ultimo paragrafo dell'articolo, peraltro molto diretto, non mi è chiara la sua posizione nei confronti della produzione (Italiana) di qualità: dobbiamo crederci ancora?

Adelelmo Volponi

18 maggio 2019 ore 14:49

Siamo un GA e quando chiediamo direttamente ai produttori i prezzi superano, quasi sempre, i 12 € al lt.

fabrizio Premuti

18 maggio 2019 ore 08:51

Caro Alberto
lo scenario che dipingi non è più neanche nero, è molto peggio che nero. Se i numeri son questi rischiamo il tracollo dell'industria olivicola nazionale e con lei la scomparsa graduale di storia e cultura dell'olio extravergine di qualità che ci caratterizza. Chi mai può voler produrre sottocosto mantenendo i livelli occupazionali e qualitativi? La grande distribuzione gioca un ruolo fondamentale nel distruggere le eccellenze pianificando l'appiattimento assoluto dell'offerta. Vorrei provare a contrastare certi modelli di consumo che non sono ne etici ne difensivi e da tempo predico che serve un'alfabetizzazione di base del consumatore sul prodotto. Non mi illudo, ci sarà sempre chi correrà dietro l'offerta allo scaffale, chi per bisogno, chi per ignoranza, ma se siamo tutti convinti che il mercato lo fa la domanda, un mio amico economaio ripete sempre che la domanda comanda, allora dobbiamo fare squadra e permettere l'acquisizione di quella consapevolezza necessaria a determinare una domanda di qualità; che poi non è così più costosa dell'offerta immonda. Non basta un'alleanza verbale tra produttori e consumatori, ora servono azioni comuni e formazione. Qualcuno risponderà all'appello?