L'arca olearia

QUAL E’ IL MODO MIGLIORE PER AVVIARE UNA CORRETTA COMUNICAZIONE SULL’OLIO DI OLIVA? E’ POSSIBILE ADOTTARE I PRINCIPI DEL MARKETING PER UN PRODOTTO COSI’ ATIPICO?

Prosegue il dibattito aperto da un nostro lettore sull’opportunità di accogliere il binomio olio di oliva & salute anche per determinare il successo commerciale degli extra vergini. Non si può comunicare qualcosa di efficace se prima non si conosce e apprezza a sufficienza il prodotto di cui si intende fare promozione

13 maggio 2006 | Luigi Caricato

La scorsa settimana abbiamo ricevuto una lettera di Luigi Tega che ci ha fatto molto piacere: link esterno
E’ stata l’occasione per affrontare temi spesso disattesi, che non sempre incontrano le dovute e necessarie attenzioni.

A scaturire il tutto, una precedente lettera dello stesso Tega, provocatoria, come lui stesso ha voluto evidenziare, in cui il punto di partenza era il seguente:

Vedo con tristezza l'ennesimo convegno sui benefici che l'olio apporta alla nostra salute.

Il riferimento – per chi non abbia seguito il tutto – era la notizia di un convegno medico-scientifico che si è svolto a fine aprile a Città Sant’Angelo, di cui “Teatro Naturale” ha riportato la notizia.

Secondo Tega “il giorno che l'olio finirà di parlarsi addosso forse potrà crescere”. Il concetto è dunque chiaro, ma la critica di fondo verte in particolare sul fatto che finora 'la promozione dell'olio' continui ad essere concepita in maniera piuttosto maldestra.

Bene, veniamo al punto.

Concordo con Tega sul fatto che si debba finalmente dare inizio a “un confronto serio sulla efficacia della comunicazione e del marketing applicato all’olio extra vergine di oliva”, ma non sulla sua intera esposizione dei motivi del dissentire.
Nel suo intervento vi sono punti più che condivisibili, ma su alcune sue considerazioni non concordo.

Intanto parto da un errore di comunicazione commesso dal lettore. La sua iniziale lettera “provocatoria” è stata soprattutto uno sfogo, pur legittimo, ma non tale da giustificare le ragioni del dissenso. Queste ragioni sono state solo in seguito precisate meglio, nella lettera successiva che abbiamo pubblicato la scorsa settimana e alla quale rispondo qui.

Dov’è l’errore di comunicazione? Nel fatto che il convegno di Citta Sant’Angelo sia stato uno dei tanti che si svolgono in giro per l’Italia sui molteplici temi riguardanti l’olio di oliva. Nella notizia in cui si annunciava l’incontro non veniva assolutamente specificato che l’argomento olio e salute servisse a veicolare “una comunicazione strategica efficace finalizzata al marketing”. L’obiettivo degli organizzatori – e tra questi il produttore olivicolo, nonché medico otorino Livio Presutti – era di fare una corretta informazione su un tema su cui spesso si è fatta molta confusione. Tant’è che il convegno ha avuto successo di pubblico anche in ragione del fatto che sia stato organizzato da oltre due anni con il proposito esclusivo di fare formazione. Questa attività di formazione, effettuata in collaborazione con l’ufficio formazione e aggiornamento dell’azienda USL di Pescara, con il coordinamento, come già precisato, del dottor Presutti, direttore della climnica ORL di Modena, prevedeva tra l’altro i crediti ECM per i medici chirurghi. Pertanto, alla luce di tale precisazione, non mi sembra disdicevole trattare in maniera seria intorno a un tema così complesso, che, come ha opportunamente scritto nel foglio informativo Livio Presutti, spesso non è “sufficientemente conosciuto neppure dagli addetti ai lavori”.

Affermazione vera, verissima, tant’è che sul fronte olio di oliva in relazione alla salute non solo si sa poco, ma quel poco lo si conosce male e lo si comunica ancora peggio. Prova ne è il fatto che – per assurdo – siano state proprio le aziende degli oli di semi – pur non avendo un olio pari per qualità e bontà nutrizionale, salutistica e sensoriale all’olio di oliva – a cavalcare meglio e con grande ritorno di consensi le valenze, appunto, nutrizionali e salutistiche.

Fare formazione è un dovere morale, ma soprattutto è la strada più opportuna per dare dei contenuti alla comunicazione. Non si può insomma comunicare qualcosa di efficace se prima non si conosce e apprezza a sufficienza il prodotto di cui si intende fare promozione.

Il concetto che ho espresso mi sembra chiaro: senza contenuti, la forma non regge.
Mancando di una preparazione specifica, non si può comunicare semplicemente il nulla.
Il che non significa che una volta acquisiti i contenuti sia sufficiente comunicarli come tali, senza una precisa strategia e, soprattutto, senza una adeguata preparazione. Per veicolare nella maniera dovuta un messaggio occorre possedere delle competenze specifiche sul fronte delle dinamiche della comunicazione. Poi, il passo successivo, quello legato espressamente al marketing, dovrà anche questo essere compiuto ad opera di chi ha competenze specifiche in materia. Insomma: non si può improvvisare.

Le difficoltà del comparto oleario italiano nell’affrontare “i pericoli derivanti dalla sempre più agguerrita concorrenza estera” sono concrete, ma non per questo occorre restare disorientati e rinunciare alla formazione. Pertanto, i convegni su qualsiasi tema inerente l’olio di oliva sono sempre i benvenuti. Ogni comunicazione risulta sempre utile, ammesso che i convegni vengano organizzati con intelligenza e abbiano come relatori persone adeguatamente preparate.

Ma ecco le riflessioni di Luigi Tega:
“Cercherò di argomentare perché, a mio modo di vedere, puntare decisamente come fondamentale aspetto di comunicazione sulle virtù terapeutiche dell’olio di oliva, ci allontana dal sogno”.

Ed ecco invece il mio punto di vista:
L’errore di partenza – commesso dal lettore – consiste nel ritenere le virtù terapeutiche degli oli di oliva solo come l’esclusivo e unico tema su cui si è inteso puntare nel fare comunicazione e marketing. Non è così: l’argomento olio di oliva in relazione alla salute è solo uno tra i tanti modi possibili del comunicare. Resta tuttavia un tema forte, visto che le aziende degli oli di semi lo cavalcano molto abilmente, pur non avendo un prodotto che meriti la medesima attenzione di un extra vergine. Resta dunque da impostare solo la comunicazione nel modo più efficace possibile. Per esempio entrando nella sfera del “sogno”, quella cui Tega fa riferimento, ma senza con ciò rinunciare ai contenuti e alle formule della concretezza.

L'esempio dell'Olio Cuore è calzante. Si tratta di un vero miracolo della comunicazione e del marketing, ma non dimentichiamo tuttavia che accanto agli spot televisivi, di taglio generalista, destinati a un pubblico di massa, vi sono state anche le tante e insistite "informazioni pubblicitarie" pubblicate su testate di grande diffusione, simulando in alcuni casi (e in maniera perfino subdola) il modulo dell'articolo. L’Olio Cuore ha agito su più fronti della comunicazione, da una parte soffermandosi sull’aspetto del “sogno”, che rincorre l’edonismo sfrenato dei nostri tempi, con la conseguente mania della leggerezza, dello star bene e in forma smagliante; dall’altra lo ha fatto con una caparbia e agguerita azione comunicativa, esercitata sui medici e su varie categorie di professionisti e di opinion leader; dall’altra ancora agendo con pseudo articoli scientifici pubblicati su periodici a grande diffusione e dedicati a temi salutistici. Si tratta, in fondo, di capire a quale pubblico ci si rivolge, tutto qui, ma la comunicazione va fatta su molteplici fronti e con linguaggi di volta in volta differenti.

Il problema del comparto oleario, semmai, non è tanto di insistere sul tema olio e salute (magari lo facesse in maniera efficace!), ma di rinunciare in realtà alla comunicazione. Tranne quando, nel far comunicazione, si continuano maldestramente a utilizzare – e questo è ben vero – le formule più inadatte alla società a cui si rivolge.


Scrive Tega:
”Se il settore vive un crisi profonda mi sento assolutamente certo nell’affermare che non saranno i tocoferoli o lo squalene o l’acido grasso monoinsaturo a salvare il comparto”.

La mia risposta:
Ma certo che la crisi del settore non può essere risollevata con l’esibizione dei componenti minori o della qualità degli acidi grassi, ma questo non significa che la crisi strutturale del comparto sia dovuta necessariamente a un problema di comunicazione. Sono due aspetti da tenere distinti. La crisi del comparto è strutturale, prima di tutto, mancando una strategia, un piano olivicolo nazionale, e mancando soprattutto delle competenze in coloro che ne guidano le sorti, sia a livello istituzionale, sia a livello associativo, è evidente che il problema scaturisce da altri elementi, non da aspetti legati esclusivamente alla comunicazione e al marketing. Questi ultimi fattori sono senz’altro determinanti, ma poco possono incidere in una situazione generale che, purtroppo, si presenta agli occhi del buon osservatore in maniera penosa e perfino inquietante.

E ancora Luigi Tega:
”Partiamo dal suo ragionamento razionalmente ineccepibile: se la scienza medica scopre che un prodotto fa così bene alla salute, questo deve rappresentare l’aspetto centrale della comunicazione e del marketing del prodotto stesso per produrre un aumento della domanda del consumatore e quindi delle vendite”.

La mia risposta:
Non credo che si debba dare una centralità assoluta, tale da condizionare la comunicazione, facendo leva esclusiva sul binomio olio di oliva e salute.
Parto solo dall’idea che l’olio di oliva sia in perfetta sintonia con le richieste sempre più evidenti, da parte della società, nel richiedere alimenti sicuri e sani, naturali.
E cosa c’è di meglio se non soddisfare tali esigenze di naturalità e di benessere?
L’olio che si ricava dalle olive è un “puro succo di oliva”, è un alimento sano, definito un functional food, e qualcuno si spinge addirittura a ritenerlo un “nutraceutico”. Si tratta di una spremuta di frutta, quindi di un grasso alimentare ineguagliabile, perché dunque non valorizzare a sufficienza tali aspetti?
Riconoscere tuttavia la valenza nutrizionale e salutistica degli oli di oliva non comporta come tale la rinuncia a una comunicazione fondata sul “sogno”, sul “desiderio”, sul “senso di appagamento” che l’individuo di una società occidentale va cercando.


Ancora Luigi Tega:
“Il mio professore di marketing diceva: qualunque acquisto avviene sempre sotto una spinta emotiva, la parte razionale risulta essere in molti casi del tutto trascurabile.
Concorderà con me che c’è ben poco di razionale nell’acquistare una bottiglia di vino a 100 o 200 euro così come non c’è nulla di razionale nell’acquistare un macchina che fa i 300 orari o un orologio da migliaia di euro.
Quando parliamo di tocoferoli, di prevenzione delle malattie cardiovascolari e neoplastiche, stiamo comunicando alla parte razionale, non a quella emozionale, sperando che questa sia determinante nel processo di acquisto quando è invece del tutto minoritaria”.


La mia risposta:
Nulla da obiettare, le spinte emotive sono tali da condizionare in modo evidente le scelte di un individuo, ma si dimentica tuttavia che l’olio di oliva, e qualsiasi altro alimento che non sia come tale associabile al piacere – come nel caso del vino e di altre bevande – è un prodotto diverso, con una natura diversa. A parte il fatto, poi, che le mode dei grandi vini a prezzi esorbitanti spesso restano soltanto mode lanciate dai media, ma non seguite da una società costituita in schiacciante maggioranza da gente comune. La nicchia di chi appartiene a una èlite non rappresenta la società, ma certa società. L’olio di oliva, in ogni caso, è un bene di consumo di breve vita e una politica tesa a evidenziare l’aspetto del “sogno”, coltivando dunque le spinte emotive del consumatore, funziona poco. Funziona in quanto nicchia di mercato, quindi con numeri esigui, con acquisiti per lo più destinati all’evento particvolare e al dono, non al consumo ordinario del prodotto.


Ancora Tega:
“E’ come se la Mercedes per pubblicizzare la sua macchina iniziasse a spiegare il numero di pistoni, valvole marmitte eccetera, fa una cosa molto più semplice: mette un bel ragazzo al volante con una splendida fanciulla vicino ed il messaggio è tutto lì. Cerca di stimolare la nostra parte emotiva non la razionale che non gli farebbe vendere una macchina.
Introduciamo un altro concetto: forma e sostanza.
Noi tutti siamo stati condizionati negativamente da insegnamenti del tipo: devi puntare sulla sostanza, non sulla forma! La sostanza è tutto!”


Ed io:
Sì, è la solita storia che conosciamo tutti, ed è vero, conta più la forma della sostanza, oggi più che ieri; ma, allora, qual è l’obiettivo di chi nell’ambito di una società deve anche assumersi il ruolo di educatore? L’educazione alimentare oggi viene disattesa, come altrettanto disattesa è la cultura della prevenzione. Non esiste una medicina preventiva, ma solo curativa, proprio perché la società ha rinunciato a puntare con intelligenza a ciò che conta: la corretta dieta alimentare quale obiettivo per il mio star bene. Eppure, qualcuno alla fine comprende che occorre dare una svolta all’attuale situazione; da qui dunque i sorprendenti risultati di una indagine della Confederazione italiana agricoltori, in cui si comunica una inversione di tendenza sul fronte del consumo dei grassi, laddove si va privilegiando un prodotto come l’olio extra vergine d’oliva proprio perché vanta numerosi attestati scientifici e medici nell'ambito della prevenzione delle malattie. Da qui il link per leggere il documento in questione: link esterno

Il lettore Luigi Tega non molla: ogniqualvolta ci si allontana dal sogno, sostiene, diventa sempre più difficile salvare il comparto.
Ed ecco, per l’esattezza:
“A questo punto il mio professore di marketing direbbe: se vuoi vendere qualcosa a qualcuno devi risolvergli un problema e devi usare la tecnica del rispecchiamento comportamentale e linguistico, in sostanza devi dirgli le parole che sono a lui più vicine e devi comportarti come lui devi sapere cosa vuole e devi darglielo, non fare ciò che è giusto ma ciò che è efficace per raggiungere l’obbiettivo”.

Bene, prendiamo atto di ciò, ma con quali vantaggi? Siamo poi sicuri dei risultati?
A me risulta che in molti, tra gli esperti di marketing, non conoscendo la complessità di un settore anomalo come quello dell’olio di oliva, spesso confondano un alimento come l’olio di oliva con un qualsiasi altro prodotto. Ma una Mercedes non è l’olio di oliva; e nemmeno il vino è come tale paragonabile all’olio di oliva: sono due prodotti distinti e implicano approcci altrettanto distinti.


Luigi Tega prosegue:
”La comunicazione dei benefici dell’olio di oliva, è talmente noiosa, i ricercatori fanno a gara ad utilizzare termini sempre più tecnici e specifici, acidi grassi monoinsaturi, stabilità di legami, alfa-tocoferoli, lipasi, acroleina, …basta!”

Io invece ripeto, da parte mia, il seguente concetto:
Perché confondere la comunicazione tecnica e specialistica con la comunicazione finalizzata al marketing? L’errore di partenza è tutto qui.
Il linguaggio si serve di formulazioni differenti perché è differente il pubblico e il contesto del nostro comunicare
.
Fare formazione in un comparto che è costituito da molti individui adeguatamente preparati è fondamentale, il che non implica che lo stesso linguaggio venga adotatto per tutti.
Il medico va informato con contenuti inerenti la sua specializzazione.
Il consumatore va informato attraverso le tecniche di comunicazione più appropriate, ma non per questo lasciandolo alla fine solo con il “sogno” tra le mani.
Non si può rinunciare alle peculiarità di un prodotto semplicemente perché si intendono assecondare le spinte emotive. Talvolta è necessario mediare tra i vari moduli espressivi del linguaggio
. E, credetemi, se si è in grado di fornire insieme forma e sostanza, allora sì che la comunicazione diventa per davvero efficace, proprio perché seria, credibile e capace di soddisfare sia le spinte emotive, sia le esigenze di benessere.

La nostra società è malata. Il consumismo sfrenato cancella ogni valore. Il compito dei comunicatori non può consistere solo nel conseguire un risultato, ma sta anche nell’esprimere, attraverso le sue specifiche competenze, un’etica solida e credibile nell’atto stesso del comunicare.

Posso in conclusione garantire che si può senz’altro elaborare una comunicazione diversa e più attraente – anche, e soprattutto – seguendo le vie più impervie e in apparenza impossibili. Altrimenti – diciamo la verità così com’è – dov’è la capacità di un comunicatore se poi dovrà servirsi di moduli e strumenti comunicativi scontati e già prevedibili?

L’olio extra vergine di oliva non è – come scrive il lettore Luigi Tega – un “prodotto alimentare così vecchio, spento, senza fascino, edonisticamente irrilevante e senza appeal”. No, proprio no: è vecchio semmai il modo di approcciare l’olio. Chi non è in grado di farne percepire il fascino è perché non è all’altezza per farlo
. Tutto qui, questo è il mio pensiero. E concludo.

La prossima settimana leggerete il punto di vista di Alberto Grimelli; e intanto, in lettere, c’è qualcosa sull’argomento:
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